GESU' E IL DENARO
Un po’ strano questo titolo, perché nei Vangeli solo  una volta si mette letteralmente Gesù in relazione con il denaro ed è quando gli esattori delle tasse chiedono a Pietro se Gesù paga la tassa al tempio. Si vede che Gesù non ce l’aveva, perché dice a Pietro di andare a gettare l’amo nel mare e di aprire la bocca al primo pesce che prenderà: lì vi troverà uno “statere”, cioè una moneta d’argento, che servirà a pagare la tassa per lui e per Pietro. È chiaro che Gesù non aveva denaro in tasca (vedi Mt 17,24-27). L’episodio comunque dice assai poco sulla relazione Gesù-denaro; dice solo che Gesù non voleva apparire come uno che non ubbidiva alle leggi del suo popolo.
A prima vista sembra proprio che manchino i dati per il nostro argomento. Essi però si fanno abbondanti se partiamo da due fatti: 1° che Gesù vive quanto insegna1; 2° che il denaro è un “bene materiale” e quindi che c’entra se parliamo di Gesù in relazione ai beni materiali o alle ricchezze. Ebbene, fondandoci su questi due dati, chiediamoci:

Come si rivela Gesù in relazione alla ricchezza?

Innanzitutto dobbiamo dire che Gesù non era un asceta: non si cibava di locuste e miele selvatico, come Giovanni Battista; e neppure portava come lui un vestito fatto con “peli di cammello” (Mt 3,4): sul Calvario vediamo che gli tolgono una “tunica inconsutile”. Ciò significa che si vestiva abbastanza bene e non come un poveraccio. Negli articoli precedenti, poi, abbiamo annotato varie volte che i “poveri” contavano nella sua missione e che egli li voleva liberare dalla loro situazione, perché la povertà anche per lui era un “male”. Se poi a un ricco che cerca il bene dice di “vendere tutto e di darlo ai poveri” (Lc 18,22), questo imperativo non vale per tutti: a Zaccheo infatti non dice di fare altrettanto, anche se Zaccheo per sentirsi in sintonia con Gesù, capisce che deve prendere le distanze dalle ricchezze e che deve darne almeno la metà ai poveri (Lc 19,1-10). La ricchezza perciò anche per Gesù è un “bene”, e lo è per un semplice motivo: serve a fare il bene, ad aiutare altri. E se Gesù insegna a vivere distaccati dalle ricchezze, non significa che egli rifiuti la ricchezza. Stando ai vangeli gli insegnamenti di Gesù riguardano solo l’uso delle ricchezze: egli esige di non farne un bene assoluto, di non considerare la ricchezza un “idolo”.
Ciò appare chiaramente da quanto si racconta in Lc 12,13-15: “Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»” (v. 13). Qui siamo di fronte a un caso di lite familiare, di divisione dei beni; Gesù gli dice che non è affare suo (v. 14), però non lascia i due fratelli senza risposta, perché aggiunge: “State attenti e guardatevi da ogni cupidigia; non perché qualcuno è nell’abbondanza, la sua vita dipende dai suoi beni” (v. 15). È chiaro che per Gesù i beni materiali non hanno un valore assoluto: la vita non dipende da essi. C’è quindi un valore assai più alto della vita e questo valore è l’essere ed è la libertà.
“La vita non dipende dai propri beni”. Gesù vive a fondo questo principio. Egli ha scelto di essere “servo” e di “evangelizzare”. Questo suo compito esige da lui un distacco totale dai beni materiali. Nelle tentazioni ha risposto al diavolo: “Non di solo pane vive l’uomo”. Non nega la necessità del pane (guai se manca!) ma insegna che c’è un valore assai più grande del pane: “vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Quando poi il demonio gli fa vedere tutti i regni di questo mondo con la loro potenza e magnificenza e gli dice “sono stati dati a me” (cioè sono io che li possiedo e posso darli a chi voglio), comprendiamo che in questa cultura satanica (ed è quella ancora oggi corrente) il valore dell’essere è messo in rapporto a quanto si possiede: è l’avere, è il potere sulla natura e sull’uomo che ci permette di realizzarci.
Ebbene, Gesù è l’antitesi di Satana: alla bramosia dei beni materiali e del potere sulla natura e sull’uomo, Gesù sceglie come valore supremo “l’essere”. Gesù compie questa scelta nel deserto, dove non ci sono comodità né ricchezze, ma solo le cose strettamente necessarie alla sopravvivenza.
Di qui la sua scelta a una vita povera, itinerante e senza sicurezze, tanto da definirsi come “uno che non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).
Egli vive per primo e in pienezza quanto insegnerà: “... che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Lc 9,25). Il suo distacco dalle ricchezze è totale, radicale. Egli “cerca innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” e “liberamente” sceglie una vita che gli permette di appartenere totalmente alla sua missione e di testimoniare tutta la sua fiducia nel Padre. Egli guarda gli uccelli del cielo e i gigli del campo: sa di valere più di loro, per questo “cerca prima il regno e la sua giustizia”, sicuro che il Padre non gli lascerà mancare il necessario; si affiderà in continuità al Padre; egli non porta con sé né borsa né bisaccia e si accontenta di quello che gli danno (vedi Lc 10,3.8). Accanto a lui, uniti alla sua missione, ci sono sempre persone (discepoli e discepole) che lo seguono e che lo assistono con i loro beni (8,3). E quando spezza il pane rende grazie, riconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino.

Gesù sa, che solo nel vivere distaccato da ogni bene materiale, può godere di quella libertà che gli permette di vivere in pienezza la sua missione: “annunciare il regno di Dio” (Lc 4,43); essere con gli altri e per gli altri, cioè “servo”.

Gesù-discepoli

Nell’immagine di Gesù che abbiamo appena delineato, acquista grande valore il suo insegnamento sull’uso delle ricchezze, un tema che soprattutto in Lc 12,16-34 viene notevolmente sviluppato. Gesù scende nella concretezza della nostra vita quotidiana e ci presenta, con una parabola (vv. 16-21) quanto c’è di negativo nel mettere la propria fiducia nelle ricchezze e poi che cosa si deve fare per farne un uso corretto in modo che la nostra vita non perda senso e si realizzi in tutta la sua pienezza (vv. 22-34).
L’ultima frase della parabola: “Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita e quello che hai preparato di chi sarà?». Così è la fine di chi accumula tesori per sé e non davanti a Dio”, fa capire come quell’uomo ha rovinato se stesso e si è perso, invece di realizzarsi. E il “come” lo comprendiamo ancor meglio se osserviamo attentamente la piccola parabola. È impressionante sentire come nel racconto predomina unicamente l’“IO”: “che farò io?..., io non ho..., i miei raccolti..., io farò...; io demolirò..., io raccoglierò..., il mio grano, i miei beni..., io dirò: anima mia”. Com’è triste l’immagine di quest’uomo: è tutto ripiegato su se stesso, parla solo di sé, pensa solo a sé, non si preoccupa più di accumulare altri beni, ce n’ha fin troppi, pensa solo a conservarli per sé e a darsi alla dolce vita. L’ultima espressione riassume assai bene i tre verbi: “mangia, bevi, datti alla gioia”. Nella Bibbia il trinomio ha una connotazione di piacere e di gioia, una ricerca di lusso che sfiora l’eccesso, cioè la dissolutezza; evoca gioie lussuose, come quelle con cui si sazia ogni giorno il ricco epulone (Lc 16,19): è un approfittare sino in fondo e tranquillamente dei piaceri che può offrire una vita di abbondanza.
“Io..., io... io” e solo “io”. Ma l’io non si esprime forse nel rapporto con l’altro, con gli altri? Non ci realizziamo forse come persone nella misura in cui assumiamo le nostre responsabilità di fronte alla vita e agli altri? Gesù non ha mai pensato a sé; egli ha realizzato la sua vita umana in relazione agli altri, donandosi a tutti, amici e nemici, fino all’effusione del sangue e per questo ha salvato la propria vita e, come uomo, si è perfettamente realizzato. Ed è così che egli vuole i suoi discepoli. Parlando loro del retto uso delle ricchezze dice: “Non affannatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo di come vi vestirete.
La vita vale più del cibo, il corpo più del vestito. Guardate gli uccelli del cielo..., i gigli del campo. Voi valete assai più di loro”. Volete mettere al sicuro la vostra vita? “Cercate prima il regno di Dio” (Lc 11,-22-31). Mt 6,33 aggiunge: “... e la sua giustizia”.
“Non affannatevi”: ci urtano queste parole. Come fa la maggioranza della gente del mondo, priva del necessario a non affannarsi? Gesù sa che un affamato non può non essere nell’affanno, nell’angoscia e non guardare con spavento il domani. A Gesù non piace un mondo così, lo vuole cambiare; egli ci insegna a cambiare il mondo, ad andare contro corrente, a non ripiegarci su noi stessi, sul nostro egoismo, e ci insegna come fare; ci dice di non fare come il ricco stolto della parabola: a nulla gli è valso mettere la sua fiducia nelle ricchezze. E poi ci insegna ad “arricchirci davanti a Dio” (Lc 12, 21), e questo lo si ottiene se cerchiamo innanzitutto il regno di Dio. Gesù ha messo al primo posto l’annuncio del Regno di Dio (Lc 4,43) e vuole che i suoi discepoli facciano lo stesso (Lc 9,60).
Ma che cos’è il “regno di Dio”? Non è Dio in se stesso, ma Dio in relazione con l’uomo; la “sua giustizia” indica il comportamento di Dio verso ogni uomo. Chi entra in sintonia con Dio e, come Dio, si relaziona con gli altri, crea lo spazio per il buon vivere dell’uomo e per il retto uso dei beni; salva lo spazio della vita di ogni uomo, della vita mondana in tutte le sue relazioni e le sue potenzialità, compreso il godimento delle stesse cose. Il testo dice: “cercate il regno”. Traduciamo meglio l’imperativo presente: “Continuate a cercare...”. È un impegno che si esprime in un continuo desiderio, slancio, passione, tensione, iniziativa, progettazione, e che deve durare tutta la vita. Il regno lo si costruisce a poco a poco. E nel regno non c’è solo l’io, ma c’è soprattutto il noi e la comunità. Il regno è comunione tra Dio e noi. Di qui l’impegno nell’uso dei beni che si fa condivisione e sicurezza di vita, un insegnamento che Gesù esprime con un linguaggio immaginoso: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignuola non consuma” (12,33). Ecco come si diventa ricchi davanti a Dio, ecco come si accumulano tesori in cielo. Vivendo l’uso dei beni tenendo conto degli altri nella propria vita.
“Tenere conto degli altri”: chi legge il vangelo di Luca è in continuità messo di fronte agli altri. Se gli altri non contano nella mia vita, non sono un vero discepolo.
“Date in elemosina”: come si è svilita nel suo uso questa frase; e peggio ancora nell’arte, che a volte rappresenta un ricco che lascia cadere alcune monetine nella mano di un povero. È umiliante una simile immagine e contraria alla Parola di Dio. Nella lingua di Gesù non si diceva “date in elemosina”, ma si usava l’espressione (traduco letteralmente): “fate giustizia”. Il senso è assai profondo, e me lo ha spiegato un ragazzo ebreo. Mi disse: “Se io do qualcosa a uno che ha meno di me, c’è più giustizia nel mondo”. E Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica dice: “È l’ora di una nuova «fantasia nella carità», che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi, prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito «non come obolo umiliante», ma «come fraterna condivisione»”.
L’interesse di Gesù per i poveri non è mai un gesto isolato e clamoroso che per lo più è accettato da tutti perché non intacca il sistema né il comune modo di pensare. La scelta di Gesù non è una scelta sociologica o politica: è una scelta teologica, una scelta di uguaglianza. Dio non ha creato uomini superiori o inferiori, con più o meno diritti. Gesù vede nella sua scelta non una discriminazione ma una via di comunione. Dice il Papa: “Dobbiamo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, «a casa loro». Questo stile è la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno”.2


Pregando il testo

Signore Gesù, è da duemila anni che ci hai insegnato il distacco dalle ricchezze per essere veri testimoni tuoi e veri evangelizzatori. Come siamo lontani, o Gesù, dal tuo Vangelo! Certo c’è sempre stato qualcuno che lo ha vissuto radicalmente, ma la comunità cristiana in se stessa non l’ha fatto, se non con gesti isolati. In questo mondo in cui tra ricchi e poveri c’è un immenso baratro, dona ai tuoi discepoli di avere il coraggio di andare contro corrente, e di costruire un’economia fondata sulla solidarietà e non sul profitto. Fa’ che i tuoi discepoli nelle singole comunità cristiane siano un cuore solo e un’anima sola e ognuno usi le ricchezze tenendo conto degli altri, dei poveri, in modo che questi si sentano di casa nella tua Chiesa, allo stesso livello degli altri e mai emarginati. Donaci il coraggio di sentirci tutti fratelli e sorelle. Amen!
                                                                              Mario Galizzi


1 Vedi il suo comportamento in tutti gli articoli da Gennaio in poi.
2 Vedi: Lettera Apostolica: Novo Millennio Ineunte, n. 50.
IMMAGINI: 1 Caravaggio: Vocazione di Matteo, Chiesa di San Luigi dei Francesi / 2  Masaccio : Il pagamento del tributo, Cappella Brancacci, chiesa del Carmine, Firenze

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-10
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