LE TRE GIORNATE DEL BATTISTA (Gv 1,19-37)

Il Prologo si è così concluso: “Il Figlio Unigenito, che è Dio, ed è sempre rivolto verso il Padre, ce lo racconterà”. Dovremo però aspettare fino a 3,6 per sentire Gesù parlare del Padre. Prima infatti, come nei Sinottici, c’è la testimonianza di Giovanni Battista, che si è sviluppata dall’autunno dell’anno 27 alla primavera dell’anno 29. I Sinottici ne offrono l’inizio. Il nostro evangelista invece suppone che già da tempo il Battista svolgeva il suo ministero, dato che il primo quadro (1,19-28) parla dei dirigenti Giudei che sentono il bisogno di fare un’indagine sul suo operato che si svolgeva in modo indipendente dalle istituzioni religiose del tempo.

Nel primo quadro (9,19-28) il Battista si presenta, se così possiamo dire, sotto giudizio. Il secondo quadro (1,29-34) lo presenta nell’atto di dare la sua testimonianza a Gesù; mentre l’inizio del terzo quadro (1,35-37) descrive come due discepoli abbandonano il Battista e seguono Gesù. Noi pensiamo che questo evento abbia colmato di gioia il Battista (cf 3,29) e gli ha fatto capire che si realizzava davvero lo scopo della sua testimonianza.

Nella meditazione lasciamoci affascinare dall’immagine del Battista. Non solo perché, come abbiamo detto nell’articolo precedente, è il tipo e il rappresentante di tutti i testimoni del passato: è il suo agire, il suo modo di vivere la sua testimonianza che ha valore. Egli è colmo di umiltà, di sincerità, di lealtà. Ha piena coscienza della sua missione e la sviluppa con una tale correttezza che si erge come il vero testimone di Cristo. In lui noi troviamo il vero modello dell’agire apostolico. Perciò la lettura della sua testimonianza sia un vero confronto del nostro essere testimoni con il suo agire.

Primo giorno: “Tu chi sei” (9,19-28)

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i dirigenti Giudei gli inviarono sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Tu chi sei?” Egli confessò e non negò; Confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Chi sei dunque, sei tu Elia?”. Rispose: “Non lo sono”; gli dissero: “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”.

Ai dirigenti Giudei debbono essere arrivate delle voci sull’agire di Giovanni: c’era chi pensava che fosse il Cristo (Lc 3,17); altri Elia o Geremia e molti uno dei profeti (Mt 16,17; 21,26). Le autorità vollero vederci chiaro e perciò mandarono alcuni per interrogarlo: “Tu chi sei”. Rispose: “Non sono io il Cristo”. Dicendo questo sembra dare una risposta al di fuori della domanda; eppure è pertinente perché essa svela l’oggetto reale dell’inchiesta che continuerà da parte dei Giudei nei riguardi di Gesù (7,26.s. 31. 41s: 10,24; 12,34). Facendo ciò il Battista dirotta immediatamente l’attenzione sull’identità del Messia e orienta indirettamente chi l’ascolta verso Colui che viene e che anche lui attende.

Allora gli chiesero: “Sei tu Elia?”, ed egli rispose: “Non lo sono”, una risposta che suscita varie discussioni, sia perché Gesù ha detto: “Egli è quell’Elia che deve venire” (Mt 11,16), sia perché in Luca 1,17 si legge: “Camminerà davanti al Signore con lo spirito e la forza di Elia”. Pensiamo che sia inutile chiedersi chi ha ragione. Giovanni infatti può rispondere solo se gli chiedono qual è la sua missione e chi gliel’ha affidata e questo lo dirà presto.
Sulla stessa linea va la risposta alla domanda seguente: “Sei tu il profeta?” a cui risponde con un secco “No!”. È più che un profeta, ma non è il Profeta, un titolo che vale solo per Cristo (At 7,37).

– Gli dissero: “Chi sei? Noi dobbiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso”. Rispose: “Voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia”.

Interrogato dagli inquirenti Giovanni continua a negare senza aggiungere nulla su se stesso. Ora costretto a spiegarsi cerca di annullarsi quasi, come protagonista, e si identifica a una “voce” che fa nuovamente risuonare la profezia della salvezza. Che differenza dai Sinottici. Qui è scomparso il predicatore infuocato, il precursore minaccioso, il battezzatore che attira le folle, l’eroe che sfida i principi e muore martire. Nient’altro è rimasto che “una voce” che viene da lontano, che attualizza una promessa e lancia un appello. Egli non era la Luce, non era “Colui che è la Parola”, che è Gesù; eppure ha una funzione eminente questa voce. È mediante una voce che la Parola viene resa presente.

Ripensiamo un po’ a questa botta e risposta tra il Battista e gli inquirenti. Tutto quanto dice il Battista tende a distogliere lo sguardo da lui, ad attendere un altro, a guardare avanti. Il Battista sa che non debbono accogliere lui; egli cerca di dirottare tutti verso il Cristo. Non è forse questo lo scopo di tutti coloro che annunciano la Parola?

– Alcuni degli inviati appartenevano al gruppo dei farisei. Essi lo interrogarono: “Perché dunque battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il Profeta?”. Giovanni rispose: “Io battezzo solo con acqua, ma in mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali”.

Il Battesimo di Giovanni continua a fare problema. La domanda dei farisei suppone che l’azione di battezzare sia legata soprattutto a Cristo. Si pensi alla grande profezia di Ezechiele 36,25ss.: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati... Metterò dentro di voi uno spirito nuovo”. Forse per questo il Battista non parla del battesimo nello Spirito come fanno i Sinottici e si limita a rispondere: “Io battezzo solo con acqua”. Probabilmente per far capire ancora una volta che “lui non è il Cristo”.
Però aggiunge: “ma c’è uno in mezzo a voi che voi non conoscete, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali”. Con queste parole il Battista ha già iniziato ad annunciare Gesù, e lo annuncia come uno sconosciuto, uno che è venuto tra la sua gente e che i suoi non hanno accolto (1,11). Sono parole che ci fanno pensare: “Gesù è sempre in mezzo a noi, ma lo conosciamo davvero?

Secondo giorno:
La testimonianza del Battista (1,29-34)

– Il giorno dopo Giovanni vede Gesù venire verso di lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo. Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene uno che mi è passato avanti perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo ma colui che mi ha mandato a battezzare con acqua mi aveva detto: “L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo”. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».

Si inizia con due verbi: “vede... dice...” due verbi all’indicativo presente quasi a volere attualizzare qualcosa di passato. Infatti subito dopo c’è una specie di “flashback”, come se Giovanni ripercorresse il cammino che lo ha portato a dire: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo». Ora in questo suo racconto che ricorda il passato ci sono tre espressioni al perfetto: ho visto... ho visto... ho reso testimonianza, Ora il perfetto greco dice la continuità esperienziale di quanto è avvenuto, perciò preferiamo dire: ho visto... ho visto e ora posso testimoniare: Questi è il Figlio di Dio. Ripercorriamo questa testimonianza del Battista, chiedendoci «Chi è Gesù?».


Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.

Non è bello nella liturgia sentire: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati...”. Il testo evangelico dice “Peccato”. È qualcosa di più dei peccati individuali. Esso indica il dominio del Peccato, dell’hamartia, cioè dell’iniquità che domina il mondo e che lo rende “separato da Dio”. L’azione di Gesù tende a eliminare questo dominio e a riconciliare il mondo con Dio.
E veniamo al termine “Agnello”. Varie sono le spiegazioni che si danno, ma la più convincente è quella che ci rimanda al Canto del Servo di Dio di Isaia 53. Qui il servo è paragonato a un “agnello”, di cui si sottolinea l’innocenza e l’accettazione dell’umiliazione: “non aprì la sua bocca”; secondo i vv. 4 e 12 dello stesso canto, egli è colui che si è addossato le nostre sofferenze ed è apparso come un castigato da Dio, in realtà “portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”. Il nostro testo designando Gesù, come colui che toglie il peccato del mondo, vuole indicare che egli ha come missione di realizzare in sé la figura del Servo sino alla sofferenza e alla morte espiatrice del peccato. Benché innocente e puro, venendo al battesimo egli assume il compito di prendere su di sé il peccato di tutti e di assicurare mediante il suo sacrificio redentore quella purificazione dei peccati che la predicazione di Giovanni annunciava e che il suo rito simbolizzava. L’ha fatto volontariamente. «Voi sapete – dice Giovanni nella sua prima lettera (3,5) – che egli è apparso per togliere il peccato del mondo e che in lui non c’è peccato».
Perché ha accettato questo destino? L’ha accettato per amore. «Ci amò sino alla fine» (Gv 13,1). «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Dio che ha amato noi e ha mandato il Figlio suo come vittima di espiazione dei nostri peccati». Come dice San Paolo: «Perché ci amava ha dato la sua vita per me», perciò io mi sento crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Da qui la conclusione di una vera meditazione: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo darla per i nostri fratelli» (1 Gv 4,10). Di qui nasce facilmente la nostra preghiera di lode, di ringraziamento, di adorazione e di supplica; sì, anche di supplica, perché ci sentiamo peccatori.

“Colui che viene dopo di me, mi è passato avanti”.

Questa frase continua il confronto tra il Battista e Gesù iniziato nel Prologo: egli non è la Luce, Gesù è la Luce; egli viene prima di Gesù, ma Gesù gli è passato avanti; oppure: Gesù viene dopo ma è più grande del Battista. Con altre parole: Gesù, benché sia venuto dopo il Battista non è discepolo del Battista, ma è superiore a lui e la ragione di tutto ciò sta nel fatto che “egli era prima di lui”. L’imperfetto “era” ci richiama l’inizio del Prologo: “In Principio c’era Colui che è la Parola”. Gesù è la Parola eterna che è divenuta carne; l’eterno che entra nella temporalità; il Figlio che diventa uno di noi, nostro compagno di strada. Di fronte a questo evento c’è solo l’adorazione, la contemplazione piena di gratitudine per Gesù che pur essendo Dio, ha assunto la forma del servo e si è fatto in tutto simile a noi.
La lettera ai Filippesi (c. 2), meditando sull’umiliazione del Figlio che è divenuto carne e ubbidiente fino alla morte, ci invita ad avere in noi gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù.

Gesù è colui su cui si è posato e rimasto lo Spirito e perciò colui che battezza in Spirito Santo.

Questo fatto della discesa e del “rimanere dello Spirito su Gesù” è stato dato da Dio al Battista come “segno” per riconoscere “colui che battezza in Spirito Santo”. Il tempo messianico è infatti il tempo dell’effusione dello Spirito sull’umanità intera. Si legga Isaia 32,15; 44,3; ma soprattutto Gioele 3,1: “effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie...” ed Ezechia 36,25-27: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati... vi darò un cuore nuovo... porrò il mio spirito dentro di voi”. Da questi testi profetici che parlano dei tempi messianici non si deduce che è il Messia che effonde il suo Spirito su di noi... Questo lo sappiamo del Battista: “Colui sul quale scenderà e rimarrà lo Spirito è colui che battezza con Spirito Santo”.
È in questa effusione dello Spirito che si compie l’intera opera di Gesù. Egli infatti è colui che fa nascere dall’acqua e dallo Spirito, cioè dall’altro e ci fa entrare nel Regno di Dio (Gv 3,5); è colui che possiede lo Spirito senza misura (Gv 3,34); colui che ci dà la capacità di adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23); colui che morendo sulla croce “dona lo Spirito” (Gv 19,30), colui che ci rende figli di Dio.
Un ultima nota su questo dono dello Spirito. Come Gesù ha ricevuto l’unzione dello Spirito, anche noi la riceviamo. L’unzione caratteristica della confermazione, meglio cresima, abilita per la missione. Parola di dono dello Spirito significa parlare di missione. La meditazione deve portare sulla nostra relazione con lo Spirito Santo che ci è stato dato e che ci ha abilitato come cristiani per una missione; e sul come noi viviamo questa missione ricorrendo all’aiuto dello Spirito. Gesù dice di chiederlo al Padre (Lc 11,13).

Questi è il Figlio di Dio

Qui la conoscenza del Battista raggiunge il suo culmine. Quella voce che nei Sinottici viene dal cielo e dice: “Tu sei il mio amato Figlio, io ti ho scelto”, si fa sulla bocca del Precursore testimonianza: “Ora posso testimoniare che egli è il Figlio di Dio”. In alcuni codici antichi seguiti da moltissimi studiosi dicono: “Egli è l’Eletto di Dio”. L’espressione sta meglio sulla bocca del Battista che certo non poteva pensare alla divinità di Gesù, ma non sulla penna dell’evangelista, che qui dà un concentrato di cristologia e che vuole portarci all’atto di fede nella divinità di Gesù. Anche ammettendo che il Battista abbia detto “Figlio di Dio”, poteva solo pensare al Messia quale discendente di Davide e perciò, solo in questo senso figlio di Dio (1 Sam 7,14; Sal 2,7).
Nella redazione evangelica invece, cioè nella lettura ecclesiale e pasquale, dev’essere intesa in linea con il Prologo: “Il Figlio Unigenito che è sempre rivolto verso il Padre”. Si tratta dell’eterno Figlio di Dio, come lo esprimono le parole messe sulla bocca del Battista.

Dal Battista a Gesù (1,35-37)

– Il giorno dopo, di nuovo il Battista si trovava là con due dei suoi discepoli. Fissando lo sguardo su Gesù che passava dice: “Ecco l’Agnello di Dio”. I due discepoli lo udirono parlare così e seguirono Gesù.

Tre versetti, che riprenderemo nell’articolo seguente. Qui servono di transizione dal Battista che lascia la scena evangelica, a Gesù. Giovanni Battista deve sentirsi gioioso perché ha compiuto perfettamente la sua missione: Presentare il Messia a Israele e far sì che i suoi uditori diventino uditori e discepoli di Gesù. Egli si erge come modello per ogni cristiano e annunciatore di Vangelo.

Preghiamo:

O Dio, nostro Padre, salga a te la nostra lode e il nostro ringraziamento. Tu ci hai amato e mandato il Figlio che dall’eternità vive accanto a te nella gloria; Egli è divenuto carne, servo e come agnello senza macchia ci ha liberato dal peccato e ha effuso su di noi lo Spirito Santo perché diventassimo figli tuoi e testimoni del Vangelo a tutte le genti. Grazie, Padre, della tua bontà.

                                                      D. Mario Galizzsdb


 IMMAGINI:
Zaccaria dà il nome al bambino, Domenico Ghirlandaio (1449-1494), Santa Maria Novella - Firenze.. / L’evangelista Giovanni non descrive gli avvenimenti che precedettero la nascita del Battista. Così, il precursore di Cristo viene presentato direttamente in azione. È lui che ha il compito di indicare Cristo presente nel mondo.
2  La nascita del Battista, Domenico Ghirlandaio (1449-1494), Santa Maria Novella - Firenze. / Giovanni il Battista avrà il compito di chiudere il tempo della mediazione. Dopo di lui, Dio si rivolgerà direttamente al popolo d’Israele mediante la Sua Parola fattasi carne.
3  Il Battista, Caravaggio (1573-1610), Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City (USA). / Accettando di essere preceduto dalla predicazione del Battista, Gesù ha dato prova della Sua totale sottomissione agli strumenti umani. Ha accettato le mediazioni e i segni umani che lo indicavano presente, per poi trasformare questi segni in Sacramenti, mezzi rivelatori della Sua presenza.
4  Decapitazione del Battista, Caravaggio (1573-1610), Saint John Museum, La Valletta (Malta). / Il Battista paga con la vita la sua fedeltà alla verità. È la prima vittima dei tempi nuovi che cade a causa della brama e dell’orgoglio umano.



       RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 1
      
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