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  INFO VALDOCCO

        Giovanni c. 13-33 - 14,31
       
 IO SONO LA VIA, LA VERITA', LA VITA

Questa prima parte del “Discorso di Addio” si presenta come un vero dialogo tra Gesù e i suoi discepoli. Intervengono infatti Pietro, Tommaso, Filippo e Giuda, non l’Iscariota, per dirgli che le sue parole non sono chiare e per chiedergli una delucidazione. Sono interventi assai efficaci perché ci permettono di soffermarci di più su quello che Gesù insegna e di approfondirlo insieme.
Non è facile la suddivisione del capitolo. Ma ci sembra che nella prima parte si parla del “Mistero di colui che se ne va” (13,33-14,11); nella seconda delle “Promesse che fondano l’avvenire” (14,12-26) a cui segue il congedo (14,27-31).

Il mistero di colui che se ne va (13,33-14,11)

Annunciando ora la sua partenza, Gesù crea una situazione nuova, che esige una fede profonda, davanti alla morte che “separa”: non una fede che si appoggia su un aldilà, ma la fede che penetra nel mistero del Figlio e della sua dipartita. Al termine della missione terrena il pensiero di Gesù, è polarizzato sul “luogo in cui va”, verso il Padre, ed è rivolto ai discepoli di ogni comunità. Qui Gesù parla della sua partenza e dice che dopo essere ritornato alla casa del Padre, ritornerà per portarvi i suoi, perché egli è l’unica strada che conduce al Padre.

Inizia così: Figlioletti miei, ancora per poco sono con voi, voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei, ora lo dico a voi: dove vado io, voi (ora) non potete seguirmi.
La prima parola “Figlioletti” non esiste in aramaico, ma l’evangelista l’ha usata per esprimere meglio l’atmosfera piena di affetto e di intimità che si è creata dopo l’uscita di Giuda. Qui Gesù si presenta nelle vesti di un patriarca che prima di morire dà gli ultimi avvisi, le ultime consegne.

E i discepoli sentono che Gesù sta per lasciarli: “Ancora per poco sono con voi”. Il “mi cercherete” richiama parole dette ai Giudei, ma la differenza è profonda, perché quando ha parlato ai Giudei ha aggiunto: “e non mi troverete, perché dove vado io voi non potete venire” (7,34). Queste parole non valgono per i discepoli; per questo abbiamo aggiunto: “ora”, per il semplice motivo che ora va verso la morte, ma poi ritornerà.

Ora, nel periodo del distacco, come continuare ad essere suoi discepoli? Ecco la consegna: “Vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri. Come io vi ho amati, così amatevi anche voi”, cioè continuate ad essere veri discepoli, anzi “a farvi conoscere come veri discepoli miei” (v. 35).
A Pietro non vanno giù certe parole di Gesù e perciò interviene: “Signore, perché non posso seguirti ora? Io sono disposto a dare la mia vita per te”.

Gesù lo guarda e gli risponde: “Tu sei disposto a dare la tua vita per me?... Non canterà il gallo prima che tu mi abbia rinnegato tre volte”. Gesù non chiede a nessuno di dare la propria vita per salvarlo; egli è venuto per salvare gli altri e questa è la regola per i suoi discepoli, ma la capiranno più tardi quando avranno ricevuto lo Spirito Santo. Però ci vuole sempre la “fede”.

Gesù via verso il Padre (14,1-11)

“Non si turbi il vostro cuore! Credete in Dio, credete anche in me!”. Il turbamento che aveva invaso Gesù di fronte alla morte di Lazzaro, poi nell’imminenza della propria morte, ora sconvolge i discepoli. Esso non è dovuto solo alla separazione da Gesù, ma anche a una delusione profonda sul valore dell’impresa di Gesù di cui si erano aspettati il successo; è ciò che implica a questo punto la menzione del “cuore”, sede certo dei sentimenti, ma soprattutto della volontà, della decisione.

Ebbene Gesù non solo fa appello alla fede che non considera mai indipendente dal proprio legame con Dio, ma fa appello anche alla fede nella sua persona: anche se non possono ancora seguirlo, debbono continuare ad appoggiarsi su di lui con la stessa fermezza con cui si appoggiano a Dio stesso. Credere in Dio e credere in Gesù oramai si identificano, sia perché Gesù e il Padre sono “uno”, sia perché Gesù è il perfetto e definitivo rivelatore del Padre.

Ma prima di precisare in che cosa consista la fede, Gesù riparla del suo andare presentando subito la meta (vv. 2-4): “la casa del Padre”, dove ci sono molti posti e dice che lo fa per loro: “per preparare loro un posto”. Il suo passaggio da questo mondo al Padre non è un dimenticare i suoi; anzi: dopo essere andato, tornerà e li prenderà con sé, perché voglio – dice – che “dove sono io, siate anche voi”; perciò “dove vado io, voi conoscete la via”. Qui c’è l’intervento di Tommaso, che forse non ha capito tutto e perciò dice a Gesù: “Signore, noi non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”. Ed ecco la grande rivelazione di Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita, Nessuno può andare verso il Padre se non per mezzo di me”.

È un discorso che va oltre la morte ed è questo aspetto che per noi uomini, e anche cristiani, è ancora molto duro. Ma dalle parole di Gesù, oramai ripetute sotto tante forme, risulta chiaro che la morte è stata ridimensionata ed è vista come “via”, come un passaggio da questo mondo a Dio. Gesù sta per compierlo e ne è convinto (vedi 13,1: sapendo), perciò può dire che per conoscere la via basta seguire lui: egli è la via, e non ce ne sono altre per giungere al Padre. Basta quindi vivere il discepolato, seguendo Gesù.

Gesù non ha detto soltanto: “Io sono la via...”, ha aggiunto... e la verità e la vita”, due parole che completano e approfondiscono il discorso sulla via. Gesù può essere la vera via, perché è “la verità”. Se traslitteriamo il soggiacente ebraico, invece di “verità” diremo: Egli è l’Amen, il Sì di Dio a tutte le sue promesse. Lo è perché ci rivela perfettamente il Padre.

E dimostra anche che è la vita. Se citassimo tutti i trentasei passi in cui si parla di Gesù “Vita” nel Vangelo giungeremo sempre a dire che è una “Vita donata”, che senza di lui è impossibile avere la Vita, la vita eterna. Non c’è vera vita dove non è possibile vincere la morte. Ora solo Gesù l’ha vinta e la vince in noi. Perciò solo lui è la “Vita” e solo lui è la “Verità”, perché solo lui può rivelarci e farci conoscere il Padre come donatore di Vita.

Siamo così arrivati a una pagina di Vangelo in cui Gesù si intrattiene con i discepoli in un dialogo vivacizzato dalle domande di Filippo. Gesù parla di sé e del Padre, della sua intima comunione con il Padre, una comunione a cui sono chiamati i discepoli. Ascoltiamo tutta questa pagina (vv. 7-11): non è facile, ma impressionante: “Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre: fin d’ora lo conoscete e lo avete veduto”. Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre che rimane in me compie le sue opere. Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro credetelo per le opere stesse”.

Dalla semplice lettura sembra evidente che è tale l’unione tra il Padre e il Figlio che quelli che fanno esperienza del Figlio, non possono non fare esperienza dello stesso Padre perché la vita di Gesù in se stessa è rivelazione perfetta del Padre.

Gesù però con amarezza costata che i discepoli non sono ancora a questo punto. Per loro, per Filippo in particolare, Gesù è il Messia, l’inviato di Dio, ma la sua rivelazione non supera quella dei profeti; sono ben lontani dal pensare che ora il Padre ci parli definitivamente per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2) e tanto meno che basti vedere il Figlio per contemplare il Padre, cioè per fare esperienza del Padre. Per capire questo basta la parola di Filippo che dice a Gesù: “Mostraci il Padre e ci basta”. Di qui il lamento di Gesù: “Filippo, è da tanto tempo che sono con voi e non mi avete conosciuto?”.

Forse Gesù sperava che l’esperienza Maestro-discepoli avesse dato più risultati, ma non è così. E come se fosse un ultimo invito dice loro: “Credetemi io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro credetelo per le opere”. C’è un sentimento accorato nell’imperativo “Credetemi”; c’è il desiderio di mantenere uniti a sé i suoi discepoli e la volontà di aiutarli a superare la situazione di incomprensione in cui si trovano per farli guardare al futuro.

Promesse che fondano il futuro (14.12-26)

Qui Gesù parla prima del suo passaggio da questo mondo al Padre, e poi, della sua Chiesa. Lo sguardo di Gesù si posa su tutti i discepoli: alternandosi con il “voi”. Ogni discepolo perciò si sente immediatamente implicato. Quanto dice è molto importante perché parla di sé che proseguirà la sua opera attraverso quei credenti (14,12-14), che riceveranno dal Padre il dono del Paraclito (14,15-17.26); e ancora di sé che verrà a loro e insieme al Padre dimorerà presso di loro (14,18-24).

È così importante questo testo che dovremmo, se avessimo spazio, centellinare tutte le parole. Ci limitiamo all’essenziale e sentiremo quale fonte di consolazione sono per noi le parole di Gesù. Un solenne Amen, Amen, in verità, in verità introduce tutto: “In verità, in verità io vi dico: Chi crede in me, anch’egli farà le opere che io faccio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre”.

La chiave di lettura è la frase finale: “io vado al Padre”. È questo che aprirà ai discepoli, chiamati a continuare l’opera di Gesù, prospettive nuove. “Faranno opere assai più grandi” che porteranno un frutto enorme nel tempo e nello spazio. Però è richiesto loro preventivamente un legame intrinseco tra loro e lui: la fede “credetemi”.

Allora come l’agire del Padre passava attraverso Gesù, ora passerà attraverso i discepoli. Comunque c’è un modo perché questo si realizzi: la preghiera, cioè non debbono perdere la loro comunione con lui. Quanto si dice è importante: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome io la farò”.

Come sono state bistrattate queste parole. C’è gente che dice: “Io ho pregato, ma non mi ha concesso quanto ho chiesto”. Ci si dimentica il contesto: qui infatti non si dice che si può chiedere qualsiasi cosa; qui siamo in un contesto di apostolato ed è per compiere il proprio apostolato che bisogna pregare. Infatti è possibile compierlo solo in intima comunione con Gesù.

Come Gesù agiva insieme al Padre, il discepolo deve agire insieme al suo Signore. E questo porta alla preghiera, mezzo efficacissimo per essere in comunione con lui. E poi c’è un altro aiuto:
Lo Spirito Santo, il cui dono esige l’amore di Gesù. Dice infatti il Signore: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. E Io pregherò il Padre che vi manderà un altro Difensore, (che altri traducono: “Paraclito, Consolatore, Avvocato”) perché rimanga con voi per sempre.

È lo Spirito di verità, che il mondo non può accogliere perché non lo vede e non lo conosce. Voi invece lo conoscete”. Il termine “Difensore” ci sembra il più adatto, perché ai discepoli appare come il difensore della causa di Gesù. Sarà sempre accanto a loro ed essi ne percepiranno la presenza nella loro funzione di testimoni della Verità. È infatti chiamato “Spirito della Verità” perché li aiuterà a continuare l’opera di Gesù, vero rivelatore del Padre e del suo piano di salvezza.

I discepoli si accorgeranno perché si sentiranno in urto con il mondo, inteso come forza ostile a Dio, che non li vuole accogliere. Allora sperimenteranno il suo aiuto che verrà spiegato nel v. 26, ma ciò che più li può consolare è queste promessa: “Non vi lascerò orfani, tornerò da voi. Tra poco il mondo non mi vedrà più, voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. E in quel giorno conoscerete che io sono nel Padre e il Padre è in me e io in voi”.

Un richiamo al dialogo con Filippo (14,6-22) è inevitabile. Quello era un tempo di incomprensione da parte dei discepoli del mistero di Gesù, ma dopo Pasqua, ricevuto il dono dello Spirito, tutto si chiarisce e i discepoli hanno la capacità di penetrare nel Mistero del Figlio: “In quel giorno saprete che io sono nel Padre e il Padre è in me e io in voi”. Ora sì che si può avere l’esperienza di essere in intimità con il Padre e il Figlio e di capire che davvero chi vede Gesù vede il Padre e sa come agisce il Padre. Perciò è necessario accogliere con fede Gesù vero e definitivo Rivelatore del Padre. E di vivere in profondità l’amore che ci chiede: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi prenderemo dimora presso di lui”.

Manca ancora da precisare il compito dello Spirito: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Che questo si sia avverato in pieno dopo la Pasqua e la Pentecoste lo si capisce leggendo gli Atti degli Apostoli, chiamati da molti “Gli Atti dello Spirito Santo”. La presenza dello Spirito è sensibile ovunque e si percepisce in continuità che i discepoli sono, nella loro testimonianza guidati dallo Spirito Santo.

Congedo:

Terminando il Discorso Gesù ritorna al momento della separazione. Lascia ai discepoli il dono della sua pace (v. 27), ricapitola l’essenziale di ciò che ha annunciato (vv. 28-29) e interpreta la propria morte imminente (vv. 30-31.) Dona la sua pace: “Vi lascio la pace, vi dono la mia pace. Non come la dà il mondo io la dono a voi”. Gesù contrappone la sua pace. Essa non è una semplice assenza di guerra o di contrarietà.

Essa nasce da ciò che è positivo, cioè dal vicendevole amore, dall’intimità dell’unione con lui, con il Padre e lo Spirito Santo, dall’impegno concreto di diffonderla e di donarla. La comunità non cesserà mai di possedere il dono che Cristo le ha fatto. Perciò “Non si turbi il vostro cuore né si sgomenti” (v. 27b). La conseguenza del dono della pace è che deve scomparire ogni turbamento, non solo di fronte all’imminente separazione di cui debbono rallegrarsi (v. 28), ma anche di fronte al compito che li attende.

Infine viene l’ora del distacco e Gesù continua ad esprimerlo nella speranza: “Oramai non posso più parlare di molte cose con voi, perché viene il Principe di questo mondo che su di me non ha alcun potere”. Gesù, infatti, sa che sta per vincerlo, perché egli fa quello che il Padre gli ha comandato (v. 31) e perciò affronta deciso il suo destino e dice ai discepoli: “Alzatevi, andiamo”. L’aggiunta “andiamo” dice che Gesù già sa che lo seguiranno fino al martirio. Perciò li esorta ad essere con lui ed esorta noi a essere sempre coinvolti nella sua speranza che non può mai mancare in un cristiano, quali che siano le difficoltà.

Preghiamo

Gesù: quanto ti è costato per riuscire a farti conoscere nel tuo mistero e nella tua unione con il Padre.

Hai dovuto prima vivere la tua Pasqua e poi donare loro lo Spirito. Gesù, quanto ci costa oggi predicare; c’è tanta ignoranza di te. Per questo ti chiedo: donami l’abbondanza del tuo Spirito perché io sia il primo a penetrare sempre di più nel tuo mistero, e impari a vivere la comunione con te e il Padre e poi accresci le mie capacità di predicazione.

Il farti conoscere è per me il dono più bello che mi puoi fare. Non cerco altro Gesù. Sia sempre in me il dono del tuo Spirito. Amen!


                                                                       D. Mario Galizzi sdb


                                                                            +

La mattina del 27 febbraio 2007, il Signore ha chiamato a sé Don Mario Galizzi nostro valente collaboratore.
Don Mario aveva 81 anni, da 57 era Salesiano e da 50 Sacerdote.

La sua competenza in campo biblico, la sua spiritualità semplice, familiare, profondamente ottimista e gioiosamente salesiana ne facevano un uomo di Dio apprezzato e ricercato. La sua visione fraterna della comunità credente, la sua fedeltà alla Tradizione e il suo spirito gioviale si riversavano nei suoi scritti, apprezzati e diffusi in molti Paesi.

Studioso, predicatore, missionario e innamorato della Scrittura, ora Don Mario ascolta la Parola che ha annunziato e continua ad essere presente in mezzo a noi anche con il suo prezioso lavoro preparato già da tempo per i lettori della nostra Rivista. Mentre continueremo a nutrirci delle sue impareggiabili riflessioni, ricordiamolo nelle nostre preghiere.



 IMMAGINI:
1  Il discorso svolto da Gesù nel Cenacolo, durante l’Ultima cena, è intriso di speranza. Gesù confronta i suoi discepoli, annunciando loro la certezza del trionfo di Dio sulla storia e sul male.
2  Ultima Cena, Hans Holbein il giovane (1524), Kunstmuseum, Basilea (Svizzera). / La comprensione delle parole di Gesù pronunciate nei discorsi di addio riportati da Giovanni, è possibile solo partendo dalla lavanda dei piedi in cui Gesù manifesta la sua volontà di donare la vita e il suo potere di riprendersela di nuovo con la sua Risurrezione dai morti.
3   Solo Gesù è la vera via per la salvezza eterna dell’uomo, poiché Lui è la verità, il sì di Dio a tutte le Sue promesse fatte all’uomo perché l’uomo abbia la vita e l’abbia in abbondanza.

© Elledici / G. Conti / Con il suo sacrificio vespertino appeso ad una croce, Gesù sostituisce i sacrifici degli agnelli fatti al Tempio di Gerusalemme..
5  © Elledici / G. Conti / Gesù annuncia ai suoi il distacco che lo condurrà alla morte a causa del principe di questo mondo, il quale però, non ha nessun potere su di Lui. Prima di andarsene, Gesù offre ancora ai suoi il dono della sua pace. Un anticipo di quella pace che donerà ai suoi la sera del giorno di Pasqua.



        RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2008 - 3  
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