Giovanni c. 8,12-59
IO SONO LA LUCE DEL
MONDO
IO SONO
(8,12-59)
Di nuovo Gesù
parlò loro dicendo: «Io sono la Luce del mondo».
Il di nuovo vuole agganciare il racconto a quello
dellultimo giorno della festa delle Capanne quando Gesù
disse: «Chi ha sete venga a me e beva». Era la festa
dellacqua; ora alla sera dellultimo gran giorno si
svolgeva la festa della luce e nel Tempio era tutto uno sfavillio
di luci. Ebbene questo è il contesto della nuova rivelazione:
«Io sono la Luce del mondo».
Gesù
è ancora nel Tempio e pronuncia il suo discorso nel luogo
del Tesoro (8,20). Questa constatazione però fa sentire
che lepisodio delladultera (8,1-11), collocato la
mattina seguente è fuori posto e non permette di continuare
la Catechesi dellevangelista. Inoltre, non è di
stile giovanneo, ma piuttosto lucano.
Infatti molti manoscritti tardivi lo collocano dopo Lc 21,38
o alla fine del Vangelo. Altri manoscritti ce lhanno dopo
Gv 21,15.
Forse è
stato collocato qui verso la fine del secondo secolo. È
un brano che interrompe bruscamente la sequenza dei cc. 7-8.
Perciò non ci soffermiamo sullepisodio delladultera
e lasciamo agli storici le lunghe discussioni, annotando però
che i Padri Greci non lo conoscono prima della fine del secolo
IV; solo alcuni Padri latini lo attestano prima.
Uno sguardo
a 8,12-59
La prima osservazione
è che il capitolo forma una perfetta unità: inizia
con lespressione Io sono (la luce)e finisce
dicendo: IO SONO, la formula più solenne della Bibbia.
È già chiaro che levangelista continua a
presentare ai cristiani Gesù sia come il Rivelatore del
Padre sia se stesso in relazione al Padre: è la sua vita
intima con il Padre che conta; si immedesima tanto nel Padre
da essere Dio con lui. Alla rivelazione della sua divinità
si unisce la chiamata per ciascuno di noi a entrare nella comunione
divina e a sentirci figli di Dio. Tutto ciò però
si intreccia con il racconto di una lunga e dura polemica con
il giudaismo, che ci richiama le grandi polemiche del Gesù
terreno con i dirigenti giudei, i farisei e i sadducei.
Qui la polemica
è portata al massimo e a volte si ha limpressione
che la rivelazione tocchi linsuccesso, ma alla fine è
sempre Gesù che appare in una luce sfolgorante. Anche
questo capitolo viene qualificato come uno dei più difficili,
ma questo non ci impedisce mai di contemplare Gesù che
si rivela. Lo si può suddividere in due parti. Nella prima
(8,22-30) Gesù giustifica laffermazione iniziale:
Luce del mondo. A tale scopo egli afferma la sua
unione con il Padre, che la sua elevazione rivelerà
in piena luce. La seconda parte (8,31-59) si costruisce attorno
alla figura di Abramo il credente, di cui gli uditori si dichiarano
figli. La domanda è: Chi sono i veri
figli di Abramo?.
Gesù,
Luce del mondo (8,12-20)
«Io sono
la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma
avrà la luce della vita».
Abbiamo detto che siamo alla sera dellultimo giorno della
festa delle Capanne. Il popolo con una grandiosa luminaria, faceva
memoria della nube luminosa che lo aveva accompagnato nel deserto.
Era il segno della presenza del Signore, Luce di Israele, che
di notte indicava la via da percorrere (Es 13,20-22). Però
non era solo memoria di un passato, era anche unesperienza
perenne per lIsraele fedele: Dice il salmista: «Quando
ci illumini, viviamo nella luce» (Sal 36,9s); ed era anche
un annuncio di
un meraviglioso futuro, quello dei tempi messianici, quando il
popolo sommerso nelle tenebre, «vedrà una grande
luce» (Mt 4,16). Il Messia è infatti chiamato «luce
per illuminare le genti» (Lc 2,32), non solo Israele.
In questo contesto,
appare chiaro che Gesù era cosciente di portare a compimento
le antiche profezie e che sarà la sua luce a fugare le
tenebre in chi lo accoglie. Qui Gesù parla di sé
e quindi è logica lopposizione. «Gli dicono
i farisei: Tu dai testimonianza di te stesso, la tua testimonianza
non è valida», unaffermazione che Gesù
ha riconosciuta vera (5,31). Perciò spiega il perché
ora la sua testimonianza è valida e lo fa nella luce della
sua relazione con il Padre: «Anche se io dò testimonianza
di me stesso, la mia testimonianza è vera perché
so da dove vengo e dove vado... Nella vostra legge sta scritto
che la testimonianza di due persone è valida. Ebbene ora
sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre
che mi ha mandato, mi dà testimonianza». Gli dicono:
Ma dovè tuo Padre?. Gesù rispose:
Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste
me, conoscereste anche il Padre mio.
Gesù
sa che lo rifiuteranno, mentre per i cristiani questa finale
è molto importante: essa equivale allaltra: «chi
vede me, vede il Padre». Il cammino per conoscere il Padre
consiste nellapprofondire la conoscenza di Gesù,
il quale con la sua vita ci narra il Padre. Gli altri invece
debbono aver tentato di arrestarlo, solo che la sua ora non era
ancora venuta. Però...
È
triste rifiutare Gesù (8,21-30)
Nel versetto
precedente si è detto che la sua ora non era ancora
venuta. Ora Gesù interpreta la sua ora come un ritorno.
Si è soliti tradurre: Dove io vado, ma il
senso è quello di un ritorno dove era prima. Ora ai suoi
interlocutori dice: «Mi cercherete ma non mi troverete,
perché dove io ritorno voi non potete venire e morirete
nei vostri peccati», le tenebre sono il vostro luogo, perché
rifiutate me, la luce del mondo. Lincomprensione è
logica. In 7,35 di fronte a un simile discorso si sono detti:
«Andrà forse a predicare ai pagani?». Qui
dicono: «Vuole forse uccidersi». Capirono che Gesù
stava parlando di morte, solo
che non sarà lui a uccidersi, saranno loro a ucciderlo.
È già
chiaro che essi e Gesù sono su due piani distinti. E Gesù
spiega la differenza: «Voi siete di quaggiù, io
sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono
di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati.
Se infatti non credete che io sono, morirete nei
vostri peccati». Cè un modo per superare la
distinzione lassù, quaggiù; cè
solo da credere chi è Gesù.
Queste parole
di Gesù dicono che egli sempre cerca la loro salvezza
e sollecitano la loro domanda: «Tu chi sei?» Gesù
rispose loro: Quello che vi dico fin dal principio: Io
sono il pane disceso dal cielo, Io sono la luce del mondo, sono
colui che il Padre vi ha mandato e che dico quello che ho udito
da lui. Non capirono e allora Gesù guardò
avanti nella speranza e disse: «Quando avrete innalzato
il Figlio delluomo allora riconoscerete che Io sono e che
non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato».
Gesù sente che il suo popolo un giorno giungerà
alla fede in lui. E i giudeo-cristiani sperimentano che in loro
la parola di Gesù si è realizzata e che Gesù
ha davvero narrato il Padre e ora il narratore tocca un tema
bellissimo:
Gesù
rende liberi (8,31-37)
Questo titolo
nasce da quella libertà che viene dalla fede di Abramo.
Attorno alla sua persona si sviluppa ora la seconda parte (8,31-59).
Il primo brano è significativo: è racchiuso da
due frasi simili: «Se voi rimanete fedeli alla mia parola...conoscerete
la Verità e la Verità vi farà liberi...
Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi».
La prima frase indica la condizione per essere liberi: adesione
totale alla sua parola, al suo insegnamento. Solo così
possono comprendere la Verità ed essere liberi. Ma negli
uditori questo parlare suscita contrasto: «Siamo stirpe
di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno».
Si sente qui
lorgoglio di un popolo, anche se è sotto loccupazione
romana.
Gesù risponde: «Chi commette il peccato è
schiavo del peccato», è nelle tenebre. Inoltre,
«lo schiavo non rimane nella casa per sempre, il Figlio
vi resta per sempre». Dicendo questo Gesù ripete
un proverbio legato alla vita sociale; ma, allo stesso tempo,
orienta il pensiero verso unallegorizzazione che vede nel
Figlio del Padre, colui che è in intima relazione con
Dio e perciò rimane per sempre nella famiglia divina.
Il passaggio al versetto citato sopra, si presenta agevole. È
il Figlio che fa liberi. Laffermazione iniziale sulla verità
viene ripresa, ma trasposta sul Figlio; in lui quindi si esprime
la Verità. La liberazione promessa acquisisce in tal modo
un senso positivo di filiazione e con ciò
stesso ne suggerisce il carattere divino. Ma gli uditori di Gesù
sono in situazione di essere figli? Gesù dice: «So
che siete discendenti di Abramo, ma intanto cercate di uccidermi
perché la mia parola non trova accoglienza in voi».
Per fare questo dovreste mettervi in situazione di
Agire come
figli di Abramo (8,38-41)
Ora è
chiaro che per essere figli di Abramo bisogna accogliere la parola
di Gesù, il quale non ci inganna perché dice: «Io
dico quello che ho visto presso il Padre mio, anche voi fate
quello che avete ascoltato
dal padre vostro». Non si precisa di quale padre
si tratta, sono gli uditori che lo dicono: «Il padre
nostro è Abramo». Gesù disse loro: Se
Abramo fosse il padre vostro fareste le opere di Abramo..., ma
non potete esserlo perché cercate di uccidere me, un uomo
che vi ha detto la verità udita da Dio; questo Abramo
non lavrebbe fatto».
Udita
da Dio, lespressione continua a sottolineare lintima
comunione con il Padre. È il Figlio che è sempre
rivolto verso il Padre e che perciò ce lo può raccontare
(1,18). Ed ecco laffondo di Gesù: «Voi fate
le opere del padre vostro». Gesù nega che siano
figli di Abramo e afferma che hanno un altro padre. Di qui la
reazione: «Noi non siamo nati da prostituzione, abbiamo
un solo padre: Dio». Non capiscono che si è figli
di Dio solo quando si vive come Abramo nella fede e, sperando
contro ogni speranza, in piena accoglienza di Dio che ora parla
per mezzo di Gesù. E qui costatiamo che ci sono
Due paternità
(8,42-47)
Oramai è
chiaro che per Gesù i suoi uditori non sono né
figli di Abramo, né figli di Dio, perché
dice «Se Dio fosse vostro Padre mi amereste perché
sono uscito da Dio e vengo da lui; non sono venuto da me stesso,
è lui che mi ha mandato». Poi osserva la loro situazione
e li sente oramai incapaci di accogliere il suo linguaggio e
allora lancia laccusa più pesante: «Voi avete
per padre il diavolo e volete (è forte questo verbo) compiere
i desideri del padre vostro». Gesù sembra crudele,
eppure dice il vero, quando analizzando la prassi di chi lo rifiuta
afferma che si autoescludono dalla verità che li rende
liberi per assoggettarsi al Maligno. Come lui infatti sono omicidi
perché lo vogliono uccidere, come lui vivono nella menzogna
perché rifiutano la Verità. Quindi non possono
essere figli di Dio e di Abramo.
Verso la
piena rivelazione (8,48-59)
Il titolo è
positivo e ci fa guardare Gesù che nelle sue parole dice
verità già enunciate. Tutto ha inizio con una domanda
feroce dei suoi avversari: «Non abbiamo forse ragione di
dire che sei un Samaritano e un indemoniato?». Già
lavevano accusato di essere un indemoniato (7,19), ora
lo trattano come un samaritano, un eretico. Con ciò negano
la verità del suo insegnamento e come indemoniato affermano
che è lui a vivere nella menzogna.
Gesù
non risponde allinsulto con linsulto, ma cerca sempre
la loro salvezza e cerca di metterli a confronto con Dio, li
invita a onorare Dio e poi ad accogliere la sua parola: «In
verità in verità vi dico: se uno accoglie la mia
parola non vedrà mai la morte», cioè non
avrà lesperienza della morte. Come per Gesù
la morte è stata un passaggio da questo mondo al Padre,
così sarà per chi crede in lui. Quando gli altri,
fondandosi su ciò che vedono, diranno: è
morto, in realtà sapremo che cosè la
Pasqua, saremo passati da questo mondo al Padre.
Questo certo
non lo capirono gli uditori di Gesù che gli dicono: «Abramo
è morto, come anche i profeti e tu dici: Se uno
osserva la mia parola non vedrà mai la morte?».
«Gesù rispose: Abramo, vostro padre, esultò
nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e fu pieno di
gioia. I Giudei gli risposero: Non hai ancora cinquantanni
e hai visto Abramo? Rispose loro Gesù: In verità,
in verità io vi dico: Prima
che Abramo fosse IO SONO». Presero delle pietre per
lapidarlo, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Qui cè molto da riflettere.
Vide il mio giorno: cioè vide nella fede che
in Cristo si compiva la terza promessa: «In te saranno
benedette tutte le stirpi della terra» (Gn 12,3; Ger 4,2;
At 3,25). È una promessa che precede la legge di quattrocento
anni e che supera la legge, vista come proprietà di un
solo popolo. Qui infatti si parla di tutte le stirpi della
terra.
Ma pensiamo
allespressione IO SONO. La reazione omicida degli avversari
dice che essi capirono le parole di Gesù non come espressione
di messianicità, ma come espressione di unautorità
che lo rendeva simile a Dio (vedi 5,18). I motivi cerano,
e la tradizione cristiana che nella calma e sotto la guida dello
Spirito Santo, confronta le parole di Gesù con le Scritture
non può non sentire nellIO SONO uneco di Es
3,14: «Io sono colui che sono». Così si rivelò
Dio a Mosé aggiungendo: «Dirai agli Israeliti: IO
SONO mi manda a voi».
Ma ripensiamo
lintero capitolo. Allinizio Gesù dice: «Io
sono la luce del mondo». La frase richiama il Prologo 1,4:
«In lui (= in Colui che è la Parola) cera
la vita, e la vita era la luce degli uomini». La finale
IO SONO ci rimanda a 1,1: «Al principio cera Colui
che è la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola
era Dio». Tra queste due affermazioni si sviluppa in parte
la storia di Colui che era presso Dio, una storia descritta nel
duro contrasto con il giudaismo. Cè volontà
di morte nei suoi uditori, ma Gesù continua a parlare
della sua intima comunione con il Padre che lo ha mandato e dice
parole che danno la vita.
Egli vuole
la salvezza di tutto il suo popolo e non teme il pericolo. Ora
questa salvezza ci sarà in parte solo dopo essere stato
innalzato e ucciso. Dopo ritornerà al Padre per ricevere
quella gloria che aveva prima della creazione del mondo. Perciò
ha ragione quando dice IO SONO, perché non ha mai cessato
di essere Dio. Difficile invece dire quando la prima comunità,
dopo aver contemplato lumanità di Cristo, sia riuscita
a capire che era Dio e a fare il suo atto di fede. Ma quando
lha capito ha detto in uno scoppio di gioia: «Signore
mio e Dio mio» e gli Apostoli hanno parlato di lui chiamandolo:
«LAutore della vita» (At 3,15).
D. Mario Galizzi sdb
+
La mattina
del 27 febbraio 2007, il Signore ha chiamato a sé Don
Mario Galizzi nostro valente
collaboratore.
Don Mario aveva 81 anni, da 57 era Salesiano e da 50 Sacerdote.
La sua competenza
in campo biblico, la sua spiritualità semplice, familiare,
profondamente ottimista e gioiosamente salesiana ne facevano
un uomo di Dio apprezzato e ricercato. La sua visione fraterna
della comunità credente, la sua fedeltà alla Tradizione
e il suo spirito gioviale si riversavano nei suoi scritti, apprezzati
e diffusi in molti Paesi.
Studioso,
predicatore, missionario e innamorato della Scrittura, ora Don
Mario ascolta la Parola che ha annunziato e continua ad essere
presente in mezzo a noi anche con il suo prezioso lavoro preparato
già da tempo per i lettori della nostra Rivista. Mentre
continueremo a nutrirci delle sue impareggiabili riflessioni,
ricordiamolo nelle nostre preghiere.
IMMAGINI:
1
Levangelista
Giovanni non cessa di proporre Gesù come linviato
del Padre che proviene dallAlto e non appartiene a questo
mondo.
2 San Giovanni presenta Gesù
quale luce del mondo al termine della festa delle Capanne, quando
il popolo ebraico con una grande luminaria indicava la nube luminosa
che lo aveva accompagnato nellattraversata del deserto
dopo luscita dellEgitto.
3 Lepisodio delladultera
che si trova allinizio del capitolo è probabilmente
da attribuire alla redazione di Luca e non alla scuola giovannea.
4 Fin dal Prologo, levangelista
aveva presentato Gesù quale luce che illumina ogni uomo.
Ora ne sviluppa la tematica e le conseguenze per la vita eterna
che viene donata a chi accoglie nella sua vita Cristo luce delle
genti.
5 © Elledici
/ Nino Musio /
Mosé
aveva ricevuto nella visione del roveto ardente la manifestazione
di Dio come Colui che è. Gesù attribuendo a sé
quella speciale rivelazione, si costituisce uguale al Padre e
afferma la sua origine divina.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2007 - 8
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