IL PROLOGO DI GIOVANNI
(1,1-18)
Siamo verso la
fine del primo secolo e cera ancora lapostolo Giovanni.
Era molto anziano e tra i credenti correva la voce che il Signore
avesse detto che non sarebbe morto. Il redattore di 21,23, forse
dopo la sua morte, corresse dicendo che il Signore non aveva
detto a Pietro che non sarebbe morto, ma semplicemente: Se
io voglio che egli
rimanga fino a quando io venga, che te ne importa?.
La comunità cristiana
certamente continuava a godere nel sentire Giovanni parlare di
Gesù. Ma poi venne un periodo di crisi. Ci furono dei
fratelli che, forti delle loro idee filosofiche dicevano che
tutto nellumanità di Gesù era pura apparenza:
egli sembrava uomo, parve nascere, vivere, patire, morire, ma
il suo corpo esisteva solo come pura apparenza, pura raffigurazione
della persona di Cristo.
Erano i così
detti doceti, parola che viene dal greco dokein che
significa sembrare. Di fatto negavano lincarnazione.
La reazione dellanziano
fu dura, ma fatta con parole solenni e incisive. In esse risuona
in continuità un NOI perché Giovanni
parla a nome di tutti gli Apostoli, che insieme con lui furono
i testimoni oculari della vita di Gesù. La loro testimonianza
forma la Tradizione Apostolica, che secondo Paolo
è il fondamento della fede (Ef 2,20). Leggiamo
quanto dicono i noi (1 Gv 1,1-4):
«Colui
che era da principio, Colui che noi abbiamo udito, che noi abbiamo
visto con i nostri occhi, Colui che le nostre mani toccarono,
Colui che è la Parola di vita la vita infatti si
manifestò , noi labbiamo veduta e di ciò
diamo testimonianza e vi annunciamo la Vita eterna che era presso
il Padre e che si manifestò a noi. Colui che abbiamo visto
e udito noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi
siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con
il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose
vi scriviamo perché la nostra gioia sia piena».
Sono importanti i verbi del
contatto, delludire e del vedere che esprimono in concreto
la vera umanità di Cristo, non unapparenza. Nella
sua umanità questa concretezza fa un tuttuno e ci
presentano una persona reale nella sua trascendenza e nella sua
umanità. Si tratta infatti di Colui che
è la Parola di Vita, della Vita eterna che era presso
il Padre e che si manifestò a noi divenendo carne.
Lanziano Giovanni sembra che continui a sperimentare questa
realtà di Cristo e perciò ad annunziarla. E certamente
non gli mancano gli uditori con i quali continua a meditare il
mistero di Cristo.
Probabilmente nella comunità
cera già un Inno cristologico, che era un vero atto
di fede.
LAnziano, con altri credenti capaci, cercò di ritoccarlo
e perfezionarlo. Lavorarono insieme e ne uscì quello che
oggi chiamiamo: Il prologo del Vangelo di Giovanni.
Lo vogliamo meditare ed è logico che noi cristiani, leggendolo,
non possiamo non pensare a Gesù, forse partendo da ciò
che Gesù ha detto al Padre prima della sua Passione: Padre,
glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di
te prima della creazione del mondo (17,5).
Rileggendo
1,1-18
Linizio ci trasporta
nelleternità che il Figlio aveva prima della creazione
del mondo. Il testo dice così:
* In principio cera (già) Colui che
è la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era
Dio.
In molte traduzioni si legge:
In
principio cera il Verbo:
Questa parola è latina,
a noi piace leggerla in italiano, come fa la Bibbia interconfessionale
e dire:
Colui
che è la Parola;
la traduzione è più
aggiornata. Cera già: il termine già
esprime meglio il pensiero, e la prima frase
può essere letta nella luce di ciò che la 1 Gv
1,2, ha detto parlando della Vita eterna che era presso
il Padre. Per questo lespressione in principio
ci trasporta alle soglie della storia, fin nelle profondità
di Dio, di colui la cui conoscenza penetra ogni cosa. Il cera
è un passato che ci fa guardare oltre linizio e
afferma unesistenza che precede linizio, che in se
stessa è anteriore a tutto.
È in questa anteriorità
che noi contempliamo la gloria della Parola prima
della creazione del mondo e contempliamo Colui che è
la Parola presso Dio, rivolto verso Dio, in rapporto con
Dio, in intima comunione con Dio, una comunione di vita tale
da immedesimarsi in lui pur rimanendo distinto perché
Colui che è la Parola era Dio. Il testo sembra
oscillare dalluno verso il due e questo caratterizza il
mistero della relazione: Dio-Colui che è la Parola. Finché
Colui che è la Parola non sarà incarnato e chiamato
Figlio e finché Dio non sarà chiamato
Padre è lunità che prevale sulla
dualità. È vera la parola di Gesù: Io
e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30).
* Egli era in principio presso Dio. Tutto
è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è
stato fatto di ciò che esiste.
Con il v. 2 si intende il passaggio
dallessere presso Dio, che comunque sarà sempre
in atto (v. 12), allessere verso il di fuori,
verso linterlocutore che Dio intende darsi, verso ciò
che sta per essere chiamato in principio, verso lo
sbocciare della creazione. Colui che è La Parola è
con Dio creatore delluniverso e fin dallinizio
appare il mediatore tra Dio e il Creato.
* In tutto ciò che esiste egli
era la Vita, e la Vita era la luce degli uomini e la Luce brilla
nelle tenebre ma le tenebre non lhanno sopraffatta.
Continuiamo con queste parole
a rileggere il primo capitolo della Genesi. Subito contempliamo
Colui
che è la Parola immerso nella creazione come fonte
di vita ed è naturale che questa vita sia in relazione
con Dio, il solo vivente in senso assoluto e perciò, trattandosi
della vita umana, questa per mantenersi deve rimanere in contatto
con lui e ciò è possibile perché la
vita è luce per gli uomini. Secondo il racconto
della Genesi la prima parola che Dio pronuncia è: Sia
la luce.
È una
luce che mette in fuga le tenebre; essa fa scomparire il tohu-wabou,
espressione ebraica intraducibile. Si potrebbe dire il nulla,
il caos. Dopo ciò qualcosa esiste, perché
la vita donata da Colui che è la Parola è
Luce, una luce che manifesta qual è per luomo
il cammino verso la vera Vita, una luce che è
rivelazione e che mette in comunione con Dio, che fa delluomo
un essere dialogante con Dio, come suggerisce Gn 3,8 Dio
soleva passeggiare nel giardino dellEden alla brezza del
giorno.
Ed è anche una luce
che luomo possiede nel suo scontro con le tenebre,
un termine assai ricco di significato, ma che ha il suo culmine
nel peccato che mette luomo contro Dio. Comunque rimane
la sicurezza che la vittoria sarà della Luce perché
le tenebre non riusciranno mai ad arrestarla. Ed
eccoci in piena storia e perciò nella necessità
di meditare come noi abbiamo accolto Colui che è la Parola:
* Ci fu un uomo mandato
da Dio, il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per
dare testimonianza della Luce perché tutti credessero
per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma venne per rendere
testimonianza alla luce.
È logico che la Luce
nella sua lotta contro le tenebre rimanga offuscata da tante
realtà, soprattutto dal peccato. Per manifestarsi ha bisogno
di testimoni, di gente che labbia accolta e che
vuole darne testimonianza. E sono tanti i testimoni apparsi nella
storia, si pensi ai profeti. Levangelista ne sceglie uno,
probabilmente guidato dalla parola di Gesù: Tra
i nati da donna non è sorto alcuno più grande di
Giovanni Battista (Mt 11,11). Perciò Giovanni era
colui che si prestava meglio come tipo e rappresentante
dei testimoni apparsi nei secoli. Certo, noi qui lo contempliamo
fuori del suo tempo, perché Colui che è la
Parola ancora non è divenuto carne (1,14). Ma come
rappresentante è stato ben scelto. Certamente egli
non era la luce, Gesù lha paragonato a una
lampada che arde e risplende (Gv 5,35). E se alcuni si
sono rallegrati della sua luce, in genere è stato ostacolato
e rifiutato. Non meravigliamoci quindi di quanto capita alla
Luce nelle varie tappe della sua storia.
* Continuava a venire
Colui che è la Luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo
di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
La spiegazione più giusta
è quella della Sapienza (13,1): Davvero stolti per
natura tutti gli uomini che vivevano nellignoranza di Dio
e dai beni visibili non riconobbero lartefice pur considerando
le opere. Di qui nacque lidolatria. Lo stesso pensiero
lo leggiamo in Rm 1,18-23. Hanno rifiutato la Luce e scelto di
vivere nelle tenebre, nellignoranza.
* Venne tra la sua gente,
ma i suoi non lhanno accolto.
Del tutto bene non è
andata a Colui che è la Parola neppure nel popolo di Dio.
In quel popolo Colui che è la Parola si è incarnato
nel linguaggio umano, ha cercato di parlare con parole umane. Infatti,
non considerò una cosa gelosa la sua uguaglianza
con Dio e umiliò se stesso adattandosi al parlare di ogni
epoca del popolo che Dio si era scelto e con cui aveva fatto
alleanza. Comunque la frase: i suoi non lhanno
accolto non è valida per tutti. Levangelista
infatti precisa e dice:
* A quanti però lhanno accolto
ha dato di poter diventare figli di Dio, a quelli che credono
nel suo nome, i quali non da sangue né da volere di carne,
né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
È impossibile la spiegazione
di Leon-Dufour il quale dice che in questi due versetti si continua
a parlare di Colui che è la Parola anteriormente allIncarnazione.
LEvangelista non la pensa così. Egli fa del v. 14:
Colui che è la Parola è divenuto carne
il perno di tutto il suo discorso. Riferendoci ora ai vv. 12-13
diciamo che quanti lhanno accolto (passato)
sono coloro che credono nel suo nome (presente: azione
continua). È la fede, dono di Dio, che fa scattare una
trasformazione radicale nella loro persona perché sono
stati generati da Dio e non per una nascita naturale che
può venire dalla volontà di qualche uomo; tutto
è dono di Dio. Gv 3 svilupperà come avviene questa
trasformazione in chi crede.
* E Colui che è
la Parola è diventato carne e ha messo la sua tenda in
mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria
come dellUnigenito che viene dal Padre, pieno di grazia
e di verità.
Queste poche righe danno il
fondamento alle affermazioni di tutto il Prologo. Con lIncarnazione
vi è il dono dellincontro. Non si tratta di un nuovo
stato del Logos come tale, ma di precisare che la sua presenza,
in questa nuova modalità è una dimora tra
noi, è un faccia a faccia: levento
proclamato realizza il noi abbiamo visto la sua gloria.
Il Logos non ha assunto la
carne come si indossa un vestito, ma è divenuto
carne, e questo elimina ogni docetismo. Certo qui non si
proclama la dottrina delle due nature, divina e umana di Gesù
Cristo, ma il pensiero greco saprà scoprirvele legittimamente.
È divenuto carne significa che ha assunto
la condizione misera, debole, precaria del mondo di quaggiù,
e certamente qui si suggerisce
anche la morte. Dopo questa spiegazione è chiaro che non
si può tradurre: divenne uomo, si toglierebbe
tutta la ricchezza del termine carne; non si può
usare unaltra parola.
E non si può tradurre:
e abitò fra noi, ma si deve tradurre: Mise
la sua tenda tra di noi. Questo ci richiama lEsodo.
È infatti venuto a vivere e a farci vivere come in un
Esodo, verso una meta ben precisa: la comunione con il Padre
per leternità. La gloria: nellAntico
Testamento, indica Dio stesso in quanto si rende presente: Dio
in epifania. Ebbene ora questa gloria è concentrata in
Gesù, irraggia da lui, è la sua gloria, segno massimo
della presenza del Padre.
E quindi può anche manifestare
tutta la ricchezza di cui è pieno. Si dice infatti che
è colmo di grazia e di fedeltà, una
frase che viene da Es 34,6 in cui Dio si rivela a Mosè
come ricco di misericordia e di fedeltà o verità.
Ebbene così è il Figlio che ci rivela con la sua
vita lamore misericordioso e la fedeltà del Padre.
Ora il Figlio, divenuto carne,
è visibile nella storia, ma prima di presentarsi ha bisogno
di un testimone, come dice la Scrittura: Manderò
il mio angelo davanti a te, egli ti preparerà la strada
(Mal 3,1). È quello che avviene secondo il nostro testo:
* Giovanni gli rende testimonianza e grida: È
di lui che io ho detto: Colui che viene dopo di me è al
di sopra di me, perché era prima di me.
Parla di Gesù al passato,
come di una realtà già presente: ho detto,
ma che devessere sempre riconosciuta. E vi ritornerà
ancora (1,30). Ora però è la comunità che
confessa la sua fede:
* Sì, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto grazia su grazia. La Legge fu data per mezzo di Mosè,
ma la grazia della verità fu data per mezzo di Gesù
Cristo.
Se prima cera per il
popolo eletto la possibilità di conoscere lamore
misericordioso e colmo di fedeltà di Dio, questo avviene
in modo nuovo e sempre più perfetto in Gesù Cristo.
Gesù è nella sua persona e nella sua opera la rivelazione
della grazia di Dio, cioè della sua misericordia, del
suo hesed, della bontà infinita del Padre; lui solo è
la verità: in ebraico lamen, il sì
del Padre a tutte le sue promesse; lui solo può rivelarci
chi è Dio, perché lui solo lha visto.
* Nessuno ha mai visto Dio, ma lUnigenito
che è Dio e che è sempre rivolto verso il Padre;
lui ce lo racconterà.
Nessuno ha mai visto
Dio!. Si noti quanto segue: ma lUnigenito che
è Dio e ripetendo il v. 1: che è rivolto
verso il Padre, cioè che è presso il Padre,
lui ce lo racconterà. Solo Dio può parlarci di
Dio-Padre e questo è possibile perché lUnigenito
ha
assunto la nostra natura umana e perché usa parole umane.
Ce lo racconterà: è il verbo più
adatto e per questo lo scegliamo con Leon-Dufour, tralasciando
altre traduzioni.
Ci sono infatti vari modi di
raccontare: con le parole, ma anche con lagire. Un giorno
Gesù disse: Il Figlio non può fare nulla
se non quello che vede fare dal Padre. Quello che il Padre fa
anche il Figlio lo fa (5,19). Perciò il suo agire
è un raccontare il Padre, anzi è un vedere il Padre.
Come disse Gesù a Filippo: Chi vede me, vede il
Padre (14,9). Anche il suo parlare è un raccontare
il Padre: Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso,
ma il Padre... (14,10).
Perciò:
chi imita Gesù, chi è in contemplazione di Gesù,
chi annuncia quello che Gesù ha detto, è con Gesù
rivolto verso il Padre, in intima comunione con il
Padre.
Per concludere: leggere, meditare il Vangelo di Giovanni significa
essere in continua contemplazione del Padre. È così
vero questo che nel suo Vangelo leggeremo per oltre cento volte
la Parola Padre in riferimento a Dio e chi lo fa
meditando sentirà il bisogno di dire nella lingua di Gesù:
Abbà, Papà. È linvocazione
più bella per sentire e sperimentare la vicinanza di Dio.
Preghiamo:
Abbà, Papà, grazie
del dono di essere diventati tuoi figli. Fa che io viva
con gioia la mia figliolanza e che questa sia la base perché
la mia vita sia sempre una testimonianza del Vangelo. Amen.
D. Mario Galizzi sdb
IMMAGINI:
1 Giovanni e Pietro, Albrecht
Dürer (1526), Alte Pinakothek, Münich. / Nel suo Vangelo, Giovanni
parla a nome di tutti gli Apostoli che con lui furono i testimoni
oculari della vita con Gesù.
2 Il Prologo di San Giovanni
è stato lungo i secoli uno dei testi di riferimento per
i grandi predicatori della Chiesa..
3 Visione di San Giovanni, Alonso Cano
(1601-1667), Wallace Collection, London. / IIl Prologo del quarto
Vangelo dà limpressione che Giovanni continui a
sperimentare la presenza reale del Verbo incarnato, perciò
lannunzia alle sue comunità rivestendo di altissima
poesia la sua esperienza mistica.
4 Gli Evangelisti, Libro
di Kells (800-899), Rhys Carpenter Library, Bryn Mawr College,
Dublino. / La
vita delluomo per mantenersi ha bisogno di essere incorporata
in Colui che è il solo Vivente, la Vita per eccellenza.
Lascolto di Cristo, Parola, Energia, Ragione del Padre,
permette di venire inseriti nella Luce vivente dellamore
trinitario.
5 Cristo Pantocratore,
P. Cavallini, Santa Cecilia, Roma. / Gesù è il Verbo incarnato
che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. Per questa ragione,
il testo del Prologo viene letto nella Messa del giorno di Natale.
6 San Giovanni, Hans Memling,
(1475), National Gallery, London. / Per Giovanni, Gesù è la
luce che è venuta nel mondo per illuminare ogni uomo.
7 © Madonna con Bambino,
Autore ignoto, Pianezza (TO). / Maria occupa un posto del tutto speciale
nel testo di Giovanni. Indica contemporaneamente la presenza
del popolo dellAlleanza e della Chiesa nascente.
8 Visione di San Giovanni,
Alonso Cano (1601-1667), Museo delle Belle Arti, Budapest. /
Leggere il
Vangelo di Giovanni significa essere in continua contemplazione
del Padre.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2006 - 11
VISITA Nr.
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