Giovanni c. 18 Penso sia questo il titolo più bello per dare inizio al nostro studio sulla passione. Ci avviciniamo alla Passione secondo Giovanni, ben diversa da quella dei Sinottici. Ci piace iniziare la nostra meditazione richiamando le ultime parole della Preghiera: ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere ancora (17,26). Il capitolo 18 inizia dicendo: Detto ciò Gesù uscì, ma continua sulla linea della preghiera, a far conoscere il Padre, a rivelarlo come un amore che si dona sino alla fine. I discepoli presto capiranno, con laiuto dello Spirito, quanto sono stati amati e sperimenteranno in sé lamore del Padre e la presenza amorosa di Gesù. I quattro evangelisti fondano il racconto della Passione sugli stessi eventi, ma langolazione di lettura di Giovanni è ben diversa anche se tutti rileggono il quarto canto del Servo di Dio (Is 53). I Sinottici mettono laccento sulle umiliazioni del Servo di Dio, Giovanni sulle parole che descrivono lesaltazione del Servo di Dio. Il suo Gesù, lo costateremo sin dalla prima scena, affronta la Passione non come vittima, ma come sovrano, non subisce gli eventi ma li domina. Lintero racconto può essere così suddiviso: Gesù si consegna ai Giudei (18,1-27); Gesù è consegnato dai Giudei ai pagani (18,28-19,22); Gesù consegnato per essere crocifisso si consegna al Padre (19,23-42). Gesù si consegna ai Giudei (18,1-27)
Dopo una notizia simile a quella dei Sinottici, Giovanni parla di un giardino che non ha nulla a che fare con lEden della Genesi. Si tratta di un luogo familiare in cui Gesù si ritirava con i suoi discepoli. In compenso il testo precisa che Gesù entra e poi esce dal giardino. Questo dunque viene presentato come un luogo chiuso: la sua chiusura permette a Giovanni di mostrare il movimento di Gesù che da sé avanza fuori verso il gruppo che lo cerca e quindi di mettere in evidenza la sua iniziativa, elemento fondamentale del discorso. Gesù liberamente va verso chi lo vuole arrestare. Giuda, che conosceva il luogo dove Gesù poteva essere trovato in quella notte, fa da guida alla truppa incaricata di arrestarlo. Essa era composta da un gruppo di soldati e da alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti. Alcuni pensano che le guardie erano dei romani perché cera un Tribuno con loro. Se questo è vero, dice Leòn-Dufour, facendo intervenire i Romani nellarresto di Gesù, levangelista vuole mostrare che tutti, Giudei e pagani, hanno partecipato al dramma: il Figlio che Dio ha dato al mondo è stato condannato dagli uni e dagli altri allo stesso modo. Di fronte alla truppa, Gesù disse:
Con la sua domanda: Chi cercate, Gesù provoca i soldati a nominarlo e perciò a prendere posizione sulla sua identità. Ignorando il mistero di Gesù le guardie si accontentano dellappellativo corrente che sottolinea la sua origine galilaica, e perciò rispondono: Gesù il Nazareno. Il Figlio venuto nel mondo riconosce questo nome come suo e risponde: Io sono. Questa formula però ha un senso pregnante. Essa indica il mistero della sua persona come quando disse ai Giudei: prima che Abramo fosse, IO SONO (8,58). Alla risposta di Gesù, i soldati indietreggiarono e caddero a terra. Questo gesto visualizza nella Bibbia limpotenza dei malvagi di fronte allonnipotenza di Dio o davanti al Giusto perseguitato che si affida a Dio. Qui manifesta la potenza di Gesù che se volesse potrebbe chiamare dodici legioni di angeli in sua difesa. Nessuno senza il suo volere lo può arrestare. Non sappiamo se si sono rialzati. Gesù però ripete la domanda. Chi cercate! e alla stessa risposta dice: sono io e poi aggiunge: se cercate me, lasciate che questi se ne vadano. In Giovanni i discepoli non fuggono: è Gesù che li salva. Nellistante cruciale in cui si consegna ai soldati, il Figlio si preoccupa di coloro che il Padre gli ha dato, dando così compimento alla Scrittura: non ha perduto nessuno dei suoi. Il testo della Scrittura però non riguarda solo la salvaguardia della vita fisica dei propri discepoli. Gesù vuole anche evitare che siano tentati al di sopra delle loro forze. Prima del suo passaggio al Padre, sarebbero incapaci di seguirlo sulla strada che attraverso la croce li conduce a Dio. per ora non potete seguirmi. Pietro però
non ci sta e sguaina la spada colpendo il servo del sommo
sacerdote. Ma Gesù gli disse: Rimetti la spada
nel suo fodero. Non berrò il calice che il Padre mi ha
dato?. È chiaro che Gesù non accetta la violenza;
egli cerca solo di vivere in comunione con il Padre: tale il
senso del calice nelluso orientale. Il calice
teso dal Padre assume per il Figlio il volto del Padre invisibile.
Alcuni autori dicono qui che il Padre voleva la morte del Figlio.
Ma sia ben chiaro: Dio non vuole la morte ma la vita e la salvezza
di tutti gli uomini. Grazie alla sua solidarietà con gli
uomini peccatori, lInviato da Dio subisce la morte, ma
ciò facendo ottiene la morte della morte. Di fronte al sommo sacerdote (18,12-27) È una pagina composita: una piccola introduzione (vv. 12-14); primo rinnegamento di Pietro (vv. 15-18); Gesù davanti al sommo sacerdote (vv. 19-24); secondo e terzo rinnegamento di Pietro (vv. 24-27). Questo fa capire, come anche nei Sinottici, che mentre Gesù dava la sua bella testimonianza davanti al tribunale ebraico, Pietro giù nel cortile dava la sua antitestimonianza rinnegando Gesù. È una pagina che mette in meditazione ogni discepolo che vuole confrontarsi con Gesù. Da Anna e Caifa
Giovanni, a differenza degli altri evangelisti, fa prima passare Gesù da Anna che fu sommo sacerdote negli anni 6-15 del primo secolo. Egli era suocero di Caifa e assai influente, anche se destituito. È forse per questo motivo che Giovanni lo fa interlocutore di Gesù; però lo caratterizza soltanto per il suo legame di parentela con Caifa al quale alla fine manderà Gesù. Dicendo poi che Caifa era quello che aveva detto: È meglio che un solo uomo muoia ci ricorda che è già stata pronunciata la condanna di morte contro Gesù (11,50-52) e questo lo dispensa dal raccontare, come fanno i Sinottici, la presentazione di Gesù di fronte al Sinedrio. Si limita a dire: condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio, cioè da Pilato. Primo rinnegamento di Pietro (vv. 15-18) Dopo il fallimento
del tentativo di difendere il Maestro che, lasciandosi arrestare,
ha accettato il calice che il Padre gli presentava, Simon Pietro
si arrischia a seguire Gesù là dove viene condotto.
Eppure Gesù gli aveva detto: La dove io vado tu
non puoi venire ora; mi seguirai più tardi 13,36).
Ebbene lui va dove va Gesù. Cera con lui un altro
discepolo che era conosciuto nel palazzo del sommo Sacerdote.
Questi disse alla portinaia di lasciare entrare anche Pietro.
La portinaia lo fissò e gli disse: Non sei anche
tu uno dei discepoli di questuomo?. Pietro rispose:
Non lo sono e se ne andò nel cortile dove
cera un fuoco acceso e lì con altri si scaldava. Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?. Egli lo negò e disse: Non lo sono. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato lorecchio, disse: Non ti ho forse visto nel giardino?. Pietro negò di nuovo e subito un gallo cantò. A questo punto possiamo toccare con mano la delicatezza di Giovanni che soavizza molto le negazioni di Pietro secondo i Sinottici nei quali si dice che Pietro negava di conoscere Gesù e imprecava con giuramento. Secondo Giovanni, Pietro si limita a dire: Non lo sono. Forse allevangelista premeva di annotare che un gallo cantò, compimento della parola di Gesù: Il gallo non canterà prima che tu mi abbia rinnegato tre volte. Di fronte al sommo sacerdote (vv. 19-24) Il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: Io ho parlato al mondo apertamente: ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel Tempio dove tutti i Giudei si riuniscono e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto proprio a loro, ecco essi sanno ciò che ho detto. Aveva appena detto questo quando una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: Così rispondi al sommo sacerdote?. Gli rispose Gesù: Se ho parlato male dimostrami dovè il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?. Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, sommo sacerdote. Osserviamo Gesù: non si preoccupa di essere inquisito. Egli non è uno che tradisce i suoi discepoli. Dopo averli salvati dalla cattura nel giardino; ora non svela chi sono. Si realizza anche qui quello che ha detto al Padre: Di quelli che mi hai dato, nessuno di loro si è perduto (17,12). Per quanto riguarda la sua dottrina, non cè proprio bisogno di interrogarlo. La conoscono fin troppo bene perché ha sempre parlato apertamente nel Tempio quando era a Gerusalemme (5,14; 7,14; 8,1.59) e nella sinagoga di Cafarnao, là in Galilea (6,59). Persino i dirigenti giudei e anche i gran sacerdoti lhanno udito, tanto che hanno cercato di arrestarlo nel Tempio (7,32; 10,39) e di lapidarlo (8,59). Gesù non vuole perdere altro tempo, vuole solo seguire il suo cammino. Leòn Dufour farebbe qui una nota: «La domanda sulla dottrina orienta il confronto sullattività di Gesù docente e questo permette allevangelista di mettere in evidenza conformemente alla sua teologia, la missione di Rivelatore propria del Figlio». Nella tradizione sinottica Gesù mantiene il silenzio sotto gli oltraggi come il Servo di Dio di Isaia 53,7. Qui egli reagisce allo schiaffo subito. Propone unalternativa che mette la guardia dalla parte del torto: non è lui, ma la guardia che ha agito ingiustamente. Gesù non ripete il termine rispondere usato dalla guardia, ma usa il verbo parlare che richiama laffermazione da lui fatta al Sommo Sacerdote (18,20), Gesù non ha parlato male perché ha portato una testimonianza sulla propria precedente attività, invitando a procedere ad uninchiesta approfondita. Egli parla con bontà e dignità. La sua intenzione è di mostrare che nella testimonianza, resa alla verità, è irrefutabile. La sua replica alla guardia ricorda al lettore quello che egli diceva ai Giudei: Chi di voi può convincermi di peccato?. Nel nostro contesto egli rimane sullo sfondo del canto isaiano del Servo: Egli non ha commesso peccato e non si è trovato inganno sulla sua bocca (Is 53; cf 1 Pt 2,22). Il racconto non prolunga il colloquio: non replicano né il Sommo Sacerdote, né la guardia. Gesù ha dunque lultima parola. Ma il silenzio di Anna e il fatto che egli mandi a Caifa il prigioniero, sempre legato, confermano la sentenza ricordata allinizio del racconto. La violenza degli uomini sembra trionfare. Gesù entra nella passione dove Dio tace, in attesa della glorificazione del Figlio. Preghiamo Quanta dignità
e bontà traspare da questo lungo racconto. Signore hai
salvato i tuoi discepoli. Nel dolore non li hai dimenticati.
Hai mantenuto il silenzio di fronte a chi voleva giudicarti e
a chi ti ha schiaffeggiato. Hai rifiutato ogni violenza. Sei
davvero un esempio per tutti coloro che annunziano la tua parola.
Donaci di imitarti, Gesù, nel nostro ministero. Che nessuno
di noi trascuri qualche destinatario della sua missione. Fa
che la bontà e la non violenza traspaia sempre nel nostro
agire. Donaci di essere pronti a sacrificarci per salvare le
persone che ci sono affidate. Amen! La mattina
del 27
febbraio 2007,
il Signore ha chiamato a sé Don Mario Galizzi nostro valente
collaboratore. La sua competenza in campo biblico, la sua spiritualità semplice, familiare, profondamente ottimista e gioiosamente salesiana ne facevano un uomo di Dio apprezzato e ricercato. La sua visione fraterna della comunità credente, la sua fedeltà alla Tradizione e il suo spirito gioviale si riversavano nei suoi scritti, apprezzati e diffusi in molti Paesi. Studioso, predicatore, missionario e innamorato della Scrittura, ora Don Mario ascolta la Parola che ha annunziato e continua ad essere presente in mezzo a noi anche con il suo prezioso lavoro preparato già da tempo per i lettori della nostra Rivista. Mentre continueremo a nutrirci delle sue impareggiabili riflessioni, ricordiamolo nelle nostre preghiere.
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