LA LOGICA DEL PERDONO
Ogni pagina del Vangelo è segnata dal perdono. Questo orientamento è chiaro se si tiene presente che Cristo si è incarnato per riconciliare l’umanità intera con il Padre. Non ci può essere riconciliazione senza perdono.
Dio Creatore perdona le creature e, attraverso il Sacrificio redentivo del Figlio, accoglie ogni persona. La libera dal peccato e dalla morte. La fortifica con la Sua Grazia. La inserisce nella propria Vita.
Il perdono, quindi, nella logica divina non è un gesto meccanico, ritualistico. Mirato a confermare una simpatia o a rinnovare un’intesa amichevole.
Il perdono del Signore non è neanche un qualcosa di immobile. Di fisso a un dato momento. Non è legato a trattative. Non è un’armistizio. Non è voluto per umiliare la persona. Per annullarne l’identità creaturale.
Dio, insomma, non è né un Rambo che mostra i muscoli. Né un’entità misteriosa che gioca ad essere l’interlocutore più importante per il piacere di apparire.
Il perdono infatti è una dinamica della vita divina.

Linguaggio umano:balbettìo dell’anima

Nei secoli si è voluto in qualche modo “fissare” le caratteristiche del perdono divino e i conseguenti passi per ottenerlo.
Questo impegno umano è stato certamente dettato dall’esigenza di orientare i fedeli, sulla base di un magistero valido per tutti, così da evitare iniziative troppo soggettive, individualistiche, tendenti sovente a eccedere nel rigorismo penitenziale, o comunque non sempre dettate da una chiara comprensione del vero significato di perdono nella Chiesa.
In tale ambito si è dovuto necessariamente utilizzare un linguaggio umano che, per sua natura, non può esprimere in pienezza l’origine, la potenza e l’efficacia dell’iniziativa divina.
Davanti al Signore, infatti alla Sua gloria, l’uomo non può che balbettare. Malgrado ciò, per esigenze teologico-pastorali, si è cercato di esprimere la Verità adottando i termini culturali usati nelle università, e fatti propri dalle diverse correnti di pensiero.

La colpa e la pena

In particolare, utilizzando delle espressioni giuridiche (abituali nei processi penali) sono stati scelti i termini di colpa e di pena per indicare due realtà collegate al rapporto tra l’uomo e il suo Creatore.
Con il termine colpa si è voluto evidenziare la responsabilità dell’essere creaturale legata a possibili scelte di non comunione con Dio.
Con il termine pena si è cercato di esprimere le conseguenze derivanti da queste scelte.
Al riguardo, già il primo Libro della Bibbia (Genesi) presenta una dinamica di vita (Dio creatore e padre) e di non vita (l’essere umano per orgoglio vuole mettersi allo stesso livello di Dio e adotta come legge morale delle scelte soggettive legate al proprio modo di pensare).
È dalle scelte di non vita (= il peccato) che deriva una situazione di non comunione con Dio (in modo figurato ciò che è raccontato descrivendo ad esempio il tentativo di Adamo ed Eva di nascondersi alla vista del Signore).
Il testo biblico trasmette qui un insegnamento-base: ogni atto umano che incrina il rapporto con il Padre (egocentrismo, conflittualità, negazione dell’Assoluto, offesa alla vita dono di Dio, ecc.) ha degli effetti legati all’atto compiuto, non alla Volontà divina.
In tal senso la pena è costituita dalla sofferenza che condiziona l’uomo. E che rende pesante il suo procedere nel migrare del tempo.
Non è quindi il contenuto di una sentenza, ma è piuttosto una condizione spirituale di non-vita (nel peccato mortale questa non-vita è assoluta).

Il termine “lucrare”

Nel diritto commerciale il verbo lucrare significa guadagnare. Il lucro (cioè il guadagno) è collegato a una vendita e può essere più o meno vantaggioso per chi offre qualcosa sul mercato.
In ambito spirituale è stato utilizzato questo termine per esprimere l’ottenimento del perdono di Dio attraverso la Chiesa.
Lucrare un’indulgenza, quindi, rappresenta la possibilità concreta che ha ogni fedele di ricevere uno specifico perdono del Signore sulla base:
– di una Volontà divina (la salvezza è per tutti),
– di un mandato conferito a Pietro e ai suoi successori (possibilità di aprire e di chiudere le porte del Regno dei Cieli),
– di un dono permanente (la Grazia).

La terminologia evangelica

Nei Vangeli non si trovano defininizioni particolareggiate. Non sono infatti testi accademici. Si leggono piuttosto degli insegnamenti che assumono sovente la connotazione della parabola. Di un racconto, cioè.
È in questo contesto pedagogico che riemerge tutta la dinamica salvifica che nega:
– il fatalismo pessimista (= non c’è salvezza),
– l’auto-salvezza (= è l’essere creaturale che grazie ai suoi sforzi controlla e vince se stesso e il creato),
– il messianismo legato a logiche umane.
Gli evangelisti ricordano e specificano la realtà del peccato, ma non la pongono al centro. Né la disegnano come un orizzonte crepuscolare.
Collocano piuttosto al vertice di tutti i fatti narrati Cristo-Salvatore che con la Sua potenza divina accoglie. Perdona. Invia nel mondo.
E questa dinamica è raccomandata in vari modi.

Ricerca, ritorno, veste bianca, festa

Nel testo evangelico ciò che subito colpisce non è il soffermarsi sugli aspetti di uno specifico peccato (insomma, non c’è il gusto della cronaca nera, del torbido), ma è la posizione di ricerca di Gesù.
Il Signore cammina per le strade. Entra nelle case. Si ferma a mangiare. Accetta colloqui di notte. Parla con i samaritani. Con l’esattore delle imposte. Con il centurione. Con il cieco nato. Con l’adultera...Questo avviene perché Lui si muove. Va incontro. Cancella ogni regola protocollare. Ogni ritualismo imposto dalle usanze. Ogni “distanza”. Ogni barriera culturale...
L’iniziativa divina facilita il ritorno.
Nella parabola del figliol prodigo la memoria della Casa del Padre è un qualcosa di essenziale nella decisione di lasciare gli ambienti della lontananza.
A ben vedere, è proprio la distanza che rende più vicina e bruciante l’immagine e l’esperienza di comunione familiare. Il lontano quindi non è necessariamente una persona perduta nell’oblio. Egli è vicino. È accanto. Ma è separato dal Genitore da una scelta di non-vita. Che causa sofferenza.
In tal senso il tornare sui propri passi non è tanto segnato da un lungo cammino (che può forse piacere al gusto romantico di qualcuno), quanto da un dar voce al cuore. Che reclama l’unità con il Padre. Nell’amore. Si colloca qui l’immagine della veste bianca.
Il segno del ritorno è un abbraccio (= perdono). Il segno della vita comunionale (= banchetto) è una veste bianca. Abito quindi senza macchia (= senza peccato).
La veste bianca, posta in particolare luce nella parabola del banchetto di nozze, diventa – a ben vedere – un qualcosa di essenziale.
Senza questa veste la persona è allontanata dalla festa(= non comunione).

Alcune considerazioni

Come si vede, il Vangelo è chiaro nel messaggio, ma usa uno stile narrativo che gradualmente si scosta da quello dei Libri dell’Antico Testamento.
La colpa della singola persona non è taciuta (= si pensi alla posizione iniziale del figliol prodigo). Ma è osservata secondo una logica di misericordia.
Così anche la pena non è messa da parte (= il dolore innerva il vissuto del figlio che ha voltato le spalle al Padre). Ma rappresenta comunque un possibile elemento di purificazione.
Una sofferenza, infatti, inviata “dall’alto”, esprimerebbe una volontà divina decisa a far soffrire le creature. Per distruggerle. Annullando l’identità.
Ma un dolore che deriva da una libera scelta personale è un qualcosa che si può ricondurre solo alla responsabilità soggettiva. E che può – comunque – essere anche strada di riflessione e di nuove scelte esistenziali (= itinerario di conversione).

Il perdono attraverso l’indulgenza

Le note precedenti sono servite a chiarire alcuni punti in modo da facilitare la comprensione del senso dell’indulgenza. Questa non nasce da un calcolo umano fatto a tavolino. Esprime piuttosto quella logica divina di perdono che attraversa l’intera storia della salvezza.
In particolare, il grande evento della Passione-Morte-Risurrezione di Cristo non è un qualcosa che ha effetti sul vissuto di poche persone, all’interno di una terra privilegiata. Ma è una manifestazione concreta di Misericordia che investe tutta l’umanità (di ieri, di oggi, di domani). E tutto il creato.
In questa Vita divina che distrugge peccato e morte, che rende figli di Dio, che annulla le barriere del tempo e dello spazio, la Chiesa diventa canale di grazia.
La fonte è unica (sgorga grazie ai meriti di Cristo, ai quali si aggiungono in subordine quelli della Madonna e dei Santi).
L’acqua (Grazia) che deriva da questa fonte è unica.
Ma i canali che possono essere costruiti per dissetare spiritualmente l’umanità in esodo possono essere diversi.
La Chiesa nei secoli ha preso quest’acqua (di cui aveva parlato Cristo alla Samaritana).
L’ha offerta ai fedeli (= è diventata in tal modo ministra di Misericordia).
Lo ha fatto assolvendo i fedeli dai peccati attraverso il sacramento della Riconciliazione.
Celebrando l’Eucarestia. Così da non privare nessuno del Pane di Vita.
Donando la Grazia divina anche con gli altri Sacramenti.
Favorendo tutte quelle iniziative pastorali mirate a consentire l’incontro diretto tra Dio Padre e i Suoi figli sparsi nel mondo.
L’acqua offerta da Cristo attraverso la Chiesa è una realtà quotidiana segnata dalla carità.
Se la fonte del perdono infatti è Dio-Amore, ogni manifestazione della Sua Misericordia riconduce a questa sorgente e genera un vissuto di carità nella Chiesa e nella società.
Non è possibile, quindi, scindere l’aspetto del perdono di Dio dalla vita di carità di ogni cristiano.
In tale ambito il dono dell’accoglienza nel Cuore di Dio assume due significati di vita:
– è dono di abbraccio (avviene il perdono della colpa personale);
– è dono di una veste bianca. Che implica un togliersi l’abito del peccato (avviene il perdono della pena). La persona – in pratica – è resa immacolata senza necessità di fasi di purificazione (in terra o in Purgatorio).

Vivere l’indulgenza

Quella del Giubileo è un’indulgenza plenaria.
Il fedele, cioè, riceve un perdono che implica l’abbraccio festoso del Padre e l’immediata acquisizione della veste bianca (nell’indulgenza parziale, invece, pur ottenendo il perdono, il cristiano deve in parte percorrere ancora delle fasi di purificazione per arrivare ad essere in totale unità con Dio-Vita).
Ma tutto questo, proprio perché è un grande evento spirituale, ha bisogno di una preparazione (sacramento della Riconciliazione e partecipazione viva alla celebrazione dell’Eucaristia).
Esige una particolare sintonia d’amore con colui che rappresenta Gesù e che guida la Chiesa dal secondo al terzo millennio (preghiera secondo le intenzioni del Papa).
Necessita di un vivere da risorti nell’unico modo possibile: con le opere di Carità (sono i fiori dell’anima).
E con la scelta di restare semplici pellegrini dietro l’unico Maestro.
Offrendo e accettando.
Donando e ringraziando.
Eliminando il superfluo. Il non essenziale.
Accogliendo in cuore la lezione evangelica del seme che muore per poter dar frutto (cammino penitenziale).
                                                                         
   Pier Luigi Guiducci


IMMAGINI: 1-2 Scene di Opere di Misericordia
                    3 GUERCINO: L'abbraccio del Padre al figlio prodigo
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2000-3
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