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LEGGIAMO I VANGELI:
   
L'EUCARESTIA. AMORE CHE RESTA

Il lungo viaggio di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme è concluso. Egli entra nella Città Santa per dare
avvio ai momenti culminanti della sua esistenza, al suo «esodo» pasquale (Lc 9,31). L’istituzione dell’Eucaristia nel giorno degli Azzimi (Lc 22,1-38) è una delle narrazioni più toccanti ed importanti nella parte ormai conclusiva del Vangelo (Lc 19,24-24,53).

Era il 14 di Nissan: giorno di grande fermento in tutte le famiglie di Gerusalemme, che si preparavano alla festa eliminando ogni frammento di pane lievitato dalle dispense. Nelle prime ore del pomeriggio nel Tempio era sacrificato l’agnello, così al tramonto del sole ci si poteva ritrovare per la cena pasquale, per rendere presente nei riti la salvezza operata da Dio che aveva liberato Israele dalla schiavitù dell’Egitto.

Preludio d’amore

Gesù che aveva disposto ogni cosa per quell’occasione (22,7-13), ora è seduto a mensa con i suoi. È l’ultima cena prima di lasciare questo mondo, il momento più solenne. Luca ce ne offre una descrizione che è il frutto della rilettura sapienziale compiuta dalla prima comunità cristiana. Egli tratteggia Gesù come l’unico grande protagonista della scena, ma ci fa anche percepire la profonda intesa di comunione coi suoi che ne ascoltano le parole e partecipano del più grande mistero di amore noto all’uomo. La smisuratezza di questo amore è più evidente, quando si noti che questa narrazione è come incastonata tra due atti di disamore: Giuda decide di tradire (vv. 1-6) e Gesù predice che Pietro lo rinnegherà (vv. 31-34). L’amore di Cristo è davvero più grande del nostro cuore e di quanto esso possa decidere.

Gesù ripete il rituale ebraico prescritto (vv. 14-18), ma pronuncia per due volte espressioni nuove ed inerenti il Regno di Dio (vv. 16.18). Sono parole apparentemente misteriose, ma che in realtà intendono far capire ai presenti che quanto lui sta per dire e fare è anticipazione di una festa ancora più grande: quella che Dio imbandirà per noi alla fine dei tempi in segno di amore infinito (14,16-24).

Nuove parole d’amore

Gli Apostoli forse percepiscono che Gesù li stava preparando ad accogliere una grande novità. Per poterne dare inizio, Egli aveva affermato di aver «desiderato fortemente» mangiare quella Pasqua con loro (v. 15).
Luca scrive: «Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice (vv. 19-20). Il pane, che durante la cena pasquale ebraica era il segno della comunione fra i membri della famiglia, è preso da Gesù ed offerto come suo corpo. Egli comanda di ripetere quelle parole e quelle azioni non come un semplice ricordo, ma come un «memoriale» grazie al quale garantirà la sua presenza vera ed efficace sempre, in ogni tempo.

Si tratta di un’alleanza siglata non più, come in antico, dal sangue di un agnello, ma dal sangue di Cristo versato per noi. Ogni singolo gesto compiuto ed ogni parola pronunciata in quella sera da Gesù trovano pieno compimento negli eventi che sarebbero accaduti di lì a poco: al Calvario e presso la tomba vuota, gli Apostoli avrebbero capito che l’Eucaristia era anticipazione del sacrificio di Cristo – da Lui vissuto e donato come personale atto di amore – e della sua Risurrezione.

Un amore per sempre

«Resta con noi», supplicarono i due discepoli che da Gerusalemme stavano andando ad Emmaus (Lc 24,13-35). Quel viandante accettò e «quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (v. 30). È rilevante che i discepoli abbiano riconosciuto Gesù proprio nel gesto del prendere il pane, del benedirlo e spezzarlo. Di lì a poco Gesù sarebbe scomparso, ma sarebbe rimasto per sempre nel Pane spezzato e nel Sangue versato.

Anche in noi, quindi, aumenti la consapevolezza che l’Eucaristia sgorga dall’amore di Cristo e che in questo Sacramento Egli è realmente presente. Così il Signore continua a camminare verso di noi, a stare con noi offrendosi come il pane vero disceso dal cielo, il pane della vita, perché tutti coloro che ne mangiano siano in comunione con Lui, abbiano la vita eterna e siano da Lui risuscitati nell’ultimo giorno (cfr. Gv 6,34.48.51.54.56.58).

                                                                                                  
Marco ROSSETTI SDB


IMMAGINE:
“Gesù ha comandato di ripetere i suoi gesti nell’Ultima Cena non come semplice ricordo, ma come un “memoriale” grazie al quale garantisce la sua presenza in ogni tempo. © Ultima cena, G. Monaca, Editrice Elledici



      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2010 - 6
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