GESU' IN CAMMINO verso Gerusalemme
La vita terrena di Gesù è un continuo andare. Gesù nel Vangelo secondo Luca è sempre in cammino. Ma anche la vita cristiana, essendo essenzialmente imitazione di Gesù, è una “via”, un “cammino” (At 9,2; 19,9; ecc.). Il cristiano, il discepolo di Gesù, infatti, è uno che cammina nel mondo portando come Gesù l’annuncio della salvezza; e dev’essere “suo testimone sino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Ora, chi decide di mettersi su questo cammino o accoglie l’invito di Gesù a farlo può essere definito come “colui che segue il Signore”. Ebbene, la pagina di Vangelo che abbiamo scelto ci invita a riflettere sul “cammino di Gesù” e sul “nostro cammino”, cioè sul nostro modo di seguire Gesù. Ma, come sempre, chiediamoci innanzitutto:

Come si rivela Gesù?

Il testo scelto inizia così: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di dirigersi verso Gerusalemme”. Ora, come nasce questa sua decisione? Essa nasce dal primo annuncio di passione e risurrezione (9,22), dominato da un “deve”,1 discusso nella preghiera con il Padre sul monte della Trasfigurazione e nel confronto con quanto Mosè e i profeti (rappresentati da Elia) hanno detto di lui (9,28-36). In quel colloquio, la passione, morte e risurrezione viene descritta come un “esodo”, come un passaggio da questo mondo al Padre, mentre ora è vista nella sua conclusione come un “essere elevato in alto”, un passivo che indica l’agire del Padre che glorifica il Figlio.
In questa luce il “deve”, che guida sin dall’infanzia (2,49) l’intera vita di Gesù, non è visto come nell’uso tipico dell’antica lingua greca come un fatale destino, una necessità divina a cui non si può sfuggire, perché determina tutto l’agire umano; esso è invece visto come notificazione del volere di Dio che raggiunge l’uomo indirizzandolo a quel fine che corrisponde alla sua intenzione salvifica. Nel parlare biblico l’uomo non è mai costretto a fare, ma è invitato ad accogliere in piena libertà se ubbidire o no al volere divino. Ebbene Gesù decide di ubbidire, di far suo l’agire del Padre per portare agli uomini la salvezza, una salvezza che, dato il rifiuto umano, passa attraverso la sofferenza della morte per giungere alla sua glorificazione. Gesù ha già dimostrato questa sua decisa volontà: quando la gente di Cafarnao, presa dall’entusiasmo, voleva trattenerlo, egli rispose: “Anche alle altre città «io devo» annunziare il regno di Dio. Per questo sono stato mandato” (4,43). Ora, appare oltremodo deciso (9,51). Se volessimo rendere bene l’immagine soggiacente all’espressione: “prese la ferma decisione di dirigersi verso Gerusalemme”, dovremmo tradurre: “fece il viso duro in direzione di Gerusalemme”. È a Gerusalemme che deve compiersi il suo cammino, la sua missione salvifica. Ed è questo desiderio di salvezza che spiega il suo atteggiamento.
Quando i samaritani non vollero accoglierlo perché era diretto verso Gerusalemme, Gesù, che sempre cerca la salvezza di tutti, non vuole che i suoi discepoli facciano scendere sui samaritani un fuoco dal cielo e se ne va, allungando un po’ la strada, ripercorrendo (forse) la parte sud della Galilea, nel territorio di Erode Antipa. Qui alcuni farisei gli dicono: “Vattene via di qui, perché Erode cerca di ucciderti” (13,31). Gesù sa che Erode è pericoloso; lo chiama “volpone” (13,32), ma sa anche che i farisei sono “ipocriti” (13,15) e forse che sono loro quelli che vogliono che se ne vada a Gerusalemme dove riusciranno meglio a tendergli “insidie” (vedi 11,53-54). Gesù li assicura che andrà e rivela loro che sa quello che gli capiterà: “Oggi, domani e il giorno seguente «io devo» andare per la mia strada perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (13,33).
Gesù cammina cosciente della via che deve compiere perché si realizzi il progetto divino annunziato dai profeti (18,31-32) e perciò sa che la sua fine sarà ignominiosa: “«deve» compiersi in me questa parola della Scrittura: «e fu annoverato tra i malfattori»” (13,37; vedi Is 53,12). Però mentre è in cammino deve continuare a portare la salvezza. A Zaccheo, che è lì su una pianta, dice: “Scendi in fretta, perché oggi «devo» fermarmi a casa tua”; e quando si accomiata da lui dice: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa... Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (19,1-10).
Le ultime parole sono una chiave di lettura dell’intero suo andare, un cammino che egli compie con i suoi discepoli, i quali debbono in continuità confrontarsi con lui.

Gesù e i discepoli

Anche per noi discepoli c’è un “deve” che domina la nostra vita cristiana ed è un “deve” che non è una cieca fede nel destino, ma un “deve” che è manifestazione assolutamente perfetta della volontà salvifica di Dio. Esso apre gli occhi dell’uomo facendogli prendere coscienza della disgrazia in cui si trova e lo invita a prestar fede alla salvezza che gli viene offerta in Cristo Gesù (At 4,12; 16,30). Paolo lo ha sperimentato in modo particolare. Sulla via di Damasco, stramazzato a terra da una luce venuta dal cielo, si sente dire da Gesù: “... entra in città e ti sarà detto ciò che «devi» fare”; e ad Anania, un suo discepolo che viveva a Damasco, il Signore gli comanda di andare da Paolo e gli rivela: “Egli è lo strumento che io ho scelto per me affinché porti il mio nome davanti alle nazioni, ai re e ai figli di Israele e io gli mostrerò quanto «dovrà» soffrire per il mio nome” (At 9,6.15-16). Come l’andare di Gesù è guidato da un “deve” che implica sofferenza e morte, così lo è pure l’andare di Paolo (vedi pure At 23,11; 27,24), e anche quello di ogni suo discepolo. Ogni discepolo, infatti, sa che se vuole seguire Gesù deve prendere ogni giorno su di sé la propria croce e deve pure essere disposto a perdere la propria vita (Lc 9,23-24), perché “... è necessario (o: «deve, bisogna») passare attraverso molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22). La vita cristiana è imitazione di Gesù, è un assumere su di sé lo stesso suo destino.
Ebbene, la pagina del Vangelo scelta ci porta a confrontare il nostro modo di camminare con quello di Gesù. Giacomo e Giovanni volevano far scendere, con il permesso di Gesù, un fuoco dal cielo sui samaritani. Si sentivano offesi del loro rifiuto. E Gesù, che vuole la salvezza di tutti, anche di chi lo rifiuta, rimprovera i suoi discepoli e se ne va altrove (9,55-56) e insegna ai suoi discepoli a fare lo stesso quando durante una missione saranno rifiutati (10,10-11).
Ma ascoltiamo quanto segue (leggi 9,57-62): qui Gesù vaglia la vocazione di alcuni discepoli. A un tale che, colmo di entusiasmo, gli dice: “Signore, ti seguirò dovunque tu vada” (9,57), Gesù non gli dice subito: “Vieni, seguimi!”. Come vero educatore lo aiuta a vagliare la situazione; egli non vuole che uno si decida in un momento di entusiasmo, ma solo dopo aver riflettuto su ciò che significa seguirlo. Per questo lo aiuta a ponderare bene la sua scelta. Seguirlo, essere suo discepolo, significa immedesimarsi nel suo destino, vivere la missione come lui che “non ha un posto dove posare il capo; gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana; lui no!”. Egli deve sempre andare, essere sempre in situazione di servizio e perciò sentirsi libero, distaccato dai beni di questo mondo. E questo suo atteggiamento si fa subito imperativo per gli inviati: “... non portate borsa, né sacca, né sandali” (10,4).
La scelta di essere suo discepolo viene precisata meglio (9,59-60) quando è Gesù che chiama dicendo: “Seguimi!”. E noi ben sappiamo dove porta il suo cammino. In questo caso è il chiamato che valuta la situazione: se segue Gesù deve distaccarsi dai suoi; forse è meglio ritardare la sequela e rimanere con i propri cari finché vivono. Comunque chiede il permesso a Gesù per fare ciò: “Permettimi...”. Ciò significa che in lui c’è il desiderio di essere discepolo. Gesù non rifiuta l’assistenza ai genitori (vedi Mt 15,4-6), si limita a dire qual è il valore massimo per un discepolo. Che cosa il discepolo deve mettere al primo posto: “Tu va’ e annuncia il regno di Dio” (9,59-60). L’evangelizzazione, la testimonianza dev’essere messa sempre al primo posto; sempre..., anche quando si è rifiutati; anche a chi ci caccia via; noi continuiamo a dire: “... sappiate però che il regno di Dio è vicino” (Lc 10,11). È quello che Gesù ha sempre fatto e continuerà a fare sino alla fine.
Ma ecco un terzo caso. Uno gli dice: “Ti seguirò, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa mia” (9,61). Gesù, che ha partecipato al congedo di Levi dai suoi amici (5,27-32), non proibisce di congedarsi dai propri cari, solo si limita a dire all’interessato che la sequela è a tempo pieno: “Chi ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro non è adatto per il regno di Dio” (9,62). Da ciò è chiaro che la vita del discepolo, la vita alla sequela di Gesù, cioè la vita cristiana è un vincolo indissolubile, ha in sé il carattere della definitività che alla fine dell’esistenza terrena si tramuterà in vita eterna, in comunione perenne con Dio-Padre, Dio-Figlio, Dio-Spirito Santo, e con tutti coloro che ci hanno preceduti nella casa del Padre.

Pregando il testo

Signore Gesù, dopo il confronto che mi hai fatto fare con te, mi sembra di vederti in una luce nuova; ma se abbasso lo sguardo su di me per osservarmi nella tua luce non so che cosa dirti. So solo che, fissando lo sguardo su di te, posso imparare giorno dopo giorno ad essere sempre più deciso nell’imitazione di te. Tu mi insegni che si può camminare decisi nella propria missione di salvezza, quella che tu ci hai affidato e affidi a ogni tuo discepolo, solo quando la decisione nasce da un vero colloquio con il Padre. E allora ti osservo di nuovo là sul monte quando, avvolto di luce, contempli con l’aiuto della legge (Mosè) e dei profeti (Elia) tutto il progetto salvifico. Tu sai che quel progetto salvifico è il Padre che te lo affida perché per mezzo tuo vuole salvare l’intera umanità. Per questo, colmo di amore per noi, scendi dal monte e, al momento giusto, ti incammini deciso verso Gerusalemme. Nessuno riuscirà più a fermarti. Tu camminerai, se necessario, oggi, domani e il giorno seguente, pur di giungere alla mèta del tuo cammino terreno, nella certezza che il Padre, per la tua ubbidienza ti renderà sacerdote perfetto e causa di salvezza eterna per coloro che ti ubbidiscono (Eb 5,9), e sai che il tuo cammino si concluderà quando sarai elevato in alto, quando il Padre mediante la risurrezione ti glorificherà.
Però, mentre cammini, vuoi infondere anche in noi la stessa certezza di una perfetta riuscita della nostra vita. Per questo ci inviti a vagliare bene la nostra scelta per te e a fare nostro lo stesso “deve” che guida la tua vita. Ci vuoi simili a te, come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè come gente che sceglie la via della vera “non violenza” (vedi 9,54-55; 10,3); ci vuoi vedere, come te, totalmente distaccati dai beni di questo mondo, per andare come “uno che non ha un posto dove posare il capo”, e come gente che sceglie in modo definitivo di appartenerti e di mettere l’annuncio del regno di Dio al di sopra di ogni altro bene o vincolo familiare.
Signore, so già che camminando con te verso Gerusalemme, mi aiuterai in continuità a vagliare i motivi che mi possono liberamente portare a una consapevole, responsabile e personale scelta di essere tuo discepolo e che mi convincerai sempre di più a capire che vale la pena seguirti. Mi hai già detto che se saprò perdere come te la mia vita in questo mondo, la riavrò (9,24), e mi dirai che se ti riconoscerò davanti agli uomini anche tu mi riconoscerai davanti agli angeli di Dio (12,9), quando mi accoglierai al banchetto eterno e mi farai sedere a mensa, e passerai a servirmi (12,37).
Signore, aumenta la mia fede, aiutami a credere in te, che sei fedele, aiutami ad accogliere con gioia la tua parola; infondi in me la certezza che “le sofferenze di oggi non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18; vedi Lc 22,28-30); e ancora, che “il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Cor 4,17). Signore, fa’ che questa speranza sia sempre in me; aiutami a camminare sempre con te nella mia vita. Amen!

                                                                        Mario Galizzi SDB

1 La parola greca: “deî” può essere tradotta in tre modi diversi: deve, è necessario, bisogna.


IMMAGINI:
1 Gesù e i Discepoli verso Gerusalemme: Codice de Predis, Biblioteca Reale, Torino  /
2 Miniatura dell'Evangeliario dell'abbazia benedettina di Colonia - sec. XIII

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-5
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