LE PARABOLE DI GESU' / 2
LA PARABOLA DEL SEME

La parabola del seminatore che semina in vari terreni è posta – dai tre vangeli sinottici – all’inizio, come prima parabola narrata, in ordine di tempo; e tutti e tre forniscono anche l’interpretazione data da Gesù (e, frammezzo, il perché Gesù parli in parabole, come abbiamo visto nel precedente articolo). Matteo la riporta al capitolo 13 (vers. 3-23); Marco al 4 (vers. 1-20) e Luca al capitolo 8 (4-18).1

Il soggetto della parabola

Si parla di solito di parabola “del seminatore”, o “del seme”; ma – a dire il vero – Gesù vuole mettere in evidenza la diversità dei terreni e della loro diversa accoglienza del seme: 1) il seme caduto sulla strada e divorato dagli uccelli; 2) il seme caduto in terreno sassoso, subito germogliato ma bruciato dal primo sole (perché il seme non aveva potuto mettere radici); 3) il seme caduto tra le spine e soffocato da queste; 4) il seme caduto su terra buona e che fruttificò il 30, il 60, il 100.
La prima cosa su cui occorre riflettere – anche se la parabola si riferisce al grado di accoglienza del terreno – è il seme. Chi lo descrive meglio, sia pur succintamente, è Luca, che dice espressamente: «Il
seme è la parola di Dio» (8,11). Proviamo ad approfondire questa affermazione.

La parola: istruzioni d’uso

La parola, nella nostra esistenza umana, è lo strumento di comunicazione tra le persone; essa però non ha solo lo scopo di collegare rapporti pratici, di collaborazione, tra le persone; molte volte, sì, ci serviamo della parola solo per scopi molto pratici. Ma, se approfondiamo la nostra realtà di esseri umani intelligenti e capaci (bisognosi!) di amare, la parola ha lo scopo, sublime, di comunicare al nostro prossimo le profondità più intime del nostro essere, del nostro pensare, del nostro amare.
La parola non serve solo al maestro per insegnare, e nemmeno solo all’alunno per rispondere e dimostrare di avere studiato; la parola diventa spesso una necessità del cuore, un bisogno insopprimibile di manifestare i nostri sentimenti. Possiamo anche dire che “più si ama e meno si parla”... ma perché? Perché tra coloro che si amano ogni parola è di una ricchezza straordinaria: esprime tutti i sentimenti del cuore, e pertanto sono sufficienti poche parole!
Quante parole “vuote” si dicono e si ripetono... Ma quando il cuore è ricco di amore e sincero fino in fondo, le poche parole che si dicono contengono una ricchezza immensa, che solo il cuore di chi ascolta è in grado di ricevere, di comprendere, di fare proprie.
Ebbene, “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1-2). Anzi, Gesù è la Parola del Padre (come ci insegna San Giovanni all’inizio del suo Vangelo), colui che in se stesso, nella sua vita (“la Parola si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi”, Gv 1,14), ci ha rivelato l’infinito Amore di Dio!

Dio parla perché ama

Dio ci ha parlato perché ci ha amato e ci ama! E la sua Parola non è soltanto suono di voce, è la vita stessa del Figlio, tradotta in Gesù nell’Incarnazione! Questo è il Seme che il Padre ha gettato nel campo dell’umanità. Dio ci ha amato e ci ama, fino a “farsi noi”, un essere umano come tutti noi. E certamente, già all’inizio della creazione, Dio sapeva che avrebbe creato l’uomo e che il suo Figlio, la sua Parola, si sarebbe fatta carne, si sarebbe tradotta in essere umano: per dirci tutto di Dio! «Chi crede in Me, crede in Colui che mi ha mandato; chi vede Me vede Colui che mi ha mandato» (Gv 12,44-45). Se Gesù è il Seme buttato nella terra dal Padre, Egli ha reso non solo il cento per uno, ma il mille, l’infinito...

Non tutti i terreni sono uguali

E veniamo al terreno. Le chiarificazioni fatte da Gesù sono di un’attualità straordinaria. Oggi noi viviamo in una situazione spirituale per cui – pur avendo ricevuto molto dal Concilio Vaticano II (terminato poco più di 40 anni fa) – non abbiamo ancora saputo cogliere in modo soddisfacente uno dei suoi insegnamenti più forti e penetranti. Attraverso i suoi documenti (soprattutto la costituzione Dei Verbum sulla divina Rivelazione, e la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia), il Concilio ha proposto a tutta la Chiesa un avvicinamento più costante e approfondito alla Sacra Scrittura, traducendola – nei sacri riti – nella lingua parlata dai fedeli. E tuttavia, oggi, quanti sono gli assidui lettori della Bibbia – e in particolare dei Vangeli – che sanno soffermarsi e meditarne con amore gli insegnamenti?
Il seme caduto sulla strada indica, oggi, tutti i fedeli che non leggono mai la Parola di Dio o la leggono senza soffermarsi a meditarla; se la ascoltano durante la Messa, poi la dimenticano e la lasciano da parte.
Il seme caduto tra le pietre indica i superficiali che non si sforzano di applicare gli insegnamenti del Signore e si lasciano convincere più dai ragionamenti umani (i sassi, le pietre) che dalle parole e dagli
esempi di Gesù.
Il seme caduto tra le spine indica tanti fedeli che, pur leggendo e meditando – ma troppo blandamente – la Sacra Scrittura, non la applicano ai loro comportamenti e perciò continuano a vivere secondo le attrattive del mondo secolarizzato. Sono troppo applicati alle proprie faccende (economiche, finanziarie, sensuali, sportive, divertenti...), e così mettono da parte i veri interessi dell’anima e della vita eterna.

Il terreno fertile

Finalmente, il seme caduto nel terreno buono indica i veri appassionati di Dio, di Gesù, che si lasciano guidare da quelle parole che sono “spirito e vita” (Gv 6,63) e le traducono in tutte le forme della loro esistenza quotidiana. Su questo atteggiamento dobbiamo soffermarci, per renderlo autentico e operante, con frutti del trenta, del sessanta, del cento per cento!
Parliamo principalmente dei Vangeli, che contengono l’insegnamento diretto di Gesù e la sua testimonianza, dal Battesimo alle tentazioni, fino alla sua morte e Risurrezione. Ebbene, il Vangelo – nella sua quadruplice esposizione di Matteo, Marco, Luca e Giovanni – è un libro che va letto in atteggiamento di umiltà, ascolto e adorazione: è Gesù che ci rivela, attraverso la sua testimonianza umana, la vita stessa di Dio.
Non possiamo leggerlo di un fiato, dobbiamo fermarci molto spesso, rileggere con attenzione e amore, cercare di approfondire i sentimenti con cui Gesù ha parlato e operato, interrogarlo e interrogarci: che cosa, Chi, Gesù, hai voluto rivelarci? Quali sono i sentimenti più profondi che ti hanno guidato nel parlare, nell’agire, nel soffrire? E noi, con quale intendimento leggiamo e cerchiamo, non solo di capire, ma anche di vivere, di accogliere, di convertirci?
La nostra vera, prima preghiera non è il nostro parlare, ma il nostro ascoltare, il nostro amare e adorare. È inutile qui dare altri suggerimenti. Mettiamoci di buona voglia e cominciamo!
                                                                             
   Don Rodolfo Reviglio

1 Una mini-parabola (ma più che di parabola si tratta di un paragone) c’è già nel cap. 7,41-43.


IMMAGINI:
1  
© Elledici / G. Lagna / La prima parabola narrata da Gesù che i Vangeli ci consegnano è quella del seminatore. Un invito a collocare se stessi davanti all’evento della salvezza.
 © Elledici / Marcello Dasso / Parabole del Seminatore
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 3
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