La morte è
un evento naturale, ma lodierno clima culturale lha
resa tabù
e parlarne genera resistenze. La nuova edizione del «Rito
delle esequie»,
predisposto dalla Conferenza Episcopale Italiana, sottolinea
la fede nella
risurrezione e la gioia dellincontro con il Padre che da
sempre ci attende.
Annunciare
il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale
ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti; rispondere
alla tendenza, diffusa soprattutto nelle aree urbane,
a nascondere la morte, a mimetizzare la sepoltura, a privatizzare
il lutto; la cremazione,
purché non sia fatta in odio alla fede, è legittima
ma la Chiesa ritiene che la sepoltura del corpo sia la forma
più idonea.
Sono alcuni obiettivi della seconda edizione del Rito delle esequie,
predisposto
dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e presentato il 2
marzo a Roma. Il testo
liturgico è diventato obbligatorio in Italia dal 2 novembre
2012, data significativa
dal punto di vista liturgico perché è la Commemorazione
di tutti i fedeli defunti.
Loperazione risponde a una diffusa esigenza pastorale,
quella di rendere
più marcate e più evidenti le ragioni della fede,
nel solco dellapplicazione della riforma
liturgica a cinquantanni dellapertura del Concilio.
Il volume, pubblicato
dalla Libreria Editrice Vaticana, segue la prima edizione del
1974 sulla base delledizione
tipica del 1969.
Si offre una più ampia e articolata proposta rituale dal
primo incontro del sacerdote
con la famiglia del defunto alla tumulazione del feretro. E si
fornisce, in
appendice, alcune indicazioni sulla cremazione.
Numerosi sono i cambiamenti introdotti. Una prima novità,
non presente nelledizione del 1969 e del 1974, riguarda
«la visita alla famiglia del defunto ». Essa diventa
per il parroco o il
sacerdote un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei
familiari, di conoscenza
di alcuni aspetti della vita del defunto in vista di un corretto
e personalizzato ricordo nella celebrazione delle esequie. Una
seconda novità è la «Preghiera
alla chiusura della bara», rivista e arricchita per leggere
un momento molto
doloroso alla luce della Parola di Dio e della speranza cristiana.
La sepoltura del corpo è
ancora la forma più idonea. Nelle esequie, nella Messa
o nella liturgia
della Parola, cè una più ricca e varia proposta
di esortazioni per il rito dellultima
raccomandazione e del commiato, un gesto che è anche lultimo
saluto della
famiglia e della comunità cristiana a un suo membro prima
della sepoltura:
ora ci sono 12 proposte di esortazione.
E la cremazione? Risponde Mons. Alceste Catella, vescovo di Casale
Monferrato
e presidente della Commissione Cei per la liturgia: «La
Chiesa, anche se non
si oppone più alla cremazione dei corpi quando non viene
fatta in odium fidei,
continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma
più idonea». Particolarmente
importante laffermazione che la cremazione si conclude
con la deposizione
dellurna nel cimitero, per contrastare la prassi
che si diffonde sempre
più di spargere le ceneri in natura nel
mare, su una montagna, in un prato o
di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, per esempio nelle
abitazioni. Tale
prassi «solleva non poche perplessità sulla sua
piena coerenza con la fede cristiana,
soprattutto quando sottintende concezioni panteistiche o naturalistiche».
Si
insiste «per una catechesi e unazione pastorale che
sappiano educare il popolo di
Dio alla fede nella risurrezione dei morti, alla dignità
del corpo, allimportanza della
memoria dei defunti, alla testimonianza della speranza nella
risurrezione».
Le esequie cristiane non sono uno spettacolo. Spiega ancora Mons.
Catella: dietro laumento
del numero delle cremazioni «cè anche il grande
sforzo pubblicitario delle
agenzie funebri che gestiscono queste pratiche». Aggiunge
Mons. Angelo Lameri,
collaboratore dellUfficio Liturgico della Cei: «La
stessa denominazione di Appendice
vuole richiamare il fatto che la Chiesa continua a ritenere la
sepoltura
del corpo dei defunti la forma più idonea a esprimere
la fede nella risurrezione della
carne, ad alimentare la pietà dei fedeli verso coloro
che sono passati da questo
mondo al Padre e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio
da parte di familiari
e amici». Per Mons. Domenico Pompili, sottosegretario della
Cei e direttore dellUfficio comunicazioni
sociali, «le esequie cristiane non sono uno spettacolo,
anche se utilizzano
la ricchezza e la pluralità dei codici della liturgia.
Il nuovo rito può essere un
contributo a umanizzare il momento della morte, sottraendolo
alla sua invisibilità
e alla sua individualità, quando non alla sua spettacolarizzazione».
Spiega Mons.
Pompili, che è anche studioso dei nuovi linguaggi: «Nella
società post-mortale la
morte è messa a tacere e rimossa dallorizzonte della
vita mentre proliferano le
spettacolarizzazioni mediatiche che trasformano in fiction anche
la violenza che
genera morte. Oppure la morte è intesa come un evento
che si affronta in solitudine,
un fatto privato per i comuni mortali e un fatto pubblico per
le celebrità. Si
muore soli in ospedale; ai bambini non si fa vedere la salma
dei nonni perché potrebbe turbarli. Così si è
analfabeti e muti di fronte a un evento che è parte della
vita. In questo orizzonte immanente è urgente riscoprirne
il carattere di mistero, che nella prospettiva cristiana riguarda
il defunto, la
famiglia e la comunità e aiuta a riscoprire la morte come
un evento che interpella la vita».
La celebrazione delle esequie costituisce il momento culminante
dellaccompagnamento rituale
della morte. Essa può essere svolta tanto nella forma
della celebrazione eucaristica, quanto
nella forma della Liturgia della Parola. Il nuovo Rito è
un contributo a umanizzare il momento della morte, sottraendolo
alla sua invisibilità e alla sua individualità,
quando non alla sua spettacolarizzazione.
P.G.
ACCORNERO
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