HOME PAGE - ITALIANO  / FORMAZIONE CRISTIANA   / FORMAZIONE MARIANA  /  INFO VALDOCCO

         
        
Giovanni 5,1-47
          
  IL FIGLIO DI DIO RISANA L'UOMO

Stiamo per affrontare il capitolo 5 di Giovanni, giudicato il più difficile. Perciò è necessario partire da dati certi per leggere correttamente il testo. Nessuno nega che il capitolo contenga dati storici. Si pensi alle controversie sul sabato e alla guarigione del paralitico, di cui si parla nei primi 18 versetti. Ma tutto il resto del capitolo (vv. 19-47) ha un linguaggio incompatibile per i discepoli e i giudei contemporanei di Gesù.

Ora a noi sembra che, se vogliamo leggere correttamente il testo, dobbiamo partire dal fatto che «Giovanni scrive dopo la Pasqua, quando lo Spirito Santo, già dato, consente ai discepoli di ricordare tante parole dette da Gesù e di coglierne il senso, ma questo è anche un tempo in cui il conflitto tra i cristiani e la sinagoga mette in discussione la loro fede» (Leòn Dufour). La situazione storica si attualizza nei loro dibattiti.

A noi perciò sembra che Giovanni, con il suo linguaggio, cerchi di spiegare quanto si dice in 1,18: «Dio, nessuno l’ha mai visto, ma l’Unico Figlio, che è Dio, e che è sempre in contemplazione del Padre ce lo racconta». Il cristiano del tempo di Giovanni ascoltando o leggendo il suo racconto sente parlare il Gesù Risorto che racconta il Padre nel suo perenne agire nella storia e dice che quello che fa il Padre lo fa anche lui, cioè egli imita il Padre. Perciò se noi imitiamo Gesù siamo in comunione con il Padre.

La guarigione del paralitico (5,1-18)

Si inizia dicendo che “ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. Impossibile sapere di quale festa si tratti; forse l’evangelista non lo specifica per fare meglio risaltare il “sabato” di cui si parla quattro volte. Di solito quando si va a Gerusalemme, la prima visita era al Tempio e, invece qui, troviamo Gesù in un luogo di dolore. Era alla piscina di Betzata che aveva 5 portici e che era affollata di ammalati. Gesù li osserva e si fissò su un uomo che era lì da trentotto anni; era il più abbandonato. Gesù gli chiede: “Vuoi guarire?”. Quello, forse già disperato, gli risponde: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nell’acqua”. E Gesù gli dice: “(non ce n’è bisogno), alzati, prendi la tua barella e cammina”. L’uomo fece così, ma già Gesù se n’era andato via.

Il testo (v. 9b) annota: «Era sabato quel giorno». È questa la frase che domina il racconto. I dirigenti Giudei infatti, vedendo quell’uomo gli dicono: “È sabato, non ti è lecito portare la tua barella”. E quello: “È colui che mi ha guarito che mi ha detto di fare così”. Vollero sapere chi era, ma lui non lo sapeva. Però Gesù ha ancora qualcosa da dirgli. Incontrandolo nel Tempio gli dice: “Eccoti guarito. Non peccare più perché non ti capiti qualcosa di peggio”.

Quell’uomo appena seppe che era Gesù, andò dai Giudei e disse loro che l’aveva guarito Gesù. Non pensava certo all’ostilità tra loro e Gesù. Ma quel che sorprende è che a loro non interessa la guarigione, ma la violazione del riposo sabbatico. Per questo incominciarono a perseguitare Gesù. Per essi il sabato era il giorno in cui si commemorava il “riposo di Dio” dopo la creazione, ma non pensavano che era anche “memoria della liberazione dall’Egitto” e che bisognava mettere segni di liberazione come ha fatto Gesù con la guarigione. Quindi disse ai Giudei: “Il Padre mio agisce sempre (sottinteso: anche di sabato) e perciò anch’io agisco”. E allora «i Giudei cercavano di uccidere Gesù, perché violava il sabato e chiamava Dio suo Padre» (v. 18).

È suonata la prima minaccia di morte per Gesù, e si ripeterà in continuità nei capitoli dal 5 all’11 da alcuni intitolati: “Il grande processo contro Gesù”. Infatti il processo a Gesù, Messia e Figlio di Dio, che i Sinottici concentrano nella comparizione di Gesù davanti al Sinedrio, si snoda lungo tutti questi capitoli, toccando il suo apogeo nella sentenza del Sommo Sacerdote (11,51-52).

La minaccia di morte che pende su Gesù è il filo rosso che li unisce. Ma in essi si parla anche della vittoria del Figlio che si rende presente attraverso la libertà con cui egli, il Rivelatore, fa conoscere la sua identità e la sua missione.

La Rivelazione (5,19-30)

Siamo di fronte a una pagina di Vangelo enormemente ricca teologicamente e cristologicamente. La citeremo tutta in corsivo inserendola secondo l’ordine dei versetti nella spiegazione. Solo un’osservazione iniziale: il primo versetto inizia dicendo:
“Il Figlio da se stesso non può fare nulla”. L’ultimo versetto dice: “Io da me stesso non posso fare nulla”. Tutto il resto è racchiuso da queste due frasi uguali e ciò dice che siamo di fronte a una unità letteraria perfetta che ha senso completo in se stessa. Cerchiamo di capirla.

Gesù riprese a parlare e disse: “In verità, in verità vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa lo fa anche il Figlio allo stesso modo”.

Il Figlio incarnato fa quello che fa il Padre. Perciò il Figlio visibile rivela l’invisibile e siccome quello che fa il Padre lo fa allo stesso modo, egli è il vero Rivelatore di Dio e quindi è vero quanto dice a un discepolo in 14,9: “Chi vede me vede il Padre”. Il Figlio appare qui come l’apprendista del Padre. Il loro agire si sintonizza al massimo, sono in una comunione perfetta e totale o, come si dice in 10,21: “Io e il Padre siamo una cosa sola”: Due in Uno. Quest’unione è data dall’amore: «Il Padre ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste affinché voi ne siate ammirati». Osservando il Figlio nel suo agire umano ci si accorge che è sempre “novità” dall’inizio sino alla fine quando il Padre compie l’opera più grande, glorificando il Figlio e innalzandolo alla sua destra.
«Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole».

Il Padre e il Figlio sono “la Vita”, che comunicano insieme all’umanità. Il Padre non è il Dio dei morti ma dei viventi. “A chi vuole”, perché il dono della vita in senso pieno non può essere imposto come una cosa, dato che esso avviene nella comunione delle persone: c’è chi l’accoglie e chi lo rifiuta. Questo ci porta all’idea del giudizio.

Il Padre non condanna nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato.
L’opera di Dio, condivisa dal Figlio, è la comunione ai credenti della vita che l’uno e l’altro possiede in se stesso. Da questa realtà assoluta, il giudizio appare come il rovescio della medaglia che coincide con il rifiuto di entrare mediante il Figlio in comunione con Dio. Questo significa “non onorare il Figlio alla pari del Padre”.

In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.
La rivelazione di Gesù raggiunge qui il suo punto culminante, Egli annuncia in quale maniera interviene affinché la vita eterna sia comunicata ai credenti: mediante la Parola. Fin qui si è parlato di un “fare” del Padre e del Figlio. Ora si mette in risalto la Parola come luogo della chiamata alla vita degli uomini. Con essa Gesù rivela il Padre e se stesso e consente agli uditori il riconoscimento e la capacità di entrare in relazione con il Padre e il Figlio. Altro dato importante è il verbo “credere” riferito al Padre, il mandante. Ascoltare la Parola e affidarsi al Padre è ciò che l’uomo può fare nel suo intimo.

Terzo dato: “il passaggio dalla morte alla vita”. Esso viene espresso con il tempo verbale del perfetto, perciò si tratta di una realtà che continua. Perché è certamente vero che la morte continua a infierire, ma essa è oramai alle spalle del credente che è nato alla vita di Dio e che per questo non va incontro al giudizio, essendo già in modo permanente in situazione di salvezza. Ciò viene ripetuto nel versetto: “In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata vivranno”.

Anche qui c’è l’affermazione solenne: «In verità, in verità» e si afferma che coloro che avranno ascoltato, si intende: e accolto, la voce del Figlio vivranno. Il cristiano che vive con coerenza l’ascolto della Parola non può dubitare della salvezza.
Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare perché è il Figlio dell’uomo.
Qui Gesù contempla il Padre come unica sorgente di vita e afferma che sente la sua come un dono: “gli ha concesso” di avere anche lui “la vita in se stesso”. Dicendo questo si differenzia da ogni altra creatura riaffermando quell’intimo legame col Padre di cui ha parlato il Prologo. A questo punto sarebbe bello se ripetesse: ed “egli ha il potere di comunicarla” (v. 21). Invece si ritorna all’idea del giudizio (v. 22) che si compie mentre scorre la storia e che dipende dalla decisione di ogni uomo di fronte alla parola del Figlio e di fronte al Padre che lo ha mandato.

Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno quanti hanno fatto il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Ora non si parla più della parola del Figlio attiva nella storia, ma si parla della fine, di una storia che avanza verso un termine, un compimento assoluto. Ed è bello annotare che non si parla soltanto dei credenti ma di tutti gli uomini, anche di coloro a cui non è giunta la sua parola. Ma che si sono impegnati a “fare il bene”. Alla fine anch’essi udranno la parola del Figlio e sarà per loro “una risurrezione di vita”. Sentiamo qui quanto Dio ama il mondo e desidera la salvezza di tutti. Solo coloro che hanno fatto il male non si salveranno.

Io da me stesso non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
La prima frase l’abbiamo letta anche all’inizio. L’unica differenza è che là il soggetto era il “Figlio”, mentre qui Gesù personalizza al massimo e dice “Io”. Poi là si parlava di fare, ma qui dopo quanto si è detto, Gesù continua a parlare di “Giudizio” e dice che lo esercita “secondo quello che ascolta”. Perciò si continua a percepire che il Padre e il Figlio agiscono all’unisono, in perfetta sintonia. Questo dice che il giudizio che dà il Figlio non può che essere giusto. Sono sempre in comunione perfetta, sono una cosa sola (10,21).

La testimonianza del Padre a favore di Gesù (5,31-47)

Senza alcuna interruzione continua il discorso diretto di Gesù. Il suo linguaggio però non è più quello solenne della rivelazione (5,19.24.25); è più familiare e coinvolge di più gli uditori. La relazione «io-voi» diventa parte integrante della tematica. Siamo però sempre in un clima di giudizio, con una differenza.
Nel brano precedente Gesù è apparso come il giudice, qui appare come uno che si difende e che ha bisogno di testimoni a suo favore. Ma sa fin troppo bene che, secondo le regole vigenti, nessuno può dare testimonianza di se stesso. Il racconto è molto interessante, ma dobbiamo riassumere per questione di spazio.

Gesù cita come primo testimone Giovanni Battista e dice di lui che «ha dato testimonianza alla Verità». Il cristiano che legge sa che “Gesù è la Verità”. Subito però dice che egli non «accetta la testimonianza di un uomo», però cita Giovanni perché sa che i suoi interlocutori si sono rallegrati per un momento all’udire Giovanni e poi aggiunge: «Solo lo ricordo affinché possiate salvarvi». Qui c’è tutto Gesù: egli cerca la salvezza dei suoi nemici. Quindi afferma che ha tre testimonianze molto valide: le opere, il Padre, le Scritture.

Le opere

Quelle opere che egli, come Figlio non fa da se stesso, ma perché le vede fare dal Padre (5,19.30), “testimoniano che il Padre lo ha mandato” e che opera per mezzo del Figlio (5,17). Lo ha riconosciuto lo stesso Nicodemo, quando andò di notte da Gesù e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio. Nessuno infatti può fare questi segni (opere) che tu fai se Dio non è con lui» (3,2). Perciò le opere come quella della guarigione di un rattrappito sono una testimonianza di Dio a favore di Gesù.

Il Padre

Se le opere che egli fa non si possono compiere senza l’aiuto di Dio, quelle stesse opere sono pure testimonianza di Dio a suo favore. Le sue opere perciò mettono l’uomo in situazione di leggerle come “parola di Dio” e quindi di riconoscere che il Dio di Israele oggi si rivela in Gesù.
Ma i suoi uditori immediati sono in situazione di capire? Il contrasto tra loro e Gesù è abissale. Parlando di Dio come suo testimone dice: «Io so che è valida la testimonianza che egli mi dà» (8,32) e dei suoi interlocutori dice: «Voi però non avete mai udito la sua voce, né mai avete visto il suo volto». È una dura accusa soprattutto se “l’udire” è inteso come un ascolto che provoca l’ubbidienza, la fede, l’adesione alla parola di Dio.

Le Scritture

Israele sempre ascolta Dio quando si proclamano le Scritture; c’è però il fatto che questa parola in alcuni contemporanei di Gesù, “non si è radicata in essi” (5,38), non l’hanno veramente accolta. Possono essere maestri in Israele, ma di fatto non sanno dove la parola li vuole portare. Pensano di avere per mezzo delle Scritture la “vita eterna”, ma non le hanno mai intese come un cammino verso colui che, accolto, dà la vita a chi vuole (5,21). Quali ostacoli ci possono essere in essi per avere in Gesù la vita? Gesù lo sa e con coraggio lo dice ai suoi interlocutori, e oggi a noi.

Gesù spiega l’incredulità dei suoi uditori (5,41-47)

La parola di Gesù è molto chiara; limitiamoci alla lettura. La gloria che viene dagli uomini io non l’accetto. Ma conosco voi e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete, se invece uno viene di propria iniziativa lo accogliete. Come potete credere se accettate quella gloria che vi date gli uni gli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non pensate che sia io ad accusarvi davanti al Padre. Chi vi accusa è Mosè nel quale voi sperate. Se infatti voi credete davvero in Mosè, potete credere anche in me, perché di me egli ha scritto. Ma siccome non credete in quello che egli ha scritto, come fate a credere alle mie parole?

Cosa dobbiamo dedurre?

Solo chi cerca la “Gloria di Dio”; solo chi mette sempre Dio al primo posto può ascoltare Gesù, accoglierlo e avere la vita.


                                                                   D. Mario Galizzsdb


                                                                            +

La mattina del 27 febbraio 2007, il Signore ha chiamato a sé Don Mario Galizzi nostro valente collaboratore.
Don Mario aveva 81 anni, da 57 era Salesiano e da 50 Sacerdote.

La sua competenza in campo biblico, la sua spiritualità semplice, familiare, profondamente ottimista e gioiosamente salesiana ne facevano un uomo di Dio apprezzato e ricercato. La sua visione fraterna della comunità credente, la sua fedeltà alla Tradizione e il suo spirito gioviale si riversavano nei suoi scritti, apprezzati e diffusi in molti Paesi.

Studioso, predicatore, missionario e innamorato della Scrittura, ora Don Mario ascolta la Parola che ha annunziato e continua ad essere presente in mezzo a noi anche con il suo prezioso lavoro preparato già da tempo per i lettori della nostra Rivista. Mentre continueremo a nutrirci delle sue impareggiabili riflessioni, ricordiamolo nelle nostre preghiere.


 IMMAGINI:
1
Scavi a Betzata. Per molto tempo si sospettava che non potesse esistere una piscina a cinque portici a Gerusalemme. Gli archeologi hanno invece dimostrato che il Vangelo di Giovanni diceva il vero.
2  Gesù a Betzata, Palma il Giovane (1592), Collezione Molinari Pradelli, Castenaso. / Ai Farisei non interessa la guarigione operata da Gesù, ma la violazione del sabato.
3   La parola di Gesù è il luogo in cui gli uomini vengono chiamati alla vita. / Trinità, dal Libro delle Ore del Duca di Berry (1380), Museo Civico d’Arte Antica, Torino.
Trinità, Antonio de Pereda (1600- 1678) Museum of Fine Arts, Budapest. / Le opere compiute da Gesù sono la testimonianza del Padre a suo favore. Segno della provenienza divina di Gesù e della comunione fra Lui e il Padre.

        RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 5  
       HOME PAGE - ITALIANO  /  FORMAZIONE CRISTIANA   /  FORMAZIONE MARIANA  /  INFO VALDOCCO

         VISITA Nr.