IL DOMINIO DI SE', PROVIENE DALL'AMORE,
FRUTTO DELL0 SPIRITO
Mitezza e dominio di sé sono
quelle due espressioni dellamore che danno il tocco finale
alla vera fisionomia cristiana. Sono due espressioni intimamente
legate: bisogna essere forti per essere miti; bisogna
essere forti per dominare se stessi. Il vero dominio
di sé si trova nelluomo forte, ammantato di mansuetudine.
La mitezza, dice San Tommaso dAquino, porta luomo
al massimo grado di padronanza di sé.
Con ciò si va daccordo con il pensiero dellantico
mondo greco, dove il dominio di sé (in greco:
enkráteia) aveva grande valore. Per Aristotele lenkráteia
era il vero mezzo per essere virtuosi: La virtù
è impresa grande, ardua a compiersi. Per i socratici,
il sapersi dominare significava acquisto della libertà
contro la schiavitù dellintemperanza. Infatti,
il dominio di sé, in cui si esprime lideale
delluomo che afferma la propria libertà spirituale
di fronte ad ogni pressione o coercizione, soprattutto di fronte
alle cattive passioni, ha il suo valore etico nella
concezione umanistica della vita di cui la libertà rappresenta
uno dei cardini principali. È libero, è padrone
di sé (in greco: enkratés) chi sa essere
se stesso di fronte a qualsiasi situazione.
Nella Bibbia cè assai poco sullenkráteia,
ma è più che sufficiente per concludere il nostro
discorso sulle espressioni dellamore, frutto dello Spirito
Santo. Come per altri termini, anche luso di enkráteia
ed enkratés, sembra avere, nella Bibbia, un senso di apertura,
di dialogo con il mondo greco; forse è uno sforzo per
tradurre la fede biblica in unaltra cultura. Tale è
il caso di Paolo quando, usando un linguaggio olimpionico, parla
degli atleti, i quali (traduco letteralmente) cercano di
dominarsi in tutto per ottenere una corona che appassisce
(1 Cor 9,25). Noi invece aggiunge Paolo facciamo
lo stesso per una corona imperitura. Per questo mi sottopongo
a una dura disciplina e domino me stesso per non essere squalificato,
proprio io che predico agli altri (9,27). Con queste frasi
Paolo dice ai Corinzi che egli si è sottomesso a tante
rinunce per farsi tutto a tutti con lunico scopo di salvare
ad ogni costo qualcuno e di essere anchegli, mediante lannuncio
del Vangelo, partecipe della stessa salvezza. (1 Cor 9,22-27).
Paolo perciò non pratica lenkráteia solo
per sé, come fanno gli atleti, ma soprattutto per essere
in grado di fare del bene agli altri, nella speranza di essere
anche lui partecipe dello stesso bene, cioè della salvezza.
Il suo scopo è altamente religioso e sa che tutto nella sua vita è dono di Dio.
Dominio
di sé come dono di Dio e impegno
Ascoltiamo lapostolo
Pietro che dice ai suoi destinatari: La potenza divina...
ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che ci erano stati
promessi perché diventaste per loro mezzo partecipi della
natura divina essendo sfuggiti alla corruzione che è nel
mondo a causa della concupiscenza. Per questo vi è stata
data la capacità di mettere in atto ogni impegno perché
accanto alla vostra fede vi sia una vita virtuosa, accanto alla
vita virtuosa vi sia la conoscenza di Dio. E chi conosce Dio
impari a «dominare se stesso» e ad aggiungere al
«dominio di sé» la pazienza, alla pazienza
la pietà, alla pietà la fraternità, alla
fraternità lamore (2 Pt 1,4-7).
Da questo testo è chiaro che nel cristiano tutto procede
dalliniziativa divina che in Cristo ci ha liberati dalla
corruzione del mondo e ci ha donato la capacità di fare
del bene. Però è anche chiaro che lopera
della salvezza non si compirà in noi senza un nostro fattivo
coinvolgimento personale. La salvezza è un dono di Dio,
ma è anche frutto del nostro impegno. Nel testo sottolineiamo
tre aspetti: una sempre maggiore conoscenza della volontà
di Dio, un reale sforzo per riuscire a dominare se
stessi e, per riuscire a vivere lAmore, quellAmore
che è stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito
Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). È dalla
conoscenza della volontà di Dio e dallamore che
si sprigiona quel raggio luminoso che è il dominio
di sé. Come Paolo dobbiamo diventare enkratés,
cioè avere il vero dominio di noi stessi.
Per approfondire questo, riesaminiamo il testo di Gal 5,16-22
che abbiamo citato nellintroduzione alla terza parte (n.
1/2002) e spiegato un po nel numero di febbraio di questanno.
Lo facciamo precedere da quanto si legge in Gal 5,1.13: È
per una vita di libertà che Cristo ci ha liberati... Sì,
fratelli, voi siete stati chiamati a libertà. Soltanto
che questa libertà non divenga un pretesto per vivere
secondo la carne, cioè secondo il vostro egoismo.
Ma come fare per vincere legoismo, i desideri della carne,
la concupiscenza? Ce lo dice Paolo: Camminate secondo lo
Spirito e non lasciatevi indurre a soddisfare i desideri della
carne (= egoismo). La carne ha desideri contrari allo spirito
e lo spirito ha desideri contrari alla carne. Queste cose si
oppongono a vicenda, sicché voi non fate quel che volete...
Sono, infatti, assai evidenti le opere della carne: fornicazione,
impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie,
discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze,
orge e cose come queste. Il frutto dello Spirito, invece, è
amore (che sprigiona) gioia, pace, longanimità, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio si sé.
Una vita
di libertà
Ora sì che possiamo
precisare bene la nostra vita cristiana: è una vita nella
libertà. Ma quando Paolo, pronuncia la parola libertà,
sente subito il pericolo ben concreto in cui vivono i cristiani:
fare della parola libertà un pretesto per continuare a
vivere secondo la carne, cioè secondo il proprio egoismo,
chiusi in se stessi, in un narcisismo futile e senza senso. La
libertà cristiana è frutto di una liberazione
dallegoismo, per vivere nellamore e nel dono di sé
agli altri. Se legoismo ci chiude in noi stessi, lamore
ci apre a tutti e ci permette di realizzarci pienamente come
persone. La libertà cristiana è libertà
di amare, capacità di uscire dal chiuso del proprio egoismo
per una comunicazione profonda ed effettiva con gli altri. La
parola persona significa, infatti sono per,
cioè sono per gli altri. Non ci realizziamo come persone
umane, se ci chiudiamo in noi stessi, ma solo se ci apriamo agli
altri.
Un altro dato appare chiaro dal testo citato di Pietro e da quello
di Paolo: la liberazione che sta allinizio dellesistenza
cristiana non è unacquisizione irreversibile, ma
una condizione continuamente minacciata. Adesso però il
vantaggio è dalla parte di chi gode della libertà
di Cristo. Prima della liberazione non riuscivamo a fare quel
che volevamo, eravamo incapaci di contrastare le opere
della carne. Dopo la liberazione, abbiamo la capacità
di contrastarle perché cè in noi la forza
dello Spirito Santo, il cui frutto è lamore. Questo
però non significa che i desideri della carne siano scomparsi.
Lesperienza ce lo insegna in continuità. Tutti sentiamo
la vita cristiana come una continua lotta contro il male, ma
sappiamo che se viviamo nel mutuo amore, cioè nel mutuo
servizio (Gal 5,13) la vittoria ci è assicurata.
Osserviamo bene il quadro della nostra esistenza, dibattuta tra
le opere della carne e il frutto dello Spirito.
Quando scorriamo lelenco delle opere della carne
ci sembra di vedere unondata orribile che dilaga nel mondo,
che non solo mette disarmonia nella persona, ma che sconvolge
anche in profondità lintera società umana.
La dispersione e la mancanza di comunione è totale, si
è gli uni contro gli altri. Quando invece si parla del
frutto dello Spirito tutto tende allunità,
alla comunione, alla solidarietà,
alla fraternità, perché è vita nellamore.
Una mitezza
per gli altri
Certamente sono molte le espressioni
dellamore, ma non sono dispersive perché ogni espressione
è apertura agli altri, è dono di sé agli
altri, un dono che molte volte esige tante rinunce.
È in questo contesto che la mitezza e il dominio di sé
risaltano in tutto il loro fulgore. Sono, infatti, questi due
modi di esprimere lamore che più contrastano, fino
ad annullarle, le opere della carne.
Il dominio di sé sin dallantichità
greca è stato considerato come capacità di dominio
sulle passioni più sfrenate: si pensi al libertinaggio
e alle orge che indicano la sfrenatezza di una vita che si perde
senza controllo negli istinti carnali. Non così il dominio
di sé. Osserviamolo nella vita di una persona mite.
Come abbiamo detto, il mite sa correggere il fratello, con dolcezza
e bontà e così si comporta con coloro che lo ostacolano
nel suo ministero o testimonianza. Il mite agisce così
per amore per riguadagnare tutti a Cristo. Quando si sente irritato
e indisposto sa dominare la sua irascibilità
e indisposizione per continuare nel bene. Il mite, mediante il
dominio di sé rifugge da ogni inimicizia,
discordia, gelosia; non è motivo di faziosità nella
comunità, perché è pronto a ogni rinuncia
pur di salvare la comunione. Insomma, ci vuole coraggio per essere
miti; è necessario uno sforzo enorme per dominare se stessi.
Mitezza e dominio di sé sono inscindibili, sono quelle
due espressioni dellamore che danno il tocco finale alla
fisionomia del cristiano.
Questa fisionomia, forse, non la raggiungeremo mai in modo perfetto;
è il risultato di un lungo e, a volte, estenuante, cammino,
ma chi si sforza di vivere lamore, come Cristo ci ha insegnato,
a poco a poco la sua vita acquisterà in bellezza, sentirà
la gioia di essere sempre di più un enkratés, uno
che ha la padronanza di sé. Questa però devessere
esercitata in continuità, come dice Paolo al suo collaboratore
Tito: Un servo di Dio devessere irreprensibile: non
arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non
avido di guadagno disonesto, ma ospitale, amante del bene, assennato,
giusto, pio, (insomma) «padrone di sé» per
essere in grado di esortare con la sua dottrina e di confutare
coloro che contraddicono (Tt 1,7-9). Abbiamo aggiunto un
insomma perché tutto ciò che si esige
è impossibile se non si è padroni di sé,
cioè enkratés.
Ogni cristiano è chiamato ad essere così. Ripassi
ciascuno questa fotografia del servo di Dio e capirà che
vale la pena essere così. Questo è il quadro di
una persona padrona di sé: essa possiede una
sua tranquilla e luminosa compostezza nel tratto e nelle parole,
pur in mezzo a unintensa attività, e diventa, in
virtù di una sana disciplina spirituale, sempre più
attenta a tutto ciò che è buono e vero, aprendo
lanima a ogni manifestazione di autentico amore cristiano.
E chi la contempla fa lesperienza di quanto è bello
essere cristiani.
Preghiamo
È
stato bello, Signore, ripensare in questi tre anni il nostro
essere cristiani e riscoprire in modo sempre nuovo che la vita
cristiana è vita di comunione con te e con il Padre nello
Spirito Santo. Ci sei davvero apparso, Signore Gesù, come
Via, Verità e Vita. Non ci hai mai insegnato
qualcosa che tu non avessi vissuto per primo e ci hai indicato
il modo per realizzare in pienezza la nostra vita umana e allo
stesso tempo cristiana: Amare come tu ci hai amato.
Abbiamo riscoperto la bellezza di una vita vissuta in quellAmore
che si fa dono totale di sé agli altri; abbiamo compreso
che sono infinite le espressioni dellAmore che è
stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci
è stato dato e abbiamo capito con stupore che la
mitezza e il dominio di sé sono
i raggi più fulgidi del tuo amore. Quando splenderanno
in noi in tutto il loro fulgore? Tu solo lo sai, Signore. Noi
sappiamo, con sollievo, che tu ci chiedi soltanto di sforzarci
di farli risplendere ogni giorno di più e di imparare
da te che sei mite e umile di cuore. Noi sappiamo
che dobbiamo continuamente imparare a dominare noi stessi
nei nostri desideri e sentimenti e a saper dominare certe situazioni
in modo che la mitezza si esprima sempre in tutta la sua dolcezza
e soavità nelle relazioni con qualsiasi persona in modo
che tutti capiscano che noi li amiamo come tu ci hai amati.
Signore Gesù, sono tante le riflessioni che abbiamo fatte
in questi tre anni sulla nostra vita cristiana. Che esse continuino
a risuonare in noi fino a quando riusciremo a dire con vera convinzione:
È bello essere cristiani! È bello sentirci
discepoli tuoi, Signore! È bello vivere in comunione con
Te. Amen!.
Mario Galizzi SDB
IMMAGINE: 1
Conversione di San Paolo: Manoscritto della Biblioteca Vaticana
/ 2 Andrea Lothar : Arte Etiopica CUM, Verona
RIVISTA MARIAMAUSILIATRICE 2002-10
VISITA Nr.