Il secolo XX, più di
altre epoche della storia della Chiesa, può essere qualificato
come il secolo dei martiri, tanto grande è
stato il numero dei cristiani di ogni condizione che hanno sofferto
per la fede cristiana fino ad andare incontro alla morte.
I primi martiri del XX secolo si ebbero nella Cina da parte dei
Boxer, una setta xenofoba e anticristiana: furono uccisi 180
missionari e circa 40.000 cristiani. Dal 1894 al 1918 i turchi
massacrarono circa due milioni di cristiani armeni. Negli anni
Venti una violenta persecuzione contro la Chiesa fu scatenata
nel Messico dai Governi anticlericali del generale Obregón
e di P. E. Calles: il martire più noto fu il gesuita Miguel
Augustín Pro, fucilato il 23 novembre 1927, ma le persone
uccise furono circa 200. Negli anni Trenta, durante la guerra
civile spagnola furono ferocemente torturati e uccisi 13 vescovi,
circa 7.000 sacerdoti, religiosi e religiose e 3.000 laici, uomini
e donne, appartenenti allAzione Cattolica, da parte dei
comunisti, degli anarchici e degli anticlericali antifranchisti.
Ma il più grande numero di martiri del secolo XX si ebbe
nellUnione Sovietica e nei Paesi conquistati durante e
dopo la seconda guerra mondiale dallArmata Rossa: appena
N. Lenin ebbe consolidato il suo potere, egli, che si dichiarava
nemico personale di Dio, diede un ordine segreto
di sterminare la Chiesa russa, uccidendo il più grande
numero di uomini di Chiesa. Così nel 1922 furono martirizzati
2.691 popi, 1.692 monaci, 3.477 religiose e la maggior
parte dei vescovi fu uccisa, chiusa in carcere o inviata nei
campi di concentramento. La persecuzione continuò con
crescente ferocia sotto Stalin e anche sotto Krusciov. Dopo la
guerra fu la volta della Chiesa cattolica: le comunità
cattoliche uniate dellUcraina e di altri Paesi furono sterminate;
tutti i vescovi furono uccisi o inviati nei campi di concentramento.
Nei Paesi cattolici, entrati nellorbita sovietica, la persecuzione,
violentissima, fece un numero incalcolabile di martiri. Particolarmente
feroce fu la persecuzione comunista in Albania, che venne dichiarata
da E. Hoxha il primo Stato ateo del mondo. Al di fuori dellEuropa,
la Chiesa fu perseguitata in tutti i Paesi retti da regimi comunisti:
Vietnam del Nord, Laos, Cambogia, e soprattutto Cina.
Se il comunismo del secolo XX si è proposto la distruzione
della superstizione religiosa, il nazionalsocialismo
del III Reich ha preteso di imporre unideologia neopagana
e radicalmente anticristiana, fondata sulla superiorità
della razza ariana e sulleliminazione violenta delle razze
inferiori, in primo luogo la razza ebraica, unideologia
che nessun cristiano poteva accettare: di qui lodio nazista
per la Chiesa e per i cristiani sacerdoti, religiosi e
laici molti dei quali furono chiusi nei campi di concentramento
e alcuni di essi morirono per le torture e per le orribili condizioni
di vita dei Lager.
Nella seconda metà del secolo XX un numero considerevole
di cristiani ha trovato la morte sia nelle lotte politiche e
tribali in Africa, sia per la difesa dei diritti umani dei poveri
nei Paesi dellAmerica Latina, dominati da dittature autoritarie:
il nome più noto è quello di mons. Oscar A. Romero,
vescovo di San Salvador, assassinato il 24 marzo 1980 mentre
celebrava lEucaristia.
***
Quando dunque, si considera la storia della Chiesa dalla sua
nascita fino ad oggi, non si può non rilevare un fatto
unico nella storia delle religioni: il fatto del martirio, presente
in tutte le epoche della Chiesa, sia pure con diversa intensità.
Che significa questo fatto? Notiamo, anzitutto, che esso realizza
alcune parole dette da Gesù. Nel Vangelo secondo Matteo,
Gesù annuncia ai suoi discepoli che essi saranno consegnati
ai tribunali e condotti davanti ai governatori e ai re per
causa sua, per dare testimonianza: Sarete odiati
da tutti a causa del mio nome (Mt 10,22). E, nel Vangelo
secondo Giovanni, Gesù dice ai discepoli: Ricordatevi
della parola che vi ho detto: un servo non è più
grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno
anche voi. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome
(Gv 15,20-21). Il destino dei discepoli è dunque quello
di Gesù: la persecuzione.
La presenza del martirio nella vita della Chiesa significa allora
che, nonostante tutte le miserie e debolezze, la Chiesa è
la Chiesa di Gesù Cristo: il martirio è cioè
un argomento a favore della perennità storica della Chiesa.
Significa ancora che la Chiesa continua nella storia umana la
missione di Gesù, che non fu soltanto quella di annunciare
il regno di Dio e chiamare gli uomini alla conversione, ma anche
quella di soffrire e morire sulla croce per la salvezza del mondo.
In realtà i martiri hanno la coscienza di seguire Gesù,
di portare la croce come lui, di continuare la sua passione per
la salvezza degli uomini. Essi sentono che il martirio è
un privilegio, perché li mette in comunione intima con
il loro Signore crocifisso. Perciò negli Atti dei martiri
si legge spesso che la risposta che essi danno a chi li ha condannati
a morte è: Deo gratias (Atti proconsolari del martirio
di san Cipriano vescovo 3-6 [CSEL, 3, 112-114]). Anzi i martiri
hanno la convinzione che Cristo stesso soffra e trionfi in loro:
una convinzione che è sottolineata nelle relazioni del
Martirio di Policarpo (2,2) e nella Passione di Perpetua a Felicita
(18).
Rileviamo in secondo luogo che il martirio è una confessione
di fede, cioè una testimonianza resa a Gesù Cristo
non con le parole, ma con i fatti, soffrendo e morendo per causa
sua: questo significa che il martire intende affermare nella
maniera più seria e più convincente che Gesù
Cristo è il Figlio di Dio, che questa è la sua
fede e che per questa sua fede egli accetta le sofferenze più
atroci e le forme più orribili di morte. Ma questa confessione
di fede non è un fatto soltanto personale; egli infatti
affronta il martirio come cristiano, cioè
come membro della Chiesa, di cui egli vuole testimoniare la fede.
Perciò il martirio è sempre un fatto ecclesiale.
È tutta la Chiesa che nella persona del martire confessa
la sua fede in Gesù Cristo, nella maniera più concreta
possibile. Lo notava, dopo santAgostino (Enarr. in Ps.
118, 30, 5), B. Pascal, sottolineando il legame spirituale tra
i martiri e gli altri cristiani: Lesempio della morte
dei martiri ci commuove (nous touche), perché essi sono
nostri membri. Noi abbiamo un legame con loro; la loro risolutezza
può formare la nostra, non soltanto con lesempio,
ma perché forse essa ha meritato la nostra (Pensée,
ed. Brunschvicg, n. 481).
Infatti questa confessione di fede fatta dal martire deve anzitutto
essere di esempio e di incoraggiamento agli altri cristiani,
affinché affrontino con coraggio il buon combattimento
della fede (1 Tm 6,12), confermando la loro fedeltà
al Vangelo e superando le difficoltà che incontra il professarsi
cristiano e, soprattutto, il vivere da cristiano, sia nelle circostanze
normali della vita, sia nei momenti difficili che ogni vita cristiana seriamente
vissuta necessariamente comporta. Ecco perché Dio non
fa mai mancare alla Chiesa i martiri.
Ma il martirio deve anche porre un problema a quelli che non
sono cristiani. Dinanzi al fatto del numero incalcolabile dei
martiri cristiani, ma soprattutto dinanzi al modo in cui i martiri
affrontano le torture e la morte con coraggio, con gioia,
talvolta persino con umorismo (è il caso di Thomas More),
sempre perdonando coloro che sono stati causa della loro morte
e pregando per loro non ci si può non chiedere
da dove essi attingano tanta serenità e tanto coraggio.
Infatti i martiri cristiani non sono né eroi né
professano lataraxia stoica dinanzi alla morte, ma sono
deboli creature, talvolta assai giovani. Già Tertulliano
si poneva questo problema scrivendo: Chi dunque, dinanzi
allo spettacolo dato dai martiri, non si sente scosso e non cerca
ciò che è al fondo di questo mistero? Chi dunque
lha cercato senza unirsi a noi? (Apol. 50,15).
San Giustino confessa di essersi convertito al cristianesimo
vedendo il coraggio dei martiri: Vedendoli intrepidi di
fronte alla morte, io compresi che era impossibile che essi vivessero
nel vizio e nellamore dei piaceri (Apologia II, 12).
Del resto era quanto avveniva nei primi tempi del cristianesimo,
come notano Tertulliano e lautore della Lettera a Diogneto:
Plures efficimur quotiens metimur a vobis: semen est sanguis
christianorum (Diventiamo più numerosi ogni volta
che siamo falciati
[= trucidati] da voi: il sangue dei cristiani è un seme)
(Apol. 50, 13; Ad Diogn. 7,5-9).
Rileviamo un terzo luogo che per il martire la fede in Cristo
e lamore a Cristo sono i valori più alti e assoluti
della sua esistenza, tanto che per non rinnegarli egli è
pronto a morire. Non bisogna, infatti, dimenticare che il più
delle volte il martire è posto dinanzi allalternativa
di rinnegare la fede in Cristo e lamore a Cristo o di essere
torturato e ucciso. Negli Atti del martirio di san Giustino si
racconta che il prefetto Rustico pone Giustino e i suoi compagni
dinanzi allalternativa: sacrificare agli dèi o essere
torturati e decapitati. Giustino per primo rifiuta di sacrificare.
Altrettanto dissero tutti gli altri martiri: Fa quello
che vuoi; noi siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli.
La condanna è la decapitazione a norma di legge
(PG 6, 1366-1371).
Questa decisione dei martiri di morire piuttosto che rinnegare
la loro fede e il loro amore a Cristo è follia agli occhi
umani. Tale lo si è ricordato la considerava
un uomo di grande levatura morale, limperatore Marco Aurelio.
Ma può anche far riflettere sul valore della fede, tanto
grande che ad essa si sacrifica la vita. Scrive B. Pascal: Credo
soltanto alle storie i cui testimoni si farebbero sgozzare
(Pensées, ed. Brunschvicg, n. 593). In altre parole, se
per i cristiani la fede è un valore tanto grande che per
essa si è pronti a morire, ciò non può far
riflettere sulla possibile verità del cristianesimo. Non
si sacrifica la vita per unillusione o per una favola,
quando a sacrificarla non sono degli illusi e dei fanatici, ma
persone normali, ragionevoli, di alta levatura morale e spesso
anche di alta cultura e di sano giudizio.
Il 7 maggio 2000, Giovanni Paolo II, in una cerimonia ecumenica
al Colosseo (cf Civ. Catt. 2000 II 598-607), ha voluto che la
Chiesa non soltanto la Chiesa cattolica, ma anche le altre
Chiese e Comunioni cristiane ricordasse che il martirio
è una realtà che fa parte della natura della Chiesa
stessa e che il secolo XX è stato, più di altre
epoche, il secolo dei martiri. In tal modo egli ha
voluto dare un segno, sia ai cristiani, sia ai non
cristiani e ai non credenti, per invitarli a riflettere non soltanto
sulla tragica realtà del martirio per il secolo
XX sono stati fatti 12.692 nomi, di cui 2.351 di laici, 5.353
di sacerdoti e seminaristi, 4.872 di religiosi e religiose e
126 sono di vescovi ma sul significato che il martirio
ha per la vita dei cristiani e anche per coloro che non sono
cristiani, ma che tuttavia hanno il culto dei valori che rendono
la vita degna di essere vissuta e, se è necessario, donata.
In altre parole, il martirio non potrebbe essere una testimonianza
resa alla Verità, che nella storia umana continua quella
che Gesù rese di fronte a Pilato: Per questo io
sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla Verità.
Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce»
(Gv 18,37)?
La
Civiltà Cattolica
IMMAGINI:
1 Giovanni Paolo II nella annuale Via Crucis al Colosseo
2 Celebrazione
ecumenica al Colosseo (7 maggio 2000)
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2000-9
VISITA Nr.