VIDERO LA SUA GLORIA (Gv 1,35-2,22)

Dopo il passaggio dal Battista a Cristo, iniziamo a camminare con Gesù. In questo articolo Lo contempleremo con i primi discepoli (1,35-51), poi a Cana di Galilea (2,1-11) e a Gerusalemme mentre scaccia i venditori dal Tempio (2,12-22). Vedremo come Gesù, con decisione, organizza la sua missione; lo guida un principio: cercare sempre la gloria del Padre. Pensando poi a noi discepoli, sentiremo il dovere di meditare sul nostro cammino di fede. Il secondo e il terzo racconto infatti si chiudono con un atto di fede dei discepoli e questo ci impone la domanda: Chi è per me Gesù?
Gesù con i primi discepoli (1,35-51)

Il primo brano (1,35-42) inizia presentando Giovanni che insieme a due discepoli “fissa lo sguardo su Gesù che passa” e si conclude parlando di Gesù che “fissa lo sguardo” su Simon Pietro. Il loro fissare non è un semplice “vedere”. In greco c’è un verbo che fa capire che Giovanni fissa Gesù, cercando di penetrarne sempre di più il mistero, mentre Gesù fissa Simone pensando al suo futuro di roccia.
Giovanni, fissando Gesù, si limita a ripetere: “Ecco l’Agnello di Dio”, una verità che già deve avere discusso con i suoi discepoli. Ed essi sentendolo dire così, capiscono la fede che egli ha in Gesù e nelle sue parole percepiscono un invito a diventare “discepoli di Gesù”. Perciò lo abbandonano per
seguire Gesù. Il verbo “seguire” è tecnico. Nel suo senso più banale significa “andare dietro a qualcuno”, ma nel suo senso forte significa: “farsi discepolo di qualcuno”; “sceglierlo come Maestro”; cercare di avere con lui una “comunanza di vita”.

Gesù si accorge che lo stanno seguendo e forse rallenta il passo perché si avvicinino di più e poi, improvvisamente, si volge verso di loro e dice: “Che cercate?”. Non fa una domanda per informarsi: egli sa già quello che c’è nell’uomo (2,25); vuole solo provocare quella risposta che farà prendere coscienza ai suoi interlocutori dell’oggetto vero della loro ricerca. È la prima parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni: «Che cercate?» ed è una parola che Gesù rivolge a ogni persona. Ciascuno sentendola è obbligato a chiedersi davanti al Signore i veri motivi per cui va in cerca di lui e ad esaminare il proprio cammino interiore.

Nei due c’è il desiderio di essere discepoli di Gesù perché gli dicono «Rabbì, dove abiti?». Esprimono subito con chiarezza il loro pensiero: vogliono subito stabilire la relazione Maestro-discepolo. Ma per ottenere questo è necessario sapere dove abita, dove si riunisce con i propri discepoli. Per essere discepoli infatti non sono sufficienti le informazioni che il Maestro dispensa: è indispensabile entrare in comunione di vita con lui. E Gesù accetta perché risponde: «venite e vedrete». Non si tratta di andare a vedere una casa. Qui si vuole verificare con la vista il contatto fisico, la realtà storica che deve fondare la loro fede. L’invito infatti contiene implicitamente l’offerta di prendere contatto con lui, di conoscerlo più intimamente, di potere finalmente aderire a lui con convinzione.

«Andarono, videro dove dimorava e dimorarono con lui». Qui è interessante il modo di comportarsi dell’evangelista. Non dice nulla sulla loro esperienza con Gesù, ma racconta quello che avviene. Chi ha fatto un’esperienza con Gesù non riesce a tenersela dentro, deve raccontarla ad altri. Ed è ciò che fa Andrea, così si chiamava uno dei due. Ebbene, di lui si dice che andò a cercare per primo il suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia e lo condusse da Gesù». E così Simone si trovò di fronte a Gesù il quale «lo fissò intensamente e gli disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni. Ti chiamerai Cefa”». Andrea si limita a condurre il fratello a Gesù; Gesù gli affida la missione di essere la roccia visibile su cui è fondata la Chiesa; quella invisibile è lui (Ef 2,20).

Il giorno dopo, Gesù decise di partire per la Galilea; si incontrò con Filippo e gli disse: «Seguimi!». Non si dice se Filippo lo seguì e neppure se fece esperienza di Gesù. Lo deduciamo da quanto segue. Anche Filippo, come Andrea, sentì la necessità di raccontare ad altri la propria esperienza. Però a differenza di Andrea che dice a Pietro: “Abbiamo trovato il Messia”, Filippo, incontrandosi con Natanaele che forse conosceva come uno amante delle Scritture, gli dice: «Abbiamo trovato colui di cui scrisse Mosè e (parlarono) i profeti: Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Quando Natanaele udì la parola “Nazaret” rispose: «Da Nazaret può venire qualcosa di buovo?» e ci fu il rifiuto. Allora Filippo gli dice: «Vieni e vedi». Alla parola fa seguire la “vista”.

Ora non è Natanaele che scorge per primo Gesù, ma è Gesù che vede Natanaele venire verso di lui e subito dice: «Ecco un vero Israelita». Natanaele meravigliato disse: «Come mi conosci?». E Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse ti ho visto sotto il fico». Il fico nel giudaismo era divenuto l’albero della scienza. La parola di Gesù insinuerebbe che, studiando la Legge, Natanaele si era preparato all’incontro con lui. Il risultato è magnifico. Natanaele capisce di essere davanti a uno che è più di un Rabbì e proclama Gesù Messia dicendo: “Re di Israele, Figlio di Dio”. Certamente non in senso cristiano, ma “Figlio di Dio” come discendente davidico.

Gesù accetta la fede di Natanaele e lo porta a guardare oltre: «Vedrai cose maggiori di queste». Poi vedendo Natanaele come rappresentante di molti, passa al plurale e dice: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo». Il richiamo alla visione di Giacobbe è chiaro. Solo che ora non c’è più la scala, ma è su Gesù, Figlio dell’uomo, che gli angeli scendono dal cielo. Gesù ha pienamente coscienza che deve realizzare la comunione definitiva tra cielo e terra, tra Dio e i credenti. È questo che avverrà. Gesù compie le Scritture, ma le compie al di là di ciò che i suoi contemporanei si aspettano. Tutto è al futuro. I discepoli perciò sono messi in attesa di contemplare la “gloria del Figlio dell’uomo”.

Cana di Galilea (2,1-11)

Ed eccoci al racconto delle “nozze di Cana”, uno dei più difficili del Vangelo. Nella sua inevitabile lettura simbolica ci porterà alla stessa conclusione del racconto precedente: “Gesù è colui che unisce la terra al cielo”.
L’intero racconto è un segno. Quando utilizziamo la parola “segno”, significa che non dobbiamo leggerlo in se stesso ma che dobbiamo andare oltre il testo per cercare quella realtà a cui il segno conduce. Iniziamo dalla parola “nozze”. Quale realtà indica? Nel contesto remoto del nostro racconto è, come in tutta la Bibbia, una metafora che esprime l’alleanza che Dio stringerà non solo con il suo popolo, con Israele, ma con tutta l’umanità.

Ora, nel nostro racconto, chi sono i contraenti delle nozze? Non Gesù e l’umanità, ma Dio e Israele qui simbolizzato dalla Madre di Gesù che intenzionalmente viene chiamata “Donna”, un valore che supera la sua individualità e che rimanda alla Sion ideale, essa pure raffigurata nella Bibbia sotto i tratti di una donna e in quelli di una madre che raccoglie i suoi figli alla fine dei tempi. Maria, come lo dimostra anche il Magnificat, appartiene a quel mondo e nella concretezza del suo vivere, si accorge delle necessità altrui. Come si è lontani in quel mondo antico dal compimento delle profezie sulle nozze messianiche che promettono abbondanza di vino! In Isaia 62,5ss si legge: «Come un giovane sposa una vergine, il tuo architetto ti sposerà... Non saranno più gli stranieri a bere il tuo vino, ma i vendemmiatori berranno il vino nell’atrio del santuario». È il nuovo popolo di Dio che nel santuario beve il vino delle nozze messianiche e sarà abbondante. Si parla al futuro, come a dire che ora quel vino manca.

Torniamo alla materialità del testo e osserviamo Maria che si accorge della mancanza del vino e si avvicina come Madre a Gesù e gli dice: «Non hanno più vino». E Gesù risponde: «Che c’è tra me e te?». È un rifiuto, un far capire che non deve interferire nella sua missione. Comunque la chiama “Donna”. Forse è un invito ad agire come “Donna”; e Maria si dà subito da fare: chiama i servi e dice loro: «Fate tutto quello che vi dirà», una frase che richiama Esodo 19,8 da cui appare che nel giorno dell’Alleanza il popolo disse: «Noi faremo tutto quello che ha detto il Signore». Il Figlio accoglie l’iniziativa della Madre e dice ai servi: «Riempite d’acqua le anfore» ed essi le riempirono. Allora disse loro: «Attingete e portate a colui che dirige. Lo fecero ed era vino di qualità.

Si noti che questo è un segno, non la realtà messianica. Ma quando questa si realizzerà? Gesù dice alla Madre: «La mia ora non è ancora venuta». Ciò non significa che non possa essere anticipata nei segni e che quanto è avvenuto fa capire ai discepoli che Gesù sta rivelando la sua “Gloria”, un motivo per credere in lui. Comunque la realtà vera, il compimento totale delle profezie messianiche si avrà soltanto quando giungerà la sua ora, cioè nella sua passione, morte e Risurrezione che avverrà il “terzo giorno”, espressione con cui è iniziato il racconto di Cana. Solo allora si manifesterà in modo eclatante la sua gloria. Quelle gocce di sangue e acqua che sgorgano dal suo costato trafitto sono l’inizio del compimento di tutte le profezie; l’inizio dell’Alleanza. Non mancherà più il vino e sarà di qualità; e neppure l’acqua per la vera purificazione.

In questa luce, Gesù appare come il vero mediatore tra Dio e l’umanità, come colui che dà inizio alla nuova Alleanza, cioè alle nozze tra Dio e il suo popolo che è l’umanità intera e che ora può essere purificata da ogni peccato. Gesù è colui che tutti unisce in comunione perfetta con Dio, nello Spirito Santo.
Una doverosa ritrattazione: Nel mio articolo di marzo del 2006 e nel mio commento a Giovanni, seguendo la totalità degli autori sostenevo che lo “sposo” è Gesù. Ora seguendo Leòn-Dufour mi ritratto con lui e dico: “I contraenti alle nozze non sono Gesù e l’umanità, ma Dio e Israele”. E ciò in perfetta linea con le Scritture.

La cacciata dei venditori dal Tempio (2,12-22)

L’immagine di Gesù che entra nel Tempio è certamente nella linea dei profeti e un po’ simile a Geremia, chiamato a “distruggere e costruire” (due verbi usati nel racconto); essa richiama pure con forza quanto dice il profeta Malachia: «Chi potrà sopravvivere quando giungerà» (3,21). Il Signore infatti viene per purificare e realizzare quanto dice il profeta Zaccaria: «In quel giorno non ci saranno più mercanti nella casa del Signore» (11, 21). Questo spiega il gesto e la parola di Gesù: «Non fate della casa del Padre mio (è la prima volta che Gesù parla del Padre) un luogo di mercato». Il Tempio luogo di incontro dei figli con il Padre non può essere ridotto a un mercato, dove gli interessi sono ben diversi. Perciò Gesù caccia via tutti bestie e persone. Quel “li cacciò via tutti” non è forse un segno significativo per dire che i riti sacrificali sono decaduti? Su questa linea ci sembra di poter dire secondo l’evangelista il quale fra poco identificherà il Tempio con il corpo di Gesù, che il fatto della cacciata dei venditori simboleggia il passaggio dall’ordine cultuale a un ordine personale. La riconciliazione di Israele non si compirà più mediante i sacrifici prescritti dalla legge, ma mediante il dono di Gesù stesso.

Seguono due interpretazioni. La prima è quella dei discepoli che ricordano un detto delle Scritture: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (Sal 69,10). È l’interpretazione migliore, anche se probabilmente è pasquale. Comunque sembra che i cristiani esprimano bene i sentimenti dei discepoli che contemplano Gesù tutto preso dalla causa di Dio. Il verbo “divorare” ha infatti il senso metaforico di “essere consumato da”. Nel gesto di Gesù i discepoli vedono l’inizio di un’attività ardente che si svolgerà senza compromessi. Essi sono in presenza del Giusto che durante tutta la sua vita difenderà l’onore di Dio.

Diverso l’atteggiamento dei dirigenti giudei che impegnano Gesù in una disputa: «Quale segno ci dai per agire così?». La risposta di Gesù è chiara: «Distruggete pure questo Tempio e io in tre giorni lo ricostruirò» (v. 19). Ci risero sopra: «Ci sono voluti quarantasei anni per costruirlo e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Alla parola di Gesù abbiamo aggiunto un “pure”. Si mette meglio in risalto che Gesù vuole dire loro: “Se continuate ad agire così finirete per portare questo Tempio alla distruzione”, lui invece lo ricostruirà. Non dice come, ma dopo la sua Risurrezione per i cristiani è chiaro che egli parlava del suo corpo.

Aveva infatti il potere di dare la sua vita e di riprenderla. E questo lo hanno capito ricordando la Scrittura e quello che Gesù aveva detto. Innanzitutto la Scrittura rimane sempre il fondamento per capire il mistero. Non la si può eliminare (10,35). Il Salmo 69, già citato, offre un aiuto: prima della Pasqua, avevano colto lo zelo ardente del Messia per l’opera di Dio; dopo la Risurrezione vi riconoscono un annuncio della sua passione: «Il mio zelo mi costerà la morte». La prima comunità, più tardi ha visto nella distruzione del Tempio (anno 70) un contraccolpo della morte di Gesù; mentre le parole: «Io lo farò risorgere il terzo giorno», indicano Gesù come il nuovo Tempio di Dio, come il luogo di incontro tra Dio e gli uomini.

Concludiamo con una pagina di Leòn-Dufour: «Il corpo di Gesù, la sua carne, è la dimora della gloria di Dio; su Gesù salgono e scendono gli angeli; su di lui riposa in modo permanente lo Spirito; Gesù è stato consacrato dal Padre, così che il Padre è in lui e lui nel Padre; in questo santuario dove fa abitare il suo nome, si raduneranno tutti gli adoratori e saranno consumati nell’unità: tutti parteciperanno alla santità del Tempio “perché noi verremo a loro e faremo in loro la nostra dimora”. Il nuovo santuario annunciato da Gesù è il suo corpo risuscitato, un corpo da cui zampillano in abbondanza e per sempre le sorgenti di acqua viva» (Ap 21,22).

Preghiamo

Gesù, meditando queste pagine sento che se voglio camminare con te nella storia debbo imitarti. Aiutami a vivere senza compromessi in comunione con il Padre; ad essere come Maria aperto alle necessità degli altri e a dire a tutti, amici e nemici, la parola giusta perché possano sempre purificarsi dal peccato e dissetarsi alle sorgenti della vita. Amen!

                                                      D. Mario Galizzsdb


 IMMAGINI:
Giovanni il Battista ha il compito di indicare Gesù presente nel mondo. I suoi discepoli, infatti, dopo questo annuncio, lo lasciano per seguire il Messia.
2  La chiamata dei discepoli avvenne in contesti molto differenti. Probabilmente in seguito ad alcuni miracoli compiuti da Gesù e dopo che aveva già iniziato la predicazione in Palestina e il suo nome si era diffuso fra la gente.
3 Le nozze di Cana, Jan Vermeyen (1550-1559), Rijksmuseum Amsterdam. / Le nozze di Cana indicano lo sposalizio fra Gesù e l’umanità sua sposa. Sono un simbolo della divina Incarnazione del Verbo.
Cacciata dei mercanti dal Tempio, Luca Giordano (1634-1705) - Napoli. / La purificazione del Tempio di Gerusalemme è posta da Giovanni all’inizio del Vangelo per indicare che Gesù sostituirà col suo corpo, per tutto il tempo della predicazione, fino alla Croce, i sacrifici compiuti nel Tempio.



       RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 2
      
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