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LEGGIAMO I VANGELI:
   
RICORDARE CIO' CHE GESU' DICE

Il racconto della tomba vuota (Lc 24,1-12)

Una grossa pietra tombale rimos- sa, uno sguardo al sepolcro di Gesù per registrare l’assenza del suo corpo, un senso di interiore smarrimento (vv. 2-3): paradossalmente l’avvenimento che sta al centro della nostra fede non è verificabile né descrivibile. Tutto questo accade perché la risurrezione è il più bel dono dell’amore di Cristo. Così come quell’amore è indescrivibile, perché incommensurabile, allo stesso modo lo è la resurrezione, perché sommo mistero d’amore. Sulla curiosità deve vincere il tempo del «ricordo» meditato della Parola affinché ci sia svelato il mistero e siamo consegnati all’amore.

Giorno di novità

La scoperta del sepolcro vuoto ebbe luogo «il primo giorno della settimana» (v. 1), quello che nel computo ebraico coincide col giorno dopo il sabato e che per noi cristiani corrisponde alla domenica. L’indicazione cronologica «il primo giorno» tende a suggerire che con la risurrezione è iniziato per il mondo e per ciascuno di noi un tempo nuovo, quello del compimento delle promesse fatte da Dio. La nostra vita cristiana deve concentrarsi su questo giorno «primo ed ultimo, giorno radioso e splendido del trionfo di Cristo» (Liturgia delle Ore). Una tale concentrazione ci aiuterebbe a mantenere vivo il desiderio di cercare ed incontrare il Signore nella sua Parola e nell’Eucaristia per poterlo annunciare. Perché questo desiderio talvolta si affievolisce? Perché le nostre esistenze sono così spesso concentrate solo sulle cose di questa vita e povere di prospettive di futuro? Perché non sappiamo mettere Cristo nei giorni della nostra vita? Forse abbiamo perso il ricordo vitale di quel «primo giorno» che solo ci restituisce la capacità di rileggere ogni avvenimento alla luce del Signore Risorto.

Giorno del ricordo della Parola

È sorprendente, ma la scoperta della tomba vuota non muove Maria Maddalena e le altre donne all’accoglienza del mistero (v. 10). Ai fini della fede non è il vedere che conta, ma il farsi raggiungere dalla Parola: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è risorto» (v. 5). Luca modifica a tal proposito i testi di Marco e di Matteo sostituendo all’ordine di recarsi dai discepoli quello di ricordare: «i due uomini in abito sfolgorante» invitano infatti le donne a «ricordare» ciò che Gesù aveva detto (v. 6).

È insomma data assoluta precedenza al momento dell’ascolto e del ricordo della Parola rispetto a quello dell’annuncio. Perché le donne capiscano, «i due uomini» le aiutano infatti a legare quanto stanno vedendo con quanto Gesù aveva detto nella sua predicazione ed in particolare nei tre annunci della sua morte e risurrezione. Non è forse quello che lo stesso Risorto avrebbe fatto coi due di Emmaus aiutandoli a ricordare tutto ciò che le Scritture Sante avevano già detto di Lui (24,25-27)? Non è forse quello che il Signore disse un giorno a Marta invitandola a non preoccuparsi ed affannarsi per molte cose, ma a concentrarsi nell’ascolto della Parola, l’essenziale che non teme confronti (10,38-42). Non è forse ciò che Maria di Nazaret aveva fatto per prima meditando nel suo cuore tutte le cose che erano accadute dal suo «sì» fino alla nascita di Gesù (2,19)?

Vi è qui uno stupendo e chiaro invito a non lasciarci vincere dalla semplice curiosità o dalla fretta nelle cose che riguardano il mistero di Cristo, ma a lasciarci vincere dalla Parola che ci aiuterà ad interiorizzarlo e a viverlo. Solo se ci facciamo raggiungere dalla Parola potremo essere credenti nel Signore Risorto.

Giorno della testimonianza

Solo se ci facciamo raggiungere dalla Parola potremo essere infine
annunciatori del Signore della vita. L’Evangelista ci offre una prova della bontà di questo dinamismo quando afferma che le donne solo dopo essersi ricordate delle parole di Gesù (v. 8) «annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (v. 9). Esse si fanno annunciatrici non per uno speciale incarico ricevuto, ma per quella spontanea iniziativa che sgorga in chi si è lasciato dimorare dal ricordo avvolgente della Parola e poi sente il bisogno di dirla. La loro testimonianza non viene però accolta, non perché non sia buona, anzi. Certo, gli antichi retaggi culturali ebraici vietavano di credere sulla parola data da una donna, ma il motivo centrale è che agli Undici e agli altri mancava ancora il decisivo tempo del «ricordo» in cui la Parola si sarebbe sedimentata in loro e li avrebbe condotti alla fede aiutandoli a capire il significato di quella tomba vuota di fronte alla quale, lo stesso Pietro, provò in quel preciso momento solo stupore (v. 12). Di lì a poco sarebbe venuto il tempo in cui Gesù si sarebbe preso cura di lui, come dei due di Emmaus, per introdurlo e confermarlo nella fede più adulta, quella che trova la manifestazione più alta nel dire: «Signore tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (cfr. Gv 21,15-23).


                                                                                                 
Marco ROSSETTI SDB


IMMAGINE:
“Gesù ha comandato di ripetere i suoi gesti nell’Ultima Cena non come semplice ricordo, ma come un “memoriale” grazie al quale garantisce la sua presenza in ogni tempo. © Ultima cena, G. Monaca, Editrice Elledici



      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2010 - 7
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