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LEGGIAMO I VANGELI:
   
FIGLI AMATI DA UN DIO PADRE

Al cuore del “discorso della montagna”

“Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23): questo è il programma che Matteo vuole svolgere in una lunga parte del suo Vangelo, per presentarci al meglio Gesù come il Messia potente in parole ed in opere (4,23-9,35). Quanto riguarda l’insegnamen-
to e l’annuncio del Regno fa parte del cosiddetto “discorso della montagna” (5,1-7,29); il resto dei racconti, quelli intorno ai miracoli di guarigione, sono raccolti nella sezione subito successi-va (7,30-9,35).

Grandi folle cominciano a seguire Gesù dalla maggior parte del territorio dell’Israele antico (cfr. 4,25). È allora che Gesù sale su di un “monte alto”. Nella tradizione del Primo Testamento esso è il luogo in cui Dio stipula l’Alleanza con Mosè (Es 19-20 e Dt 5). Costui aveva un tempo accolto la Legge, ora Gesù la compie gettando i fondamenti dell’Alleanza Nuova. Mentre Mosè era salito sul monte per ricevere le parole di Dio, Gesù invece vi sale per dare le sue parole: egli parla come Dio stesso farebbe (cfr. Es 19,20; 20,1; Dt 5,4). Egli è Dio che messosi a sedere, insegna mentre i discepoli gli fanno corona (cfr. 5,1) e molta altra gente gli sta intorno.

Dio, gli altri e le cose

In questo discorso – primo di altri quattro – Matteo raggruppa le parole del Maestro in modo tale da presentarne prima gli insegnamenti sul rapporto col prossimo, poi quelli sulla relazione con Dio ed infine quelli sulla gestione delle cose materiali. L’abbondante materiale narrativo è strutturato in modo che al centro è posta la sezione dedicata al come si deve impostare e vivere il proprio rapporto col Signore, ciò che più conta. Gesù è chiaro nel suo intento, colto appieno dall’evangelista: si possono instaurare solide e sincere relazioni con le persone e si impara ad usare propriamente dei beni soltanto nella misura in cui si coltiva rettamente l’unione con Dio.
Il Padre Nostro – tramandatoci anche nella più breve versione di Luca – è allora insegnato in un’occasione propizia e per un uditorio che già stava ascoltando, così che nulla venisse perso di quelle parole, eredità tra le più preziose lasciateci da Cristo. La circostanza è già foriera dell’atteggiamento con cui l’orazione del Signore deve essere accolta e praticata. Non come l’espressione di un anonimo spirito umano che anela a un dio qualsiasi, ma come la manifestazione dell’amore di un figlio che dopo aver praticato l’elemosina nella più assoluta discrezione si raccoglie segretamente nella preghiera ed invoca il proprio Padre senza usare troppe parole, perché tanto sa che il proprio Padre, che vede nel segreto, conosce molto bene ciò di cui egli ha bisogno. Si impegna infine a porre segni significativi di conversione, come il perdono fraterno ed il digiuno.

Imparare a fidarci

Espressioni sobrie costituiscono questa preghiera, sempre da “imparare”. Oltre alle invocazioni dobbiamo apprendere da essa anche due grandi insegnamenti di fondo, che passano attraverso tutto il testo. Se non li apprendessimo, ci risulterebbe molto difficile pregare come Gesù ha pregato, a meno che questo non consista solo nella ripetizione di parole.
Il più grande insegnamento di questa preghiera sta nel dirci chi è Dio per noi – un Padre – e chi siamo noi per lui: figli! Curiamo di indirizzare bene la nostra orazione a Dio che ci è Padre e sa di cosa abbiamo bisogno perché siamo dei figli cari, non degli estranei di poco conto!
Poi, dobbiamo imparare a fidarci. Come è possibile che la preghiera sia vera se non ci fidiamo, nel senso di lasciare spazio a quello che Gesù ci insegna a chiedere? Se facessimo bene attenzione, scopriremmo che nel Padre Nostro c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, tutto il necessario spirituale e non solo: la lode amorosa del Padre, la venuta del suo Regno, la docilità nell’accogliere la sua volontà. E poi il pane per ogni giorno, la disposizione al perdono e la supplica per non essere abbandonati nella tentazione. Non è forse questo tutto il necessario da chiedere? Questo deve essere pertanto il contenuto della nostra buona fiducia nel Padre. Fiducia ci vuole per ben pregare, perché chi ha fiducia sa apprezzare quanto gli viene dato e ne è grato! Sa perfino apprezzare la decisione del Padre che ben vedendo in noi, può anche non darci tutto ciò che gli chiediamo. Non smettiamo mai di imparare il Padre Nostro, di meditarlo e di pregarlo.

                                                         
Marco ROSSETT sdb / rossetti.rivista@ausiliatrice.net




      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2011 - 01
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