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L'AMORE, FRUTTO DELLO SPIRITO,
E' FONTE DI GIOIA

La verità, enunciata nel titolo, traspare in modo chiaro da Gv 15,9-12: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
La gioia, anche quella semplicemente umana, nasce dall’amore. Secondo il brano citato si tratta di un “amore diffusivo”: dal Padre al Figlio, dal Figlio ai discepoli e da ogni discepolo agli altri discepoli. Dell’amore del Padre e del Figlio se ne parla al passato, perché davanti alla comunità c’è oramai il Cristo-risorto; la sua risurrezione è il segno tangibile di una vita spesa nell’amore del Padre e del prossimo. Dell’amore dei discepoli, invece, si parla al presente: Rimanete. Il presente dice continuità: rimanete, perseverate nel mio amore che è già in voi, perché è l’amore che rende bello e possibile il mutuo “rimanere in”, è l’amore che crea l’atmosfera della comunità cristiana che potremmo definire come un entusiasmo, un mutuo infervorarsi nella donazione totale degli uni agli altri. Di qui l’inevitabile gioia, una gioia che deve farsi piena.

Che cos’è la gioia?

La definizione più bella è questa: “armonia con se stessi”, un sentirsi, un essere presenti a se stessi; è la scoperta di sentirsi soddisfatti. La vera gioia è uno stato d’animo, una realtà spirituale; è legata al nostro spirito, al nostro intimo; essa offre alla nostra esistenza un’alta ragione di essere: dà senso al nostro vivere. La vera gioia non può essere racchiusa in noi come in un cassetto. Se è vera e profonda, è anche diffusiva e non può restare nascosta. Traspare dagli occhi, dal volto e viene intuita da chi ci è vicino. La vogliamo definire meglio? Chiamiamola serenità di spirito. Solo così la possiamo distinguere dalle gioie passeggere e false, dalle gioie che non fondano la comunione. È falsa la gioia di chi si rallegra del male altrui (Sal 35,15), di chi giudica felicità il piacere di un giorno (2 Pt 2,13); è passeggera ogni gioia puramente umana (Ger 25,10). Più bella e profonda è la gioia della festa, soprattutto quella in cui, nel culto, si esprime in forma di giubilo il nostro rapporto con Dio.
Ascoltiamo un testo meraviglioso: “Gioiscano i cieli, esulti la terra, rombi il mare e quanto contiene, esplodano di gioia tutti gli alberi della foresta davanti al Signore che viene...” (Sal 96,11-13a). Non è una gioia isolata questa; è il popolo che esplode di gioia davanti al suo Dio e vuole coinvolgere nella gioia la creazione intera. È una gioia cosmica, pura, festosa, una gioia che si fa “rombo”, cioè esultanza rumorosa; è l’esplosione di tutto l’essere in una danza cosmica, è l’esplosione di una gioia pura e totale, un inno di giubilo che sale da tutto l’essere a Dio. Quando si prega e si loda Dio, tutto il mondo appare sotto un aspetto meraviglioso e ogni cosa mi dice che esiste solo per l’uomo e testimonia così l’amore di Dio per me. C’è gioia perché il Signore viene, perché Dio entra solennemente nella storia con lo scopo di ricostruire un nuovo cielo e una nuova terra. È una gioia che dice la speranza della totale salvezza.
Muoviamoci in questo campo puramente religioso, perché è qui dove il credente fa esperienza di vera gioia, di una gioia che può farsi piena. Per ottenerla bisogna vivere il “martirio della speranza”. Se guardiamo la storia umana, ci accorgiamo che bisogna sempre andare contro corrente per avere il coraggio di una gioia vera, per vivere una vita serena, malgrado ogni difficoltà.

Gioia e sofferenza

È un binomio inevitabile, e ne possiamo parlare con serenità solo se fissiamo lo sguardo su Gesù, riunito con i suoi discepoli nel Cenacolo. È lì che ha pronunciato le parole che abbiamo letto all’inizio; ci ha invitato a vivere nell’amore e ha concluso dicendo: “Che la mia gioia sia in voi e che la vostra gioia sia (diventi) piena” (Gv 15,9-11). Era la vigilia della sua passione, la notte in cui venne tradito, in cui percepiva che l’odio dei suoi nemici si sarebbe scatenato su di lui e che avrebbe sommerso i suoi discepoli nella tristezza. Non poteva non soffrire. Eppure parla di gioia. È così che si è soliti tradurre la parola greca charà, ma lasciate che la renda con serenità. Si riesce meglio a unirla con la parola sofferenza e a sentirla come un dono che emana dall’amore che è stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo.
È impressionante la serenità con cui Gesù ha vissuto la sua Passione. Quando nel tempio sente dire che alcuni Greci desiderano vederlo, Gesù capisce che è giunto il momento in cui la sua missione deve aprirsi all’universalità; per questo dice: “È giunta l’ora in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato”. Parla in termini di gloria, anche se sa che “il chicco di grano deve morire prima di produrre molto frutto” (Gv 12,20-24). Lo stesso avviene quando Giuda, ormai deciso al tradimento, lascia il Cenacolo. Gesù dice: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui”. Parla al passato come se già tutto fosse avvenuto, ma subito passa al futuro, perché aggiunge: “Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà e lo glorificherà subito” (Gv 13,31-32). Gesù sa che la sofferenza sarà breve; il presente è orribile perché significa “morte”, ma Gesù, nella speranza, sa andare oltre il triste presente per guardare al futuro: “Io vado al Padre”. E questo che gli dà serenità, perché ha la certezza che, malgrado tutto, porterà a compimento la sua missione. È l’unione con il Padre che lo rende sereno: egli sa che il Padre non lo lascerà solo (16,32).
In questa situazione guarda i suoi discepoli e li invita alla gioia dicendo: “Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre” (Gv 14,28). Con queste parole Gesù vuole coinvolgere i discepoli nella sua gioia. Sa che non riescono pienamente a capire quello che sta avvenendo, che il presente è anche per loro colmo di tristezza, ma sa che la loro tristezza, si cambierà in gioia. Infatti dice loro: “Ora siete tristi, ma io vi rivedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22s). Questa loro gioia scoppierà nel giorno di Pasqua. Lo racconta Giovanni quando scrive: “I discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20), e Luca racconta che quando Gesù ascese al cielo “Essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”, e nel Cenacolo, pregando con Maria, si prepararono all’annuncio della salvezza: la gioia del Signore era in loro (Lc 24,52).

Gioia e sofferenza nella vita cristiana

La vita cristiana è il riflesso della vita di Gesù in noi; perciò quello che Gesù ha vissuto anche i discepoli lo hanno vissuto
e i cristiani lo vivono in continuità. Chi vive con franchezza e con sincerità la vita cristiana si accorge presto quanto sono ve-
re le parole di Gesù:
“Se il mondo vi odia sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18); “Beati voi quando vi odieranno, vi metteranno al bando e vi insulteranno per causa mia. Rallegratevi, saltate di gioia in quel giorno perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Lc 6,22s).
La realtà di queste parole la vissero in pienezza gli apostoli. Si racconta negli Atti che Pietro e Giovanni, dopo essere stati incarcerati, insultati e percossi, “uscirono gioiosi per essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù ” (At 5,41). È l’unione con Gesù che dà loro un senso di gioia e serenità nello svolgimento della loro missione. Paolo per esprimere questo vincolo di comunione con il Signore, usa per tre volte la formula: gioire nel Signore (Fil 3,1; 4,4.10). Paolo è in carcere quando dice questo, eppure gioisce e vuole continuare a gioire anche quando sa che Cristo viene annunciato da chi non gli vuole bene, perché a lui basta sentire che Cristo viene annunciato (Fil 1,8). Come nel Cenacolo Gesù ha invitato i discepoli a gioire, anche Paolo invita i fedeli, che pure hanno avuto “la grazia di soffrire per Cristo”, non solo a gioire, ma a congioire con lui”: “Se anche il mio sangue dovesse essere versato in sacrificio gioisco e congioisco con tutti voi; e anche voi gioite e congioite con me” (Fil 2,17-18). E non si tratta di una gioia passeggera. Dice infatti: “Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi”. Paolo gioisce nella sofferenza, gioisce nel Signore, gioisce perché il Vangelo viene annunziato e vuole che questa gioia sia comunitaria. La gioia che viene dal Signore dev’essere condivisa, deve coinvolgere altri, il mondo intero: “La vostra amabilità (bontà, dolcezza) sia nota a tutti” (Fil 4,5). Quando in una comunità cristiana sentiamo che qualcuno ha fatto qualcosa di bello, non hanno senso le gelosie, che annullano la comune gioia. Il bene di uno è il bene di tutta la comunità.
La vera gioia, infatti, cioè la gioia cristiana è intrisa di amore, di quell’amore che è frutto dello Spirito e perciò è una gioia diffusiva, una gioia vissuta insieme nella speranza. Paolo dice: “Il Signore viene”. Noi siamo gente che vive nell’attesa del Signore, perché solo quando egli verrà la gioia sarà davvero piena. Per questo ai Filippesi che sono nella sofferenza dice: “Non angustiatevi!”. Lo ha detto anche il Signore ai suoi discepoli nel Cenacolo. È dalla mutua comunione nel Signore che nasce nel singolo e nella comunità quel senso di serenità e di pace che solo il Signore può dare.
Come posso possedere questa gioia? Amando! Cioè amando gli altri come Gesù ci ha amati, vivendo in una totale donazione agli altri senza cercare gratificazioni di sorta. Quando nella fede e in comunione con Gesù mi dono, da questo amore nasce la vera gioia e la nostra vita, anche nei momenti difficili, sprigiona quel senso di serenità che coinvolge tutti e la gioia, dono del Signore, diventa apostolica. La gioia che emana dall’amore, non si impone, si comunica insensibilmente. Non posso presentarmi a uno che soffre scoppiando di gioia e parlando con entusiasmo della mia felicità. Tutto questo non ha senso per chi soffre. Se voglio comunicargli la mia serenità debbo prima condividere la sua sofferenza, lasciare che si sfoghi, stringergli a lungo e in silenzio la mano, fargli sentire che gli voglio bene. Allora, se io sono davvero una persona serena, il sofferente sentirà la dolcezza di essersi incontrato con me nel Signore e sperimenterà un senso di sollievo e serenità e lo percepirà come dono del Signore, come presenza del Signore. Debbo infatti comunicargli quella gioia che Gesù chiama “la mia gioia”.

La Vostra gioia sarà piena

La vera gioia guarda alle esperienze liete del passato solo per lodare e ringraziare il Signore e se, nel presente, sentiamo in comunione con lui serenità e gioia anche nei momenti difficili della nostra testimonianza, mettiamoci in atteggiamento di grazie e di lode. La pienezza della gioia però è sempre nel futuro. Il vero discepolo non volge mai indietro lo sguardo; egli vive nell’attesa gioiosa del suo Signore. È lui che ci ha comandato di gioire. Dopo aver parlato del suo ritorno con quadri che infondono paura a tutti, si rivolge ai suoi discepoli e dice: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi, levate il capo e gioite perché è vicina la vostra salvezza” (Lc 21,28). Il “gioite” non è nel testo, ma lo si deve aggiungere se si vuole rendere bene il pensiero. Quando si ama qualcuno si gioisce se ci avvisano che sta per venire. Ebbene, tale è la gioia di chi aspetta il ritorno del Signore. Egli sa che viene per accoglierci e immergerci nell’amore del Padre per sempre. Solo allora la gioia sarà perfettamente piena. Sarà una felicità senza fine, perché ci sentiremo perfettamente realizzati.

Preghiamo

Signore Gesù, sto scrivendo questi pensieri, contemplando un mondo in guerra e parlo con te che hai detto: “Chi colpisce di spada di spada morirà”. Tu hai rifiutato l’uso della spada, hai lasciato che camminassero sul tuo sangue, tu non hai voluto camminare sul sangue degli altri; ci hai insegnato, con il tuo esempio la vera via della pace. Essa esiste solo quando siamo in comunione con te. Ora la guerra semina morte, lutto, tristezza; sprofonda il mondo in una notte oscura, scava abissi immensi fra i popoli e le culture. Signore, a noi che crediamo in te, dona in questi terribili momenti della storia la tua gioia, quella che nasce dall’amore di tutti, anche dei nemici e fa’ che possiamo riempire il mondo della tua gioia. Mentre nel mondo l’odio dilaga, dona a noi, tuoi discepoli, di credere contro ogni speranza e fa’ che possiamo costruire un mondo nuovo. Donaci la tua gioia e fa’ che la nostra serenità sia contagiosa affinché in tutti nasca la speranza di una vera riconciliazione e tutti si aprano alla tua pace. Amen!

                                                                               Mario Galizzi SDB


IMMAGINI:
1 Apocalisse di Saint Sever : Adorazione dell'Agnello /
2 La raccolta della manna, Maestro del XV secolo, Museo della Certosa, Douai
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-3
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