IL MIRACOLO CHE GESU' NON HA FATTO
Indubbiamente in Marco, più che negli altri Vangeli, troviamo racconti di miracoli. C’è tutta una prima fase dell’attività di Gesù che è caratterizzata da miracoli: esorcismi, guarigioni, una risurrezione, moltiplicazioni dei pani, tempeste sedate. E molte volte si assiste a un vero e proprio assedio di folle che portano da lui malati e indemoniati o gli si gettano addosso per toccarlo ed ottenere così la guarigione. E questo, non solo a Cafarnao e in Galilea, ma dovunque egli vada.
Nel caso di indemoniati è per lo più Gesù stesso che di sua iniziativa scaccia il demonio, perché egli sente che fa parte della sua missione legare “il Forte”, ossia satana, per sottrarre al suo dominio funesto gli uomini (3, 27). In genere però Gesù interviene su richiesta delle persone che si trovano nel bisogno o di altri che intercedono per loro. Più volte, nel caso delle folle affamate, che sazierà moltiplicando pani e pesci, e nel caso dell’indemoniato geraseno, costretto a vivere tra le tombe in preda a una furia autodistruttiva, egli appare spinto da una profonda compassione, che è la compassione stessa di Dio (5,19; 6,34; 8,2). In un’occasione è lui a prendere l’iniziativa di risanare un uomo con una mano paralizzata che si trovava nella sinagoga di Cafarnao: polemicamente, contro gli avversari giudei, rivendica l’opportunità di compiere quel gesto, anche violando il riposo del sabato, perché si tratta di “fare il bene”, di “salvare una vita” (3,4-5).

La Fede: prima condizione

Ciò che particolarmente lo commuove è la fede che dimostrano tante persone che si rivolgono a lui, talora superando ingegnosamente diversi ostacoli: come quei tali che scoperchiano il tetto della casa per calare davanti a lui un paralitico, o come quando una donna sirofenicia che aveva la figlia ossessa vince con una bella battuta la sua resistenza, o come quando il cieco Bartimeo riesce, nonostante gli ostacoli frapposti dalla gente, ad attirare con le sue grida l’attenzione di lui. Spesso è lui stesso a sottolineare la fede dei miracolati (5,34; 10,52), oppure è l’evangelista che nota la sua attenzione a questo aspetto (2,5).
Non di rado Gesù, prima di agire, sollecita senz’altro i postulanti a credere. L’invito è esplicito nei confronti di Giàiro, quando apprende che la figlia, già in pericolo di vita allorché lo aveva interpellato, è ormai morta (5,36); guida invece con un delicato dialogo alla confessione di fede il padre di un ragazzo epilettico, scoraggiato, non solo dalla lunga durata e dalla gravità della malattia del figlio, ma anche da un primo insuccesso dei discepoli di Gesù (9,23-24). Nel caso della donna che soffriva di perdite di sangue e che aveva tentato di “rubargli” il miracolo toccandogli il mantello di nascosto, mescolata alla folla, egli cerca di liberare la sua fede dalle scorie di una mentalità magica inducendola a rivelarsi e a confessare pubblicamente, di fronte a lui, tutta la verità (5,30-34).
Indubbiamente Gesù vuole che nel miracolo intervenga innanzitutto la fede delle persone; si può dire che ne abbia bisogno: la controprova è che a Nazaret, a causa della sorprendente incredulità dei suoi concittadini, non riesce a compiere se non pochi gesti di potenza su alcuni malati (6,6). Più tardi, a Gerusalemme, ai discepoli sbalorditi davanti al fico seccato dopo la sua maledizione, egli opportunamente impartisce un’ampia lezione sul valore della fede. Mentre mostra che una fede senza incertezze può ottenere miracoli straordinari, come sarebbe quello di comandare a una montagna di gettarsi in mare, di fatto sposta la loro attenzione dal miracolo alla fede e alla qualità della fede richiesta (11,22-25).
Certamente alla base dei miracoli c’è il potere di Gesù in quanto Messia, e non è un caso che egli abbia compiuto soprattutto miracoli di grande significato simbolico: guarigioni di ciechi, sordi, paralitici, lebbrosi, moltiplicazioni di pani, e così via: miracoli, tutti, che la tradizione biblica aveva attribuito alle grandi figure di profeti (Mosè, Elia, Eliseo) e aveva preannunciato per i tempi escatologici (cf Is 35,5-6) e che i contemporanei attendevano dal Messia (cf Mt 11,5). Ma proprio a questo riguardo vediamo che Gesù sembra temere aspettative sbagliate e per questo più volte si sottrae alla gente che quasi lo perseguita in cerca di miracoli, o compie il miracolo lontano dal grande pubblico, o impone alle persone da lui guarite di non divulgare la notizia. Prende le distanze dai falsi Messia che si esibiscono in segni e prodigi e mette in guardia anche i discepoli (13,21-23).

Scendi dalla Croce e noi crederemo

Da un certo momento della sua missione in poi i miracoli in effetti si diradano e scompaiono del tutto. Gesù rifiuta con sdegno la pretesa dei farisei di mostrare un inequivocabile “segno dal cielo” (8,11-12) e, soprattutto, non risponde alla beffarda richiesta di avversari e anonimi spettatori che sotto la croce lo sfidano a scendere di lì per dare una prova visibile della sua messianicità come incentivo alla fede (15,29-32). Il miracolo di scendere dalla croce non l’ha fatto, perché egli è Messia non in quanto taumaturgo potente, ma in quanto docile Servo che compie la volontà del Padre affrontando passione, morte e risurrezione.
Certo ci sarà il miracolo della risurrezione, ma Marco, a differenza degli altri evangelisti, sembra voler far di tutto per evitare ogni forma di spettacolarità sia a proposito della morte sia della risurrezione, tanto più che omette anche le apparizioni del Risorto, affidando la sorte della buona notizia alle parole dell’angelo nella tomba vuota e a uno sparuto gruppo di donne impaurite.

                                                                   Clementina Mazzucco


IMMAGINE: GADDI ANGELO: la Crocifissione -
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2000-10
VISITA
 Nr.