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LEGGIAMO I VANGELI:
   
L'AMORE E LA SUA STRADA (Lc 10,29-37)

Il Dottore della Legge gli chiede:

“Chi è il mio prossimo?” e Gesù, portando la questione dal piano teorico a quello pratico, a sua volta gli domanda: “E tu da che parte stai?”. Il rovesciamento delle parti, l’interrogante diventa l’interrogato, avviene con un racconto. È la parabola degli incontri tra persone in cammino.

Forse questa ambientazione fu suggerita a Gesù dalla sua situazione. Anche lui, infatti, si trovava sulla via. Anche lui si stava recando a Gerusalemme (Lc 9,51-19,28), dove si sarebbe fatto nostro prossimo offrendo se stesso in riscatto per la nostra salvezza.

Nella figura del Samaritano è perciò adombrato Gesù stesso che ci ha dato per sempre la misura più alta dell’amore per gli altri: dare la vita.

Sulla strada che conduce all’amore

Ventisette chilometri: tanto era lunga la strada che da Gerusalemme, a 750 metri d’altezza, scendeva alla piana di Gerico, costruita a 350 m sotto il livello del mare. Via impervia e pericolosa, che esponeva realmente il viandante a saccheggi operati da malfattori.

Con Gesù, quella strada diventa il palcoscenico sul quale si oppongono due scene: l’una penosa, l’altra grandiosa. Nella prima, la carità è bloccata e come uccisa da chi per vocazione avrebbe dovuto praticarne il precetto amando Dio, senza però trascurare il proprio prossimo (Dt 6,5; Lv 19,8).

Che cosa blocca e fa morire l’amore?
Lo spettacolo si fa, invece, grandioso quando la carità è viva e trionfa grazie ad una anonima persona, identificata per l’appartenenza ad un popolo – quello Samaritano – che non poteva relazionarsi con i Giudei, ed è proprio un uomo della tribù di Giuda che ora giace percosso e denudato sulla strada.

Pregiudizi secolari e rivalità religiose avevano innalzato un invalicabile muro tra persone delle due etnie, che pur vivevano sotto lo stesso cielo ed adoravano lo stesso Dio! Che cosa sblocca e fa vivere l’amore?

La strada dell’amore

I vv. 33-35 sono centrali nella narrazione. Avviciniamoci ad essi per scoprire una doppia serie di verbi: la prima di carattere fondante, la seconda più pratica.
“Passare accanto”, “vedere” ed “avere compassione” sono le prime azioni con le quali misurarci. “Avere compassione” è il comportamento che fa la differenza. Attestato in greco nella forma esplanchnisthe, esprime il movimento improvviso delle viscere che si contraggono per una emozione particolarmente forte. È il verbo col quale solitamente si esprime la misericordia che Dio per primo prova per il suo popolo (cfr. 1,78).

È il verbo che descrive perfettamente Dio: uno che prova compassione per l’umanità. Ebbene, il Samaritano è un uomo che fa spazio al sentire stesso di Dio, lo assume in sé sino a farlo proprio. Anche il Levita ed il Sacerdote erano passati accanto al malcapitato e lo avevano visto, ma la loro capacità di amore era stata bloccata dal loro non-mettersi dalla parte di Dio.

Il Samaritano, invece, fatto spazio all’imitazione di Dio ed attivato il dinamismo della carità, potrà invece praticarla. Ecco, allora, la seconda serie di verbi: “farsi vicino”; “versare olio e vino” – farmaci antichi – sulle ferite, “fasciarle”, “caricare sull’asino” quel povero uomo, pagare con i propri soldi e garantirne altri affinché ogni cura gli fosse prestata.

La strada di Dio

Con il racconto di tali incontri di strada, Gesù glissa sul “Chi è mio prossimo?”, come a dire “Non ingannatevi: è una falsa domanda! Tutti sono il tuo prossimo”, e si concentra sul come amare – mettendo a disposizione tutto in modo abbondante – e sul perché amare, vale a dire ad imitazione di Dio.

Questa è la carità nell’intendimento di Gesù. Non un principio su cui discutere, ma una manifestazione di Dio stesso da mettere in pratica. Dio è amore e nessuno potrà mai dire di amare Dio che non vede, se non ama il proprio fratello che vede! Non a caso tutto l’insegnamento si raccoglierà in quel lapidario ed intrigante: “Vai e anche tu fa’ lo stesso”.

Dovremo ancora apprendere che per il raggiungimento della migliore qualità della carità sarà decisivo non anteporre nulla all’ascolto della Parola. Sarà quanto Gesù avrà da insegnare a Marta in occasione del festoso banchetto imbandito in casa di quei cari amici: racconto che non a caso segue immediatamente quello del “Buon Samaritano”, divenendone come il prolungamento e la più pertinente conclusione (10,38-42).

                                                                                                  
Marco ROSSETTI SDB



      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2010 - 3
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