Il pasto preso insieme li ha affiatati e Gesù ora guarda Pietro e gli fa una domanda impegnativa, gli chiede: Mi ami tu più di costoro?. La risposta di Pietro è sfumata, umile. Pietro non usa il verbo amare. Dopo quanto gli è capitato, come può affermare con sicurezza un amore incondizionato che esige un totale dono di sé? E neppure osa dire che lo ama più degli altri. Egli ha rinnegato il Maestro, gli altri no! Si limita a usare il verbo dellamicizia, ma anche questo con umiltà, affidandosi finalmente al giudizio del suo Signore: Tu sai che ti voglio bene. E Gesù sapeva che ora Pietro era in sintonia con lui e pronuncia quella formula che è conferimento di missione: Pasci i miei agnelli. Siamo in un linguaggio pastorale. Dire pasci significa affidargli il gregge perché vada avanti e il gregge lo segua come si segue il pastore di cui le pecore conoscono la voce, significa preoccuparsi perché al gregge non manchi il necessario, incominciando dagli agnelli, cioè dai piccoli, dai più deboli, significa difenderli dai pericoli, disposto a dare la propria vita, perché abbiano la vita. Gesù per la seconda volta gli chiede ancora: Mi ami tu? e Pietro ripete: Tu sai che ti voglio bene. E Gesù gli dice: Pasci le mie pecore. Il parlare è cambiato. Gesù non solo gli affida il gregge, ma gli affida il governo del gregge, gli dà pieni poteri sul popolo di Dio. Tale è nella Bibbia il senso pieno di pascere. Gli affida la totalità del gregge. Sarà lui che visibilmente, nel suo ministero, dovrà unire tutti i figli di Dio dispersi, fare di tutti un solo gregge, un solo popolo. È lautorità di Gesù sul suo popolo che il ministero di Pietro dovrà rendere visibile nella storia. Ed eccoci alla terza domanda di Gesù: Mi vuoi bene?. Qui Gesù si colloca sul piano di Pietro e usa il verbo dellamicizia. Si compie così per Pietro la parola di Gesù: Non vi chiamo più servi, ma amici e agli amici si dice tutto (15,14). Sulle prime Pietro si rattrista è difficile dimenticare quel che gli è capitato ma poi si dona totalmente a Gesù: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene. Sono amici e gli amici hanno gli stessi ideali e lavorano insieme per uno stesso scopo. Pietro perciò lavorerà allunisono con Gesù e come Gesù. E Gesù gli ripete: Pasci le mie pecore. Senza immagini: Pietro sarà il Maestro della comunità, alla quale comunicherà quelle parole che sono spirito e vita (6,33) e si donerà al gregge come si è donato il suo Maestro e Signore. Gesù ne è sicuro e gli annuncia che sarà perfettamente associato al suo martirio. La parola di Gesù è fatta di immagini e antitesi, ma lautore che scrive dopo i fatti commenta: Questo gli disse per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio, proprio come Gesù. Poi si riporta un altro comando di Gesù a Pietro: Seguimi e Pietro lo seguì. Il mi seguirai più tardi (13,36) incomincia a realizzarsi. Il discepolo che Gesù ama (21,21-23)
Si ha limpressione che Gesù e Pietro si siano distaccati dal gruppo. Sembra possibile dedurlo dal fatto che il discepolo che Gesù amava si mise a seguire Gesù, non Pietro. Ma non ci si limita a dire questo di lui. Qui il richiamo alla prima volta che fu definito come il discepolo che Gesù amava (13,23) è ben preciso perché si ricorda che allora fu lui a chiedere a Gesù chi era colui che lavrebbe tradito (13,25). Con questo si sottolinea quanto sia entrato nella sfera dellamore di Gesù, non perché Gesù avesse dei privilegiati, ma per la sua fedeltà. È, infatti, colui che non ha mai abbandonato il Maestro. Era presente sul Calvario (19,26); fu il primo a giungere al sepolcro e a credere (20,4.8) ed è la sua fedeltà e il suo amore che gli fece percepire, prima degli altri, la presenza di Gesù sulla spiaggia (21,7). Comunque le parole di Gesù sul discepolo amato si diffusero nelle comunità dei fratelli (così si chiamavano i cristiani) e, data forse la longevità di quel discepolo, si incominciò a pensare che non sarebbe morto e che perciò il ritorno del Signore fosse vicino. Ma lo stesso discepolo o un altro redattore di questo versetto (22), smentì una simile interpretazione ed ebbe ragione. Quel discepolo morì, (o forse era già morto) e la storia continuava e con essa lattesa del Signore che continua tuttoggi. Conclusione (21,24-25) Questo è il discepolo che testimonia questi fatti e li ha scritti e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. È la conclusione del Vangelo e suona come una testimonianza e una dichiarazione di quanto si è proposto lautore nel mettere per scritto la sua testimonianza. È chiaro che non poteva riferire tutto quel che Gesù ha detto, sarebbe stato umanamente impossibile. Tale è il senso delliperbole finale. Egli si è limitato a scrivere alcune delle molte cose fatte e insegnate da Gesù e le ha scritte come ha detto nella prima conclusione (20,30-31) con uno scopo ben preciso: suscitare la fede, dare la possibilità a chi crede di avere la vita nel suo nome. Ora vuole solo insistere sul
fatto che la sua è una testimonianza ed è vera.
Il solenne Noi Sappiamo include il redattore del
capitolo, i membri della scuola giovannea o anche lintera
comunità che ora diventa garante della verità della
testimonianza resa dallautore dellintero Vangelo. |