MA NON CAPITE ANCORA? Forse qualche volta ci càpita
di pensare che se fossimo stati al seguito di Gesù, se
avesssimo potuto vedere coi nostri occhi qualche miracolo, avremmo
più facilità a credere. Forse invidiamo Pietro,
Giacomo, Andrea e gli altri apostoli, perché ebbero la
grande fortuna di essere stati chiamati direttamente da Gesù
e sospettiamo, in cuor nostro, che queste circostanze li abbiano
favoriti nel cammino della santità (a parte Giuda, si
capisce).
Ebbene, il Vangelo di Marco non ci incoraggia certo in questa
prospettiva: tra i Vangeli, è quello che ci dà
forse la rappresentazione più concreta e disincantata
delle difficoltà e delle debolezze dei discepoli di Gesù,
tanto che non facciamo fatica a riconoscere in loro le nostre
stesse difficoltà e debolezze. Dal suo racconto emerge
con evidenza linadeguatezza di quei primi seguaci rispetto
al compito dato loro dal Maestro e rispetto alla grande fiducia
che ripone in loro.
Gesù, in Marco, non vuole fare nulla senza essere circondato
da discepoli e stabilisce con loro un legame molto forte e profondo.
Sùbito, allinizio della sua missione, ne chiama
a sé un gruppetto, che poi porta sempre con lui: li fa
assistere a tutti i suoi miracoli, a loro confida i suoi insegnamenti
più segreti e riserva spiegazioni speciali. Anche nel
momento per lui più drammatico, quello della preghiera
nel Getsemani che precede larresto, si porta dietro i prediletti
e vorrebbe che vegliassero con lui. Se ne distacca volontariamente
solo per mandarli in missione, a continuare il suo annuncio;
appena sono tornati, li invita a riposarsi con lui in disparte
dalla folla. Quando costituisce ufficialmente il gruppo dei Dodici,
ne indica appunto come scopo: perché stessero con
lui e per mandarli a predicare e ad esercitare il potere di scacciare
i demoni (3,14-15).
Da parte sua, Gesù non viene mai meno allimpegno
di comunanza coi discepoli. Sono i discepoli che non riescono
il più delle volte a capire il comportamento e le parole
di Gesù e, al momento decisivo, lo abbandonano pure. È
tipico di Marco evidenziare, quasi ad ogni pagina, lincomprensione
da parte dei discepoli nei riguardi di Gesù: benché
siano sempre con lui, non capiscono chi sia veramente; benché
siano i primi ascoltatori di tutte le sue parole, non ne colgono
il senso. Talora la loro ostinata incredulità e ottusità
ottiene effetti umoristici, mentre risalta, per contrasto, lenorme
pazienza e disponibilità del Maestro.
Durante la tempesta sul lago, pur avendo con loro Gesù
sulla barca, un Gesù che hanno già visto più
volte compiere esorcismi e guarigioni prodigiose,
si lasciano travolgere dal panico e, poiché Gesù
continua a dormire, arrivano al punto di dubitare che egli voglia
e possa intervenire: Non ti importa nulla che moriamo?,
gridano (4,38). Durante una seconda traversata ostacolata dal
vento, quando vedono Gesù camminare verso di loro sullacqua,
lo credono un fantasma e, anche dopo che si è fatto riconoscere,
restano sbigottiti (6,49-50). Il colmo sembrano raggiungerlo
quando, dopo due moltiplicazioni di pani (5 pani per 5.000 persone,
7 pani per 4.000 persone), saliti nuovamente in barca con Gesù,
si mettono a discutere tra loro per il fatto che hanno preso
un solo pane, perché, dicono, non hanno pane,
provocando un amaro e accorato rimprovero da parte di Gesù:
Ma non capite? ... non capite ancora? (8,14-21).
Anche dopo che Pietro ha riconosciuto che Gesù è
il Messia, rimane ostico e inaccettabile per lui e per gli altri
discepoli il destino di sofferenza e morte che, come Gesù
annuncia ripetutamente, è legato al compito del Messia.
La loro insensibilità e il loro rifiuto dellidea
della passione emergono dopo la terza predizione, in cui Gesù
si sofferma particolarmente a descrivere gli aspetti penosi e
infamanti di essa: subito dopo, infatti, come se nulla fosse,
due di loro, Giacomo e Giovanni, avanzano la pretesa di avere
posti di favore nella gloria futura del Messia; e non sono solo
ottusi, sono anche presuntuosi: si dichiarano certi di poter
condividere il calice di Gesù (10,39). Gli
altri dieci si mostrano sdegnati nei confronti dei compagni in
tale occasione, ma più tardi si vedrà che la loro
presunzione non è da meno. Durante lultima cena,
non solo Pietro, tutti quanti assicurano, e con insistenza, che
non arretreranno di fronte alla passione, che non rinnegheranno
il Maestro (14,29.31). Ma fuggiranno poi sùbito, al momento
dellarresto (14,50); Pietro lo rinnegherà tre volte
(14,66-72). Anche le donne, che pure lo avevano seguito fin dallinizio
della missione in Galilea, rimarranno a distanza durante la passione
(15,40-41), per poi fuggire spaventate davanti alla tomba vuota
(16,8).
Non cè dubbio: i discepoli di Gesù erano
uomini e donne come noi e Gesù ha avuto modo di rendersi
pienamente conto di tutta la loro fragilità. Ma questo
non lo ha disamorato né scoraggiato. Anche alla fine,
le sue ultime parole sono state una promessa di continuare insieme
il cammino, anzi di ricominciarlo sempre da capo (14,27-28) e
queste parole, ripetute dallangelo dopo la risurrezione,
costituiscono lestremo messaggio che risuona nella tomba
e che deve essere comunicato ai discepoli, a quelli di allora
e a quelli di oggi. Proprio ricominciando a camminare dietro
a Gesù è possibile realizzare la Parola: là
lo vedrete, come vi ha detto (16,7). La migliore garanzia
che questo è possibile, secondo Marco, è che tutto
è in realtà affidato, non alle deboli forze umane,
ma alla volontà e allamore indefettibili di Gesù,
il Figlio di Dio.
Prof. Clementina
Mazzucco IMMAGINE:
TIEPOLO G., Cristo placa la tempesta - RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2000-8 VISITA Nr.
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