LA LONGANIMITA' IRRAGGIATA DALL'AMORE, FRUTTO DELLO SPIRITO
Com’è difficile a prima vista il termine “longanimitá”.1 Eppure basta prendere un dizionario e subito si apre una panoramica sul comportamento umano. La parola indica infatti un “costante atteggiamento di generosa indulgenza e sopportazione”. Si chiama “longanime” colui che è incline, nei rapporti con il prossimo, alla comprensione e all’indulgenza, colui che ha il cuore grande, che si sforza di capire l’altro, di sopportarlo, nella speranza-certezza che il suo atteggiamento cambierà in bene; di qui la pazienza, la perseveranza, la fiducia nell’altro. L’atteggiamento del “longanime” emana infatti da quell’amore che è totale donazione di sé all’altro nella gratuità assoluta. Tale amore non proviene dall’uomo ma è frutto dello Spirito che è stato effuso nei nostri cuori (Rom 5,5; Gal 5,22).
I significati che abbiamo dato della “longanimità” si ritrovano tutti nell’antica letteratura greca. Ma nell’uso biblico della prima traduzione greca della Bibbia (quella dei LXX) c’è un enorme salto di qualità: il vocabolo acquista una profondità tutta particolare. “Longanime” è innanzitutto Dio e poi l’uomo che imita Dio. Leggere questa tematica nella Bibbia significa vedere l’uomo che agisce in sintonia con Dio, l’uomo che vive la vita in Dio e che tutti vede nella luce di Dio.

Dio è longanime

“Il Signore, Dio misericordioso è pietoso, longanime, ricco di grazia e fedeltà” (Es 34,6). La parola in neretto traduce l’ebraico che letteralmente significa “lento all’ira”. Il peccato umano suscita l’ira di Dio perché Dio, il Santo, non può volere il male. Eppure, pur rifiutando il peccato, Dio si trattiene dallo scatenare la sua ira sul peccatore, perché è misericordioso. Questa è la condotta di Dio che si rivela nella Bibbia. L’ira di Dio che pesa su Israele quando è nel peccato, riserva al popolo questa sorpresa: “Egli è il Dio che vuole trattenere la sua ira per dare corso alla sua bontà”. L’ira e la grazia segnano l’intero arco della sua divina “longanimità”. E questo riecheggia in continuità negli scritti biblici. L’espressione “longanime e ricco di grazia” è la più significativa. Ma il testo che meglio esprime la “longanimità” di Dio, accumulando tutta la descrizione del longanime sopra esposta, è forse quello del Sal 103(102),8ss: “Misericordioso e pietoso è il Signore, longanime e ricco di grazia. Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; come dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe... Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere”.
È forse perché messi di fronte a tutta la ricchezza dell’intera rivelazione della longanimità di Dio che gli antichi traduttori della Bibbia greca dei LXX, non si limitano a tradurre alla lettera il Salmo 7,12: “Dio è giudice giusto, non si adira ogni giorno”, ma dicono: “Dio giudice giusto è forte e longanime; non si adira ogni giorno”. Certo si rivela anche come colui che “non lascia impunito il peccatore” (Num 14, 18). Ma ciò non significa che al peccato segua immediatamente il castigo. Solo si costata che la longanimità non introduce un vuoto, non esprime la pura e semplice rinuncia al movente dell’ira, solo pone accanto all’ira un atteggiamento per cui Dio ne differisce la manifestazione in attesa che l’uomo faccia vedere qualcosa che giustifichi tale differimento, altrimenti l’ira entra pienamente in azione: in lui infatti vi è sempre misericordia e ira. Solo la conversione sospende lo scatenarsi della sua ira. Dio è longanime in attesa della conversione: “Convertitevi al Signore poiché egli è longanime” (Gl 2,3).
Di qui il comportamento umano. Di fronte alla “longanimità” di Dio l’uomo viene a trovarsi in una nuova situazione che deve dimostrarsi in due modi: da una parte egli stesso cercherà di “essere longanime” nell’agire con il suo prossimo; dall’altra, quando venga a trovarsi in difficoltà, deve considerarla come una prova che lo va educando alla “longanimità”, vero dono di Dio, che fa entrare in sintonia con Dio.
Dovremo però attendere la piena rivelazione neotestamentaria per scoprire l’infinita e universale longanimità di Dio. Nell’Antico Testamento, infatti, solo dal libro di Giona (vedi 4,2) appare che la longanimità di Dio, in senso pieno, raggiunge anche i pagani che si convertono. Nel Nuovo Testamento, invece, si insegna che Dio è longanime con tutti senza distinzione perché egli vuole che tutti si convertano e vengano alla conoscenza della verità. Per il Dio neotestamentario non ci sono muri di separazione tra gli uomini. Egli è il Dio di tutti. E tutti sono chiamati a imitare Dio.

Chiamati a essere longanimi

Tale chiamata appare da quanto ci insegna Gesù quando racconta la Parabola del servo spietato (Mt 18,23-35). Un giorno un Re (che rappresenta Dio) volle fare i conti con i suoi servi. Gliene presentarono uno che gli doveva 10 mila talenti, una somma enorme, equivalente a 600 mila volte un denaro, cioè a 600 mila giornate di lavoro. Si capisce subito che si tratta di un debito inestinguibile. Quando il Re capì chi era quel servo, comandò che venisse messo in carcere finché non avesse pagato tutto. Ma quello si gettò ai suoi piedi e disse: “Sii longanime con me e ti restituirò ogni cosa”. La richiesta suona come un grido di angoscia, ma si capisce che chi lo ascolta sa già che l’impegno che prende di fronte al Padrone, a Dio, non sarà mai mantenuto. E lo sa anche Dio che impietositosi del servo gli condonò tutto il debito. Quel servo si sentì avvolto dalla longanimità di Dio. Davvero Dio è longanime e colmo di grazia.
Ma quel servo era davvero degno di tale dono? Osserviamo il suo comportamento verso un suo compagno che gli doveva soltanto “cento denari”, una somma irrisoria a confronto dei 600 mila che lui doveva al suo Padrone. Ebbene, appena si incontrò con l’altro, lo afferrò per il collo e lo soffocava dicendo: “Dammi quello che mi devi”. Il poveretto si gettò ai suoi piedi e gli disse: “Sii longanime con me e ti restituirò ogni cosa”. Proprio quello che lui aveva detto al Re. Ma lui non si impietosì come il Re e lo fece gettare in carcere.
Il Re lo venne a sapere; richiamò colui che aveva graziato e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito... Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno come io ho avuto pietà di te?”. E, colmo d’ira, annullò la grazia e lo fece gettare in prigione finché avesse pagato tutto. Cosa irrealizzabile. Gesù ne tira la conclusione: “Il Padre mio celeste farà lo stesso a ciascuno di voi se non perdonerete a un vostro fratello”.
Non c’è un vuoto tra l’ira e la longanimità di Dio. Dio trattiene lo scatenarsi della sua ira in attesa della conversione, che è un assumere in sé gli stessi sentimenti di Dio. Se ciò non avviene allora la sua ira si scatena per l’eternità.
Bastano queste poche parole per capire tutte le esortazioni alla longanimità che risuonano nel Nuovo Testamento. Le possiamo riassumere in una frase: “Siate longanimi, come Dio è longanime”. Per riuscirvi basta amare come ci ha insegnato Gesù e come lui “sentire compassione” degli altri. Ma tocchiamo con mano come si caratterizza la longanimità cristiana. Essa non è una virtù che si può acquisire al pari delle altre: è un dono dello Spirito. Solo molto tardi verranno chiamate “virtù”, ma nel Nuovo Testamento sono tutte espressioni di un unico frutto: l’Amore. Tutto proviene dall’Amore e nell’Inno all’Amore di Paolo, la “longanimità” occupa il primo posto: “longanime è l’amore”, cioè: chi ama è longanime (1 Cor 13,4). È chiaro che qui si afferma nel modo più conciso ed essenziale che la forza motrice della “longanimità” è l’amore.
Volendo ora passare al concreto esercizio della “longanimità”, ascoltiamo Paolo che parla del suo apostolato ai cristiani di Corinto (2 Cor 6,4ss): “Ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza nelle tribolazioni..., con purezza, conoscenza, longanimità, benevolenza, con amore sincero...”. Paolo spiega ai Corinzi con quali mezzi affronta la prove nelle quali deve cimentarsi il missionario (e ciò vale per ogni testimone di Cristo). Dal contesto è chiaro che per esercitare la “longanimità” non basta l’amore e la benevolenza, ma è anche necessaria la conoscenza della nostra reale situazione umana di fronte a Dio che ci è stata rivelata da Cristo.

Come vivere la longanimità

In concreto, se vogliamo vivere la “longanimità” bisogna “camminare in maniera degna del Signore”, tenendo fisso lo sguardo su Gesù. È vero non si dice mai che Gesù è longanime, ma è anche vero che egli non si è presentato come l’aveva annunciato il Battista, cioè come “la scure posta alla radice degli alberi”, ma si è presentato come l’ultima chiamata di Dio ai peccatori perché si convertano; il suo tempo, che dura finché c’è storia, è il tempo in cui Dio nella sua “longanimità” trattiene la sua ira in attesa della conversione. Gesù è la rivelazione dell’Amore del Padre che chiama tutti a conversione.
Anche Gesù sente tutte le difficoltà dell’apostolato e di fronte all’incredulità dice: “Fino a quando vi sopporterò?” (Mc 9,19); quando poi dice ai suoi discepoli: “Ancora non capite?” (Mc 8,21) e malgrado ciò continua a educarli, si percepisce la sua “pazienza”, e quando rifiuta di far scendere il fuoco dal cielo, ci rivela che vuol essere in sintonia con la “longanimità del Padre” (Lc 9,55).
Ora come vivere l’amore imitando Gesù? Cercando di “portare frutto in ogni opera buona e crescere nella conoscenza di Dio” (Col 1,10). La “longanimità” non è un semplice atteggiamento di tolleranza e nemmeno una fiacca indulgenza, non è soltanto un naturale atteggiamento etico. La longanimità è possibile solo quando siamo “rinvigoriti di ogni energia secondo la gloriosa potenza salvifica di Dio”. È la forza di Dio che permette ai cristiani di affrontare le prove della vita. E Dio ci dà la sua stessa forza “per essere pazienti e longanimi”. È questa forza che Paolo chiede per noi nella preghiera (Col 1,9-1). Chiediamola anche noi e allora avremo la capacità di “rivestirci di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di longanimità” e riusciremo a “sopportarci gli uni gli altri” (Col 3,12s). È il cammino per essere nella comunità un solo corpo e un solo spirito. Infatti per essere degni della vocazione che abbiamo ricevuto, “dobbiamo comportarci con ogni umiltà, mansuetudine, longanimità, sopportandoci a vicenda, cercando di conservare l’unità dello Spirito” (vedi Ef 4,1-4). Sono molti e diversi i termini che accompagnano la parola “longanimità”. Ma non si tratta di puri elenchi di virtù diverse. Sono solo espressioni che specificano in concreto che cos’è l’Amore. Non c’è proprio bisogno di chiederci: “Ma come faccio a vivere tutto questo?”. La risposta è molto semplice: “Ama come Gesù ti ha amato” e il tuo amore irraggerà in pienezza tutti i suoi raggi. Più ti sforzerai di donarti agli altri, a tutti gli altri, anche ai nemici, come ha fatto Gesù e riuscirai a capire che la tua vita ha trovato il suo vero senso e l’ha trovato in Gesù. Solo lui rivela in pienezza come dev’essere l’uomo, di fronte a Dio. Se noi fissando lo sguardo su Gesù capiremo che la vita ha davvero un senso e che solo nella pazienza e nell’umiltà riusciremo a vivere i nostri rapporti umani con “longanimità”.
Una bellissima pagina di Janssens e Ledrus2 ci serva da conclusione: «La “longanimità” è l’esercizio della carità cristiana verso un prossimo reale e concreto. È l’atteggiamento di colui il quale persevera con animo illuminato e plasmato dalla longanimità divina contro gli ostacoli nello sforzo caritatevole a vantaggio dei fratelli, sopporta e tollera tutto per la loro salvezza effettiva; e, saldo nella speranza, non cessa di amarli e di avere fiducia nell’azione salvifica che Dio esercita nel loro cuore. La “longanimità” nei rapporti con gli altri non soltanto non si lascia abbattere dalle avversità, dalle contraddizioni, dalle ostilità, ma persiste nel suo proposito di bene con sempre rinnovato ardore e con slancio. Dal punto di vista umano, le opposizioni ingiuste, le persecuzioni e le sconfitte potrebbero essere valide ragioni per abbandonare l’altro alla sua sorte, ma la longanimità ci suggerisce di non desistere» e di fare nostra questa semplice esortazione di Giacomo: “Fratelli, siate longanimi sino alla venuta del Signore” (Gc 5,7), senza desistere mai.

Preghiamo

Signore Gesù, voglio prostrarmi in adorazione davanti a te, lodarti e ringraziarti perché il tuo esempio apre a me panorami immensi di bene. Come fai, o Signore, ad avere tanta fiducia in me? Sai bene che tante volte devi essere tu a pazientare con me. Ma poi ti sento dire: “Non guardare alla tua debolezza, alla tua incapacità; ti chiedo solo di sforzarti in quello che ti insegno, e poi effondo su di te la forza del mio Spirito. Accoglilo con cuore sincero, invocalo e sentirai ogni giorno che potrai fare qualcosa di meglio. E in primo luogo riuscirai a sentire gli altri, anche quelli che ti fanno del male e non ti vogliono bene, come fratelli. Io vi ho sempre sentiti tutti così, e non mi vergogno di chiamarmi fratello vostro. Per questo vi ho amati e ho dato la mia vita per la salvezza di tutti”. Sì, Signore Gesù. Mi sforzerò di fissare sempre lo sguardo su di te e di formulare una sola preghiera: “Possiedi, o Signore, il mio cuore con tutti i suoi sentimenti verso gli altri e fa’ che siano in sintonia con i tuoi”. Amen!

                                                                      Mario Galizzi SDB

1 Con questa parola, traduciamo sempre lo stesso termine greco macrothumìa. Nelle traduzioni però non viene sempre tradotto con «longanimità».
2 I frutti dello Spirito, ed. Ancora, Milano, 1984, p. 93.


IMMAGINI :
1 Trento Longaretti : San Martino e il povero, particolare (1975) Chiesa di San Martino, Bergamo /
2 Trento Longaretti: Lo Spirito Santo, 1989, Chiesa parrocchiale di Pescate, /
3 Trento Longaretti : Cristo tra i poveri, 1947
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-5
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