GESU' IN PREGHIERA

Siamo giunti a un culmine della nostra riflessione sulla vita cristiana come imitazione di Gesù. Ora vogliamo riflettere sull’intima comunione che c’è tra Gesù e il Padre e sull’intima comunione che Gesù vuole creare tra noi e il Padre. Secondo la pagina di Vangelo, che abbiamo scelto, questa nostra relazione nasce da un desiderio che sgorga dalla contemplazione di Gesù in preghiera. Il testo inizia dicendo: “Un giorno, mentre Gesù si trovava in un certo luogo a pregare, quando finì, uno dei discepoli gli disse: «Signore insegnaci a pregare»”. Ebbene, Gesù non solo ci insegna a pregare (vv. 2-4), ma anche “come” pregare (vv. 5-13).
Ogni lettore-discepolo, si immedesimi dunque in quel discepolo e formuli la stessa domanda a Gesù e, fissando lo sguardo su di lui, legga da solo l’intero testo (11,1-13) e poi si chieda:

Come si rivela Gesù?


È ora che ce lo chiediamo, perché è la settima volta che Gesù si presenta a noi in preghiera (Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 10,21; 11,1), e lo contempleremo altre quattro volte nel Vangelo secondo Luca: quando dice a Simon-Pietro: “Ho pregato per te...” (22,31-32), nel Getsemani (22,40-45), appena elevato sulla croce (23,34) e mentre esala l’ultimo respiro (23,46).
La preghiera di Gesù è sempre e innanzitutto un momento di intima relazione con il Padre, una relazione che appare sin dall’inizio della sua vita quando dice alla madre e a Giuseppe: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” (2,49). Ora il suo essere nelle cose del Padre si esplicita come preghiera al suo primo apparire adulto. Dopo il battesimo nel Giordano, Luca annota che “mentre era in preghiera, il cielo si aprì e lo Spirito Santo scese su di lui” (3,21-22). È la sua umanità che viene investita dalla forza dello Spirito Santo che lo rende soggetto capace di una missione, tesa alla vittoria sul male (racconto delle tentazioni: 4,1-13) e all’evangelizzazione dei poveri (4,18), perché tutti possano vedere la salvezza di Dio (3,6). Tutta la missione di Gesù si svolge sotto la potenza dello Spirito: “colmo di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto” (4,1); “poi ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo” (4,14). È la preghiera che gli ha ottenuto questo dono, e ciò vale anche per i discepoli (11,13); ed è la preghiera che lo mantiene in continua comunione con il Padre.
L’oggetto della sua preghiera non è quasi mai esplicitato, ma lo si capisce dal contesto. Dopo aver guarito un lebbroso toccandolo, cioè rendendosi impuro secondo la legge, egli sa che la critica tenterà di demolirlo; per questo si rifugia nella preghiera (5,16). E dopo una serie di controversie, quando “i farisei, pieni di rabbia, discussero tra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù” (6,11), egli se ne va sulla montagna a pregare “e passò tutta la notte pregando Dio” (6,12), cioè egli valuta sempre in un colloquio con il Padre la sua situazione in modo da essere sempre in sintonia con il Padre. Ed è in preghiera prima di chiedere ai suoi discepoli quello che pensano di lui (9,18-20). La risposta di Pietro: “Tu sei il Cristo di Dio” dice che egli ha pregato il Padre perché illuminasse i suoi discepoli sulla sua identità. Ma soprattutto sente il bisogno di pregare quando il totale rifiuto si fa sentire (9,22): “Salì sul monte a pregare”; e la preghiera lo trasfigura e lo aiuta a capire il suo destino di sofferenza come un “esodo”, cioè nella speranza (9,28-31); e pregherà con molta intensità prima di entrare nella definitiva lotta contro il “potere delle tenebre (22,41-45.53) e, colmo di amore, pregherà innalzato in croce per i suoi nemici (23,34), perché desidera la loro salvezza”. E al concludersi la sua vita terrena si getterà nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (23,46).
I testi citati presentano sempre Gesù nei momenti più decisivi della sua vita. È perciò facile percepire che la sua preghiera è innanzitutto “richiesta” di aiuto. Ma c’è anche un testo che descrive Gesù che “esulta di gioia nello Spirito Santo e rende lode al Padre”. Gioisce e loda il Padre per unirsi alla gioia dei discepoli che ritornano contenti dalla loro missione per aver sperimentato che riuscivano a scacciare i demoni “invocando il nome di Gesù”. Per questo Gesù ringrazia e loda il Padre. È un suo dono il felice risultato della missione (10,21).
Ora, nel testo scelto (11,1), non sappiamo per quali motivi Gesù sia lì da solo in preghiera, ma è chiaro che è dalla contemplazione di Gesù in preghiera che nasce nei discepoli il desiderio di pregare come Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”. Con questa richiesta ha inizio il confronto.

Gesù - discepoli

Già molte volte, almeno quelli che sono stati testimoni oculari del suo comportamento “dal battesimo di Giovanni sino all’Ascensione”(At 1,21-22), lo hanno visto pregare da solo. E senz’altro debbono aver capito che Gesù aveva un modo tutto suo di pregare, di entrare in comunione con Dio. Lo chiamava “Padre, padre mio”. E quando parlava loro di Dio soleva dire: “Padre vostro” e diceva loro di “amare anche i nemici” per “diventare figli dell’Altissimo” (6,35). Se lui “figlio” aveva un modo tutto suo di pregare il Padre, perché non potevano fare come lui, essi “i figli”? Che cosa impediva loro, suoi discepoli, di entrare nella stessa comunione con il Padre? Nella loro attività apostolica non dovevano forse sentirsi mandati dal Padre con gli stessi poteri di Gesù? (vedi 10,2 e 9,1). Ecco i motivi per cui hanno bisogno che Gesù insegni loro la vera preghiera dei “figli”.
Gesù li esaudisce e dice loro: “Quando pregate dite: Padre...”. Dice solo “Padre”, anche se è logico aggiungere “nostro” quando preghiamo insieme. Qui Gesù dice semplicemente come egli prega quando è solo. Quando si è soli, infatti, la preghiera dev’essere sempre personalizzata al massimo e perciò come Gesù dire: “Padre”, o meglio “Abbà! Papà!”. È così che Gesù nel Getsemani si rivolge al Padre. Nella sua massima debolezza umana, colmo di paura e di angoscia di fronte alla sofferenza che lo attende, si sente incapace come uomo di portare a termine la sua missione e, come un bambino, si rivolge al Padre, chiamandolo: “Abbà! Papà”. Questo suo atteggiamento è il segno più espressivo della sua massima intimità nelle relazioni “Figlio-Padre”. Lo ha capito bene Paolo, quando dice che “noi abbiamo ricevuto uno Spirito che ci rende figli, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre»”. In Gal 4,6 dice che “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!»”. Dire nella preghiera personale “Abbà! Papà” significa esprimere al massimo la nostra figliolanza divina; mentre quando insieme diciamo: “Padre nostro” esprimiamo al massimo il nostro senso di fraternità, riconoscendoci tutti figli di uno stesso Padre e perciò fratelli tra di noi.
Notiamo che ciò è possibile perché abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, cioè perché Dio (nella luce del Nuovo Testamento, “il Padre”) ha compiuto in noi la sua antica promessa: “Santificherò il mio grande nome davanti alle genti... quando porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei preconcetti” (Ez 36,23-27). Ebbene, è questo che Gesù ci insegna a chiedere quando ci fa dire: “Sia santificato il tuo nome”. Con parole nostre: “Dimostra in noi la tua santità, o Padre, per mezzo del tuo Spirito. Come hai santificato, consacrato, il Figlio tuo e lo hai mandato nel mondo (Gv 10,36), così, ascoltando la sua preghiera, santifica, consacra, anche noi che gli apparteniamo (Gv 17,17), prendi dimora in noi, cioè «venga a noi il tuo regno»”. Gesù è la visibile presenza del “regno di Dio” nel mondo, e tali siamo anche noi quando come Gesù ci comportiamo da veri figli di Dio.
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Da Dio ai fratelli, da un rapporto personale con Dio a un rapporto con i fratelli. E qui sentiamo che dobbiamo scendere nella concretezza del nostro modo di vivere la fraternità e la prima richiesta è assai concreta: “Donaci ogni giorno il pane quotidiano”. “Donaci”: chiediamo il pane, ma lo chiediamo per tutti; chiediamo di saperlo spezzare insieme come fratelli, perché solo così ce ne sarà per tutti. E subito sentiamo che per fare questo, dobbiamo prima diventare davvero fratelli, cioè riconciliarci tra di noi. Di qui la richiesta: “Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore”. Sì, lo sappiamo che è poco quello che dobbiamo perdonarci tra di noi: sono dei semplici “debiti”, mentre è molto quello che Dio deve perdonarci: i nostri peccati, vera rottura tra noi e Dio, tra noi e gli altri. Per questo gli chiediamo di abbattere quelle barriere che noi abbiamo innalzato nei suoi confronti, allontanandoci da lui, perché solo così riusciremo ad abbattere le barriere che ci separano gli uni dagli altri. E quindi diciamo, per riuscirci: “Fa’ che non cadiamo nella tentazione”. La tentazione del sopruso che ci impedisce di spezzare insieme il pane, la tentazione dell’odio, della violenza, la tentazione di non vivere più in relazione con Dio. Chiediamo, cioè, la vittoria mediante la forza dello Spirito di vivere da riconciliati.
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Gesù ci ha insegnato a pregare e subito ci insegna “come pregare”. A prima vista sembra che sottolinei con forza che bisogna pregare con insistenza o, come dirà in 18,1-8 “senza stancarsi mai”. È così che dev’essere la nostra preghiera. Comunque personalmente mi pare che l’accento, nei vv. 5-8, cada con forza sul “comportamento” dell’amico che si cerca a mezzanotte e, nei vv. 9-13, sul comportamento di Dio-Padre, sottinteso nei passivi: “vi sarà dato... vi sarà aperto” (= il Padre vi darà... vi aprirà) ed esplicitato nel confronto tra un “padre terreno” (v. 11) e il “Padre vostro del cielo” (v. 13). Nel primo caso, l’amico non si limita a dare quello che gli si chiede, ma “tutto ciò di cui colui che chiede ha bisogno”. Nel secondo caso, non si dice che Dio dà quello che gli si chiede, ma che ci dona il bene supremo, cioè lo Spirito Santo: “Il Padre del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”. Ne abbiamo di bisogno come cristiani, perché è lo Spirito Santo che ci rende, mediante i suoi doni, capaci di compiere la nostra missione cristiana, che è “imitazione di Gesù” e annuncio del regno di Dio al mondo.
A prima vista sembra che Gesù ci insegni solo a chiedere. Si è vero, ma la richiesta è nella speranza e nella certezza di ottenere soprattutto il dono dello Spirito. E quando si è colmi di Spirito Santo scoppia la lode, il ringraziamento, l’adorazione (vedi 1,39-46.67-79; 2,27-32; 10,21-22). Chi, di fronte al bene, a un successo apostolico, non sente in sé il desiderio di ringraziare Dio e di donarsi agli altri, è uno che non sa davvero pregare e che pensa che il bene fatto sia un suo merito e non un dono del Padre che ci associa alla missione del Figlio. Pensiamoci su!

Pregando il testo

Signore Gesù, eri solito andare alla sinagoga per ascoltare la “Parola di Dio” e pregare con i fratelli nella fede, ma la tua vita mi insegna che sentivi anche il bisogno di una intensa preghiera personale. Secondo i tuoi evangelisti, lo facevi in momenti cruciali della tua vita. Perciò penso che anche tu non trovavi nei libri ufficiali di preghiera le parole adatte e che perciò pregavi raccontando al Padre le tue esperienze umane e con il Padre cercavi di stabilire come comportarti sia con i tuoi discepoli, ma soprattutto con i tuoi nemici e di fronte alla morte. Quello che cercavi nella preghiera era certamente il modo di essere sempre, anche nelle più grandi difficoltà, un continuo “dono del Padre” per tutti, anche per chi ti vuole uccidere. Sentivi tutta la tua debolezza umana e chiedevi al Padre l’aiuto di superarla nella fedeltà alla tua missione. È la preghiera che ti ha reso fedele sino alla fine e “sacerdote perfetto”, vero e “unico Mediatore” tra Dio e gli uomini e “causa di salvezza eterna per tutti noi”. Grazie, Signore Gesù!
Ora tocca a noi (a me) imitarti. Il tuo esempio mi dice dinon illudermi mai di avere in me le forze necessarie per compiere la mia missione cristiana. Ce lo hai detto in modo chiaro: “Pregate per non cadere nel momento della tentazione” e ci hai detto anche, e questo è consolante: “Il Padre darà lo Spirito Santo
a quelli che glielo chiedono”. Infondi in noi la convinzione di non essere degli autosufficienti e rendici, come te, uomini di preghiera. Aiutaci a metterci alla presenza del Padre come figli, e a chiamarlo come lo chiamano i bambini: “Abbà! Papà! Babbino!”; donaci una vera fiducia nel Padre per sapergli raccontare con semplicità la nostra vita, le nostre difficoltà, i nostri desideri di essere veri testimoni tuoi nel mondo.
Preghiera
Signore, facci sentire un immenso bisogno della preghiera personale, per scoprire sempre, come te uomo, il bisogno di dire al Padre: “Un corpo mi hai dato... Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà” (Eb 10,5-7). Solo così capiremo che è vero l’incontro con il Padre, se incontrandoci con lui, sentiamo l’impellente necessità di passare da lui ai fratelli, per pregare insieme, spezzando prima il “tuo pane” e poi quello materiale, in segno di mutua riconciliazione. E se per caso abbiamo la disgrazia di cadere nel male, donaci il coraggio di aggrapparci alla mano che il Padre nella sua infinita bontà continua a tenderci per rialzarci e riportarci al bene. Amen!

                                                                                  Mario Galizzi SDB


IMMAGINI:
1 Bianchi ferrari Francesco: Cristo orante. Galleria d'arte Antica Roma
2 Cristo orante
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-7
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