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       Giovanni c. 17
       
 GESU' IN PREGHIERA

Il movimento della preghiera è costituito dall’alternanza continua con uno sguardo su ciò che è avvenuto ed un’apertura sull’avvenire. Questa oscillazione è tipica delle preghiere ebraiche che prendono spunto dai prodigi di Dio per invocare un nuovo intervento.

Nella preghiera di Gesù il passato è costituito da ciò che Gesù ha fatto e dal come si sono comportati i discepoli. Da questo passato Gesù fa scaturire la preghiera per i suoi discepoli presenti e futuri, per tutti coloro che crederanno sino alla fine dei secoli.

Se Gesù, pronunciando la preghiera ad alta voce, vive davanti ai discepoli la propria intimità con il Padre, è perché tale intimità sta per essere data loro in condivisione. Il capitolo inizia presentando Gesù che prega per sé il Padre (17,1-5).

Poi prega per i suoi discepoli e chiede al Padre di custodirli, difenderli e santificarli (17,5-19); infine chiede che siano tutti una cosa sola e la comunione di tutti nella gloria.

Gesù prega per sé (17,1-5)

Così parlò Gesù. Poi alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

Questa è la vita eterna che conoscano te unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora Padre glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.


Gesù alza gli occhi al cielo, cioè a Dio, e che cosa chiede al Padre nell’imminenza della sua passione? Quello che già ha detto, quando al giungere dell’ora si sentì turbato: “L’anima mia è turbata e che cosa chiederò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per quest’ora che sono venuto. Padre, glorifica il tuo nome!” (12,27s). Qui dice: “Padre, glorifica il tuo nome”. Questo significa che il Padre lo fa passare sano e salvo attraverso la sua ora, in modo che l’ora diventi il momento della glorificazione del Figlio che, soffrendo, glorifica il Padre.

La passione diventa generatrice di gloria perché dà al Figlio il potere di portare a termine il suo progetto di salvezza e di vita eterna per coloro che “gli hai dato”, cioè per i suoi discepoli e anche per ogni essere umano. Tutti coloro che crederanno saranno i suoi discepoli e saranno per Gesù il “dono del Padre”.

Basta che riconoscano il Padre come l’unico Dio e il Figlio come colui che Dio ha mandato. Qui una nota è possibile: Gesù non dimentica mai i suoi discepoli; per lui sono il “Dono del Padre”. E per loro chiede la vita eterna; Gesù non vuole essere l’unico rappresentante della natura umana presso Dio.

Gesù prega per i suoi discepoli (17,6-19)

Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro.

Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro, non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato perché sono tuoi.

Tutte le cose mie sono tue e le tue sono mie, e io ti ho glorificato in loro. Io non sono più nel mondo, essi invece sono nel mondo e io vengo a te.

Dopo aver pregato per sé, Gesù vuole ora pregare per quei pochi discepoli che sono lì accanto a lui e li presenta al Padre per motivare la sua preghiera. Li definisce come un dono del Padre: “erano tuoi e li hai dati a me”, un dono che condivide con il Padre. Prima appartenevano al mondo, ma il Padre li ha separati dal mondo. Questo è avvenuto quando il Figlio che, fa ciò che fa il Padre, li ha scelti dal mondo. Gesù li guarda e racconta al Padre come lo hanno accolto e come hanno riconosciuto che Egli è uscito dal Padre che lo ha mandato.

Non si descrive il riconoscimento da parte dei discepoli; il testo insiste sul donatore da cui tutto proviene: il Figlio dipende in tutto dal Padre e insieme gli è unito in una comunione perfetta. Il “tutte le cose mie” sono i credenti che rimangono nel mondo che Gesù lascia. Per essi Gesù prega; un aspetto che non deve essere isolato dal contesto immediato e globale. Qui si parla del mondo che è l’insieme degli uomini separati da Dio, di cui sono parte soprattutto quelli che hanno rifiutato il messaggio evangelico e rimangono ostili a Dio. Ecco ora le sue richieste per i discepoli.

Padre santo custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato perché siano una cosa sola, come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi. Nessuno di loro si è perduto, tranne il figlio della perdizione perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono ancora nel mondo perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia.

Ora Gesù ricorda al Padre che egli non è più nel mondo. Lo è ancora ma ne parla come cosa già avvenuta. I discepoli invece continuano ad essere nel mondo e perciò chiede al Padre di “custodirli, difenderli, santificarli”. Quando era con loro, lui stesso li custodiva, li proteggeva e nessuno di loro si è perduto. Gesù nella sua vita ha sempre cercato di rivelare loro il Padre, di premunirli contro l’odio del mondo e di aiutarli a superare la tristezza guardando con fiducia il futuro, e di mantenersi uniti a lui: “rimanete in me” e di sentirsi amici. A questo punto viene il ricordo di Giuda che definisce “figlio della perdizione”.
L’espressione è dura ma Gesù non si sente colpevole: ha fatto di tutto per richiamarlo al bene, gli ha persino dato “il suo pane” (13,26). Ciò che importa è la preghiera per gli undici: “Custodiscili nel tuo nome, perché siano una cosa sola come noi” (v. 11). Nel testo che abbiamo esaminato il Padre è chiamato “santo”. Lo è in se stesso perché totalmente separato da tutto ciò che è male, ma lo è anche in senso dinamico perché santifica, cioè può custodire tutti quelli che ha separati dal mondo.

Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che li difenda dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.

Dopo aver donato ai discepoli la parola del Padre, Gesù dice: per questo il mondo li ha odiati perché non sono del mondo. Non chiede però che li tolga ma che li “difenda dal Maligno”. Il pericolo in cui si trovano è grande perché grande è la debolezza umana e tanto suggestiva la tentazione. Essere difesi dal Maligno comprende tutto: negativamente significa “essere custoditi”, difesi da ogni forma di male che ha sempre la sua origine nel Maligno; positivamente chiede la forza di superare il male per continuare nel bene. “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. Forse questa ripetizione sottolinea quanto siano assimilati a Gesù quelli che Dio ha separati dal mondo. Sono davvero “figli nel Figlio” e come il Figlio totalmente donati a compiere nel mondo l’opera che il Padre ha affidato al Figlio. Di qui la terza richiesta.

Santificali nella Verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo. Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella Verità.

Gesù ha definito se stesso come Colui che “il Padre ha consacrato e mandato” (10,36). Ora chiede che il Padre, anche per mezzo suo, faccia la stessa cosa per i suoi discepoli e perciò dice: “Santificali nella Verità” . Più avanti tradurremo il verbo con “consacrali”. Prima però si sottolinea l’uguaglianza Gesù-discepoli: “Come tu hai mandato me, anch’io ho mandato loro nel mondo”.

È il Figlio che fa le stesse cose del Padre: manda i suoi discepoli. Ascoltiamo ora quanto dice: “Per loro io consacro me stesso”. Santificazione, consacrazione sono sinonimi e implicano l’idea dell’essere separati e lo sono già stati per “la parola che hanno accolto” e quindi consacrati, donati alla missione. E perciò, se consacrati alla Verità, essi sotto l’azione dello Spirito Santo, possono quindi accedere al senso profondo della Parola del Padre perciò aperti all’annuncio, alla rivelazione.

Gesù prega per i futuri discepoli (17,20-23)

Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: “Che tutti siano una cosa sola, come tu Padre sei in me e io in te”. Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Ora Gesù guarda nel futuro, contempla la messe che raccolgono i suoi discepoli, cioè le molte persone che accolgono il Vangelo. Non può non pregare anche per loro e chiede solo la loro unità. Prega per quelli che crederanno mediante la loro parola: “Che siano uno come tu, Padre, sei in me e io in te”. Ogni lettore leggendo queste parole non può non gioire pensando che Gesù quella sera ha pregato per lui. Però deve anche riflettere su ciò che Gesù ha detto: “Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te”.

È impressionante sentir ripetere il concetto di unità in pochi versetti. Si capisce subito che si tratta di qualcosa di essenziale. A partire dall’Uno costituito dal Padre e dal Figlio l’unità della comunità credente è insieme comunione con Dio e fedeltà al comandamento dell’amore fraterno. Come nella lettera agli Efesini l’esortazione all’amore fraterno è fondata nell’appartenenza dei credenti a un solo Signore e al solo Dio e Padre che agisce al di sopra di tutti, per mezzo di tutti e dimora in tutti. Il discorso sull’unità dei credenti ha ancora altri risvolti. Nei vv. 22-23 si parla anche di gloria, di riconoscere e di amore. Gesù non ha soltanto comunicato ai discepoli la parola del Padre, ma anche la gloria che ha ricevuto dal Padre: “La gloria che mi hai dato, io l’ho data a loro”; è quella gloria di cui parla l’evangelista in 1,14: “Noi vedemmo la sua gloria, gloria come unigenito dal Padre”.

È la gloria che Gesù ha come Figlio e che dona a chi lo accoglie, dando loro la capacità di diventare “figli” (1,13) e come tali di risplendere di fronte agli uomini. È una gloria che si manifesta al mondo nella vita e nelle opere dei figli di Dio. Forse il commento più bello a queste parole di Gesù l’ha dato Paolo: “Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria... E Dio che disse: Rifulga la luce nelle tenebre” (1,3), rifulge nei nostri cuori per far risplendere la luce che rifulge sul volto di Cristo (2 Cor 3,18).

Conclusione

Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato, poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto e questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere ancora, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.

Questa conclusione è fantastica, impossibile formularne una più bella. Giovanni l’anziano è penetrato a fondo nel cuore di Gesù e ci dice che ci vuole tutti in paradiso, dal momento che crediamo che è stato inviato da Dio. È in noi l’amore con cui ama Gesù, anzi anche lui è in noi.

Come pregare dopo una simile conclusione? Solo così:

                                 Signore, si compiano in noi queste tue parole.
                           
Sono le uniche che possono sostenere la nostra speranza.

                                                                      
D. Mario Galizzi sdb


                                                                            +

La mattina del 27 febbraio 2007, il Signore ha chiamato a sé Don Mario Galizzi nostro valente collaboratore.
Don Mario aveva 81 anni, da 57 era Salesiano e da 50 Sacerdote.

La sua competenza in campo biblico, la sua spiritualità semplice, familiare, profondamente ottimista e gioiosamente salesiana ne facevano un uomo di Dio apprezzato e ricercato. La sua visione fraterna della comunità credente, la sua fedeltà alla Tradizione e il suo spirito gioviale si riversavano nei suoi scritti, apprezzati e diffusi in molti Paesi.

Studioso, predicatore, missionario e innamorato della Scrittura, ora Don Mario ascolta la Parola che ha annunziato e continua ad essere presente in mezzo a noi anche con il suo prezioso lavoro preparato già da tempo per i lettori della nostra Rivista. Mentre continueremo a nutrirci delle sue impareggiabili riflessioni, ricordiamolo nelle nostre preghiere.



 IMMAGINI:
1  Il Cenacolo a Gerusalemme. Negli ultimi momenti della sua vita terrena, Gesù ha fatto ai suoi le confidenze dell’amore divino.
2  © T. Longaretti | Gesù, dopo aver rivolto la sua preghiera al Padre, intercede per i suoi affinché si mantengano fedeli all’amore con cui li ha amati.
3   © T. Longaretti |Anche coloro che crederanno nella parola dei Dodici sono ricordati nella preghiera di Gesù. Così, ciascuno di noi è stato presente nel suo cuore divino, prima della sua morte in Croce.
© T. Longaretti |Gesù continua a pregare per la concordia dei suoi, affinché la loro fede non venga meno e vivano perfetti nell’unità dell’amore.



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