IL CRISTIANO E IL DONO DEL TIMOR DI DIO
Con il dono di Conoscenza abbiamo imparato tutto e tutti nella luce di Dio; con il dono di Intelligenza abbiamo capito che bisogna purificare il cuore dall’orgoglio per sviluppare al massimo la propria intelligenza e penetrare con l’aiuto dello Spirito nelle profondità di Dio; infine con il dono di Sapienza abbiamo gustato quanto è buono il Signore e come è bello lasciare che sia lui stesso a introdurci nella Storia della Salvezza e a programmare in sintonia con lui la propria vita per vivere in noi l’infinito amore di Dio per tutte le creature.
Ora, da questo atteggiamento di contemplazione di Dio, vogliamo scendere di più nella concretezza della vita e capire quei due doni fondamentali dello Spirito, che più ci aiutano a vivere concretamente la nostra relazione con Dio: il dono del Timore di Dio e il dono di Pietà. Esamineremo poi i doni del Consiglio e della Fortezza che ci aiuteranno a vivere correttamente la nostra relazione con gli altri, di cui già tanto abbiamo parlato, in particolare toccando il dono di Conoscenza. Infine parleremo dei frutti dello Spirito Santo elencati in Gal 5,22. Come si vede è ancora lungo il cammino che dobbiamo compiere, ma la sua conoscenza offrirà una certa completezza al tema che stiamo sviluppando in quest’Anno Santo: Chi è e come si forma il cristiano? Limitiamoci ora al dono del Timore di Dio.
Che cos’è il timore di Dio?
Per capirlo cerchiamo innanzitutto di indagare nella Scrittura il vero senso del timore di Dio che, come dono dello Spirito, non può certamente essere la paura di Dio. Ma è necessario convincerci di ciò, perché troppa gente ha paura di Dio. Ora gli argomenti, presi dalla Bibbia, per dimostrare che non si tratta di paura, sono assai abbondanti, ma due bellissimi testi sono più che sufficienti per capirci. Il primo è tratto dal Libro del Siracide (parola che significa: figlio di Sirac). Nel suo primo capitolo leggiamo queste belle frasi:

«Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona di esultanza. / Il timore del Signore allieta il cuore e dà contentezza, gioia e lunga vita. / Il timore del Signore è un dono del Signore che colloca sui sentieri dell’amore. / Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte. / Principio della Sapienza è il timore del Signore, egli la dona ai credenti sin dal seno materno... / Pienezza della Sapienza è temere il Signore, essa lo sazia con i suoi frutti» (1,11-15); il secondo testo è quello di Dn 3,41: «Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto».

Dopo questa lettura possiamo capire perché in Is 11,2 il timore del Signore o spirito di timore del Signore non si confonde con la paura. Chi ha paura non va in cerca del volto del Signore, ma come Adamo ed Eva, dopo il peccato, si nascondono (Gn 3,8). Il vero timore di Dio si avvicina all’amore. È tale l’esperienza che l’uomo ha della bontà del Signore che il timore lo conduce a una totale fiducia in lui, come dice san Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura ma avete ricevuto uno spirito da figli per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Papà» (Rm 8,15).
Il “timore”, dono dello Spirito, è il timore filiale. Personalmente mi piacerebbe renderlo con l’espressione: il fascino di Dio o l’incanto di Dio. E lo possiamo descrivere così: come figli sentiamo il fascino della grandezza di Dio-Padre; ci sentiamo avvolti dalla sua infinita bontà, misericordia, tenerezza, sentiamo davvero quanto è bello ciò che dice il Sal 145,9: «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature». Per noi Dio è la persona più desiderabile, più amabile, è il Sommo bene; senza di lui tutte le cose e tutte le persone non hanno senso; mentre tutto acquista senso se è visto nella sua luce: Dio è tutto per noi. Certamente sentiamo l’enorme distanza che c’è tra noi e Dio, ma questa distanza Dio l’ha eliminata nel suo amore. Ed è questo amore che chiede il nostro amore, che si fa umiltà, rispetto, docilità; si fa ubbidienza perché come Dio anche noi vogliamo solo il bene. Chi teme Dio in senso filiale si sforza con intima dolcezza e interiore compiacimento ad un esercizio di personale purificazione perché ogni cosa sia in consonanza amorosa con la maestà divina. Mediante la virtù della temperanza si cerca allora di guarire da ogni forma di illusione accattivante che i pensieri, spesso ribollenti, della carne e delle seducenti realtà mondane esercitano sul nostro cuore. È la condizione necessaria per poter godere del soffio dello Spirito e della presenza del Signore.

Caratteristica del timore del Signore è l’affetto filiale.

C’è un bellissimo episodio nella vita di Giovannino Bosco che dipinge plasticamente il timore filiale. Aveva solo otto anni. La mamma era assente, e lui ebbe l’idea di prendere qualche cosa che era riposto in alto. Non riuscendovi prese la sedia e vi salì sopra, ma nell’atto urtò in un vaso pieno d’olio che cadde per terra e si ruppe. Accorgendosi che non avrebbe potuto tenere nascosta la cosa alla mamma, pensò di diminuirle il dispiacere. Prese un lungo ramoscello da una siepe, lo ripulì ben bene e andò incontro alla mamma. Non aveva paura del castigo, ma gli doleva di aver dato un dispiacere a sua madre. Ebbene, questo è il vero senso del timore filiale: evitare ogni cosa che dia dispiacere alla persona amata, e Dio è l’essere più amabile.
Chi teme davvero Dio non riesce più a distinguere tra peccato veniale e peccato mortale perché cerca sempre di evitare ogni atto anche il più piccolo che non sia gradito a Dio, così colmo di amore verso le sue creature. E il risultato più evidente dell’amore filiale è un sentire nascere in sé l’orrore al peccato, anche al più piccolo peccato, perché entra in noi la paura di perdere la nostra amicizia e intimità con Dio. Dice un autore (Gardeil, citato da Drago a p. 82): «Perché temiamo Dio? Per una ragione sola. Perché a causa della nostra debolezza e della fragilità umana, abbiamo in noi il terribile potere di separarci da Dio. Più che Dio, noi temiamo la nostra volontà, facile preda degli inganni e delle seduzioni del peccato. Insomma, temere Dio è la paura di perdere Dio».
Come esempio, pensiamo a Padre Pio. Un frate del suo convento, durante una trasmissione televisiva nei giorni della beatificazione del Padre Pio, raccontò che una volta era andato a confessarsi da lui. Egli era convinto di avere solo piccoli peccati veniali, eppure il volto di Padre Pio divenne oltremodo triste. Così sono i veri santi. È tale il timore filiale che hanno dentro di sé, che ogni piccola offesa a Dio li rattrista e perciò ricorrono ad ogni mezzo per lottare contro il peccato; come don Bosco il quale diceva: «Quando vedo l’offesa di Dio, se avessi anche un’armata contro di me, non cedo». E se qualcuno chiedeva a don Bosco che cosa doveva fare per ricevere una grazia da Dio, egli rispondeva di riconciliarsi con Dio mediante il sacramento della confessione. Dal suo cuore ardente uscivano “faville di fede”, che accendevano nei cuori l’amore di Dio e con l’amore suscitavano sentimenti di filiale timore e riverenza verso Dio e tutte le cose sante. Don Bosco non temeva mai di accentuare quello che è il carattere proprio della morale cristiana, nella quale l’amore, divenuto perfetto, fa scomparire ogni timore servile, conservando e accrescendo il timore filiale.
Chi infatti intende rettamente il senso della vita cristiana che sgorga dalla grazia di Dio, dalla carità, dalla speranza e dalla fede, si accorge subito che in essa tutto ha un fine: l’osservanza dei comandamenti e il compimento del proprio dovere, non compiuto alla stregua dei servi, ma come uomini liberi, come figli di Dio. È così che si vive il timore filiale.

Qual è il vero fondamento del timore filiale?

Se il timore di Dio è la “radice della Sapienza”, l’umiltà fonda il timore filiale; ma forse è meglio dire che è l’umiltà colma di carità che fonda il timore filiale. L’umiltà è una forza armoniosa. Regola della funzione speciale della virtù morale dell’umiltà è la conoscenza di se stessi con una giusta valutazione del proprio essere: l’uomo non giudichi e non valuti se stesso al di sopra di quello che realmente è. C’è umiltà quando si rispetta e si onora Dio: Egli è il nostro Creatore, quindi il nostro essere dipende da lui; egli è il nostro Padre, quindi la nostra vita di figli dipende da lui e a lui deve rifluire sotto forma di filiale rispetto e riverenza. Queste disposizioni interiori plasmano nella fisionomia dello spirito il carattere vero e sincero dell’umiltà della mente, che rende l’uomo aperto all’influsso della grazia divina, ed eliminando da noi l’ostacolo della superbia, ci avvicina a Dio nella fede e, mediante il dono di Sapienza, ci immerge in pieno nella storia della salvezza e ci fa vivere in perfetta sintonia con Dio e in un giusto rapporto con Lui. Gesù ce lo ha insegnato quando a detto: «Chi si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4). Con queste parole Gesù caratterizza l’umiltà come un ridivenire bambini dinanzi a Dio, cioè come un abbandonarsi interamente a lui e non aspettare nulla da se stessi.
Ma c’è anche un’altra sua parola: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Qui si sente quella libera scelta che il Figlio di Dio fece entrando nel mondo: «... non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2,6-8). Si è fatto uno di noi, nostro fratello; e non si vergogna di chiamarci fratelli (Ebr 2,11), perché «è venuto per servirci e per dare la vita per noi» (Mc 10,45), e per essere come servo in mezzo a noi (Lc 2,27). Egli ha scelto liberamente la via del servizio. Si è reso umile dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, ponendosi come modello per tutti i suoi discepoli. Accogliamo allora l’invito di Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Come bambini di fronte a Dio, come servi umili di fronte ai fratelli non guardiamo mai nessuno dall’alto in basso, ma facciamoci servi gli uni degli altri. Solo imitando Gesù “mite e umile di cuore” saremo in grado di vivere in pienezza il timore di Dio.
                                                                      
  Mario Galizzi SDB
Preghiamo

O Spirito Santo, riempimi del santo timore di Dio, perché io possa con umiltà testimoniare il Signore Gesù, mite e umile di cuore. Donami la capacità di lottare contro il peccato per non dispiacere al Padre che tanto mi ama. E fa’ che senta l’amore di Dio come la vera fonte del mio amore verso i fratelli. Amen!


IMMAGINI:
1 Rembrandt : Il ritorno del figlio prodigo - Ermitage - San Pietroburgo /
2 Lo Spirito Santo e i suoi sette doni
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2000-7
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