TU SEI IL CRISTO
Dopo
aver contemplato Gesù che compie con enorme potenza tanti
prodigi, ritorniamo nella vita sociale e religiosa di Israele,
quella che i discepoli hanno vissuto sin da piccoli. Essa era
sorretta dalla Legge di Dio, ma era soprattutto dominata
dalla Tradizione degli antichi, stracolma di tante
norme che regolavano ogni atto e ogni gesto della giornata. La
Tradizione è certo il pilastro che dà sicurezza
alla vita di un popolo, ma ha pur sempre in sé un pericolo:
quello di rinchiudere il popolo nel passato e soprattutto, se
mal intesa, rischia di diventare un muro di separazione verso
gli altri, impedendo, inoltre, un vero slancio verso il futuro.
Se poi si spezzetta in tante piccole norme, che giungono fino
al ridicolo allora standardizza le persone e impedisce loro di
essere se stesse di fronte agli altri e, soprattutto, di fronte
a Dio.
Ebbene, in una simile società, Gesù si rivela come
il vero Liberatore. Egli si è già presentato
libero di fronte a certe norme della Legge o della Tradizione:
ha toccato un lebbroso, si è seduto a mensa con i peccatori
e ha vissuto il sabato in modo diverso dai farisei e dagli scribi,
meritandosi la condanna a morte (3,6). Ora, eccolo affrontare
con i capi del popolo, il tema della Tradizione degli antichi.
Levangelista espone con chiarezza il duro dibattito (7,1-13),
ma lo fa per evidenziare poi la reazione dei discepoli: sono
in sintonia con Gesù o tentennano? (7,17-23). E lo fa
perché questo interessava anche ai discepoli della sua
comunità provenienti dal giudaismo, i quali non riuscivano
a liberarsi da certe abitudini. E può interessare anche
a noi: In questa società sentiamo davvero che possiamo
essere sempre noi stessi di fronte agli altri e a Dio? Ci sentiamo
liberi o ci lasciamo imbrigliare dalla morsa del progresso che
vede con riluttanza e come una debolezza le espressioni del cuore?
La tradizione
degli antichi (7,1-13)
Non sappiamo quando e non sappiamo
dove, ma un giorno si riunirono attorno a Gesù i
farisei e alcuni scribi. Basta leggere questi nomi per
capire che non sono venuti per ascoltare la sua parola ma per
discutere; meglio: per accusare. Gli dicono: «Perché
i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli
antichi e prendono cibo con mani impure, cioè non
lavate, rendendo così impuro sia il cibo che prendono
sia se stessi?». La risposta di Gesù è meravigliosa.
Gesù va subito al sodo e tocca il difetto dominante della
Tradizione e di tutte le aggiunte interpretative
fatte dai maestri di Israele: sono pura esteriorità,
perché in esse non centra il cuore. E da vero profeta
cita un testo di Isaia, iniziando con un solenne: «Ipocriti!
Bene ha profetato di voi Isaia: Questo popolo mi onora
con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me; invano
mi rendono culto, insegnando dottrine che sono solo precetti
umani», che non aprono il cuore a Dio, che non mettono
luomo in relazione con Dio.
Gesù ha fatto centro: la vera religione, il vero culto
nasce dal cuore, non è pura esteriorità, non è
fatto di sole rubriche. Per essere vera, ogni norma, ogni gesto
deve coinvolgere il cuore. Perché la vera religione
è essenzialmente vita, una vita del cuore; e Dio è
il Dio del cuore (San Francesco di Sales). Ancora: la vera
religione esclude ogni interesse materiale. E qui Gesù
li tocca su un fatto specifico: «Mosè disse: Onora
tuo padre e tua madre...». Onora, cioè
aiutali, continua ad amarli quando sono in necessità.
«Voi invece dite che se uno ha offerto al Signore quello
che deve servire per aiutare i genitori, non è più
tenuto ad aiutarli». Qui è la Tradizione
che stravolge la legge o meglio: che annulla la Parola di Dio.
Gesù conclude: Di cose simili ne fate molte.
Poi si rivolge alla gente e, riferendosi solo al caso di mangiare
con mani non lavate, dice: Non cè nulla fuori
delluomo che, entrando nelluomo lo possa rendere
impuro; sono invece le cose che escono dalluomo che lo
rendono impuro (7.15).
Gesù
solo con i discepoli (7,17-23)
I discepoli hanno sentito tutto
e sono lì pieni di dubbi, perché Gesù ha
attaccato quelli che per loro erano le vere guide spirituali
del popolo, ha toccato la loro vita religiosa, la loro osservanza
della legge e delle tradizioni. Perciò vogliono spiegazioni.
E Gesù gliele dà iniziando con un rimprovero: Siete
anche voi così privi di intelletto? Ma non capite che
tutto ciò che entra nelluomo dal di fuori (si intendono
i cibi che per Gesù sono tutti puri) non può renderlo
impuro?... È ciò che esce dalluomo, che lo
rende impuro. Dal cuore infatti degli uomini escono le intenzioni
cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità,
inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Tutte queste cose cattive vengono dal di dentro e contaminano
luomo.
Due dati debbono essere qui sottolineati. Il primo è questo:
Gesù vuole guarire il cuore, e il cuore è guarito
quando è colmo di sentimenti che creano relazioni giuste
con gli altri e con Dio, quando emana tenerezza, dolcezza, amore,
gioia, simpatia, gratitudine, gentilezza, ecc. e quando il culto
è un vero incontro di amore con Dio. Per Gesù una
legge, una tradizione che non è espressione del cuore,
ma solo imposizione, non riuscirà mai a costruire una
vera comunità umana e tanto meno una vita di vera relazione
con Dio.
Il secondo dato è il fatto che è lecito mangiare
qualsiasi cibo e che nessun cibo ci rende impuri anche se lo
mangiamo senza lavarci le mani. I discepoli certamente hanno
capito il liberante insegnamento di Gesù. Ma una cosa
è capirlo, una cosa è viverlo. Essi sentivano che
Gesù era una persona veramente libera e li voleva liberi,
ma si trattava di sradicare dal loro subconscio quel senso di
colpevolezza che li prendeva quando mangiavano quei cibi che
la tradizione chiamava impuri. Essi, malgrado gli
insegnamenti di Gesù, continuarono a pensare di fare peccato
(= di rendersi impuri) se non mangiavano secondo le regole tradizionali.
Ci vollero anni per superare questo disagio. Si pensi alla visione
che a Giaffa ebbe Pietro, oramai capo della comunità apostolica:
fu invitato a mangiare ogni sorta danimali. Pietro reagì
dicendo: «No, Signore, io non ho mai mangiato nulla di
impuro, ma la voce dal cielo disse: Ciò che Dio ha purificato,
tu non chiamarlo più profano» (cf At 10,9-16). È
duro cambiare mentalità. Anche dopo Giaffa fu assai difficile
a Pietro non tener conto delle tradizioni alimentari del suo
popolo (cf Gal 2,11s). In questo disagio nella comunità
di Marco si sentivano coinvolti anche i cristiani di origine
pagana che avevano paura di contaminarsi se mangiavano carne
comperata al mercato, dove si vendeva anche quella che era stata
sacrificata agli idoli (cf 1 Cor, 8). È difficile (e lo
è anche oggi) non sentire senso di colpa quando lo si
è sentito sin dalla fanciullezza. Comunque, alla fine
capirono che Gesù li aveva liberati. E noi con loro godiamo
di questa libertà a differenza dei nostri fratelli ebrei
e islamici.
A Tiro e
nella Decapoli
Dopo aver buttato giù
tante barriere religiose e sociali allinterno del suo popolo,
ecco ora lebreo Gesù che va verso i pagani come
primo missionario in terra pagana. Nel territorio di Tiro guarisce
la figlia di una donna pagana colma di fede (7,24-30). Poi, evitando
la terra dIsraele, ritornano nei territori pagani della
Decapoli dove Gesù guarisce un sordomuto e compie la seconda
moltiplicazione dei pani, con la solita incomprensione dei discepoli
(7,31-8,10), i quali imparano che per Gesù anche le frontiere
tra i popoli debbono cadere. Poi salgono sulla barca e ritornano
in terra dIsraele.
Farisei e Gesù (8,11-13)
Quando arrivarono a Dalmanuta, «i farisei uscirono incontro
a Gesù e incominciarono a discutere con lui: gli chiedevano
un segno dal cielo per metterlo alla prova. Gesù gemette
nel suo spirito e disse: Ma perché questa gente
chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato
nessun segno a questa gente. E, abbandonatili, risalì
in barca e se ne andò sullaltra riva». Gesù,
geme, cioè cè sofferenza in lui.
Egli sa già che è perfettamente inutile che egli
dia loro un segno: nulla li convincerà. Il motivo è
semplice: la sua idea messianica e la loro sono diametralmente
opposte. Essi aspettano un Messia politico, dominatore, un Messia
che venga a instaurare il regno di Dio mediante prodigi che rivelino
al massimo la potenza di Dio e del suo inviato. Ora, pensando
a come fin qui Gesù si è manifestato, dobbiamo
piuttosto dire che egli come Messia rivela tutta la debolezza
e lumiltà dellamore kenotico di Dio, cioè
quello svuotarsi, quellabbassarsi di Dio verso di noi,
infinitamente rispettoso della nostra libertà umana. Egli
sa che questo modo di realizzare il Regno di Dio
è un assurdo per i farisei. Per loro un tale messianismo
è inammissibile. Perciò, abbandonatili
(il verbo è duro e dice rottura), risale sulla barca.
Solo con i discepoli (8,14-21)
Il racconto inizia dicendo che i discepoli si erano dimenticati
di prendere dei pani, ne avevano uno solo. E Gesù
dice loro: «Guardatevi dal lievito dei farisei».
È logico che essi, sentendo Gesù, pensino innanzitutto
al pane materiale. Sono gente semplice; per loro
è sempre in primo piano la concretezza del vivere quotidiano.
Le discussioni messianiche di Gesù con i farisei sono
troppo difficili per loro. Perciò non riescono a capire
che Gesù parlando di lievito intende dire
loro di non lasciarsi influenzare dallinsegnamento dei
farisei, di abbandonare coloro che essi hanno sempre considerato
come le vere guide spirituali di Israele. Gesù li ha messi
di fronte a una scelta; si tratta di rompere con il passato da
loro tanto amato. Ma si accorge di non essere capito. Di qui
il suo sfogo: «Ma perché discutete che non avete
pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?
Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi
ricordate quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila,
quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero:
Dodici. E quando ho spezzato i sette pani per
i quattromila, quante sporte di pezzi avete portato via?.
Gli dissero: Sette. Ed egli disse loro: E ancora
non capite?.
Lincomprensione dei discepoli è totale. I fatti
li ricordano; sanno che Gesù ha moltiplicato due volte
il pane, ma non riescono a capire che può moltiplicare
anche lunico pane che hanno. Pensando al loro atteggiamento
ci si accorge che finora non hanno mai dato un giudizio su Gesù.
Hanno occhi ma non vedono e non capiscono. Una constatazione,
che già abbiamo fatto, ci conferma che luomo da
solo non ce la fa a capire chi è Gesù, ha bisogno
di essere illuminato. È in questo contesto che si narra
la guarigione del cieco di Betsaida (8,22-25), il
cui racconto è un po strano, perché sembra
che Gesù non riesca a fare il miracolo: gli tocca gli
occhi e il cieco dice che ci vede solo un po; glieli tocca
di nuovo e ci vede bene. Nel contesto si impone una lettura simbolica
di questa guarigione. Sono i discepoli che hanno bisogno di essere
toccati sugli occhi per vedere e forse Gesù lo ha fatto,
perché ora qualcosa capiscono.
Tu
sei il Cristo
Si diressero verso Cesarea
di Filippo. «Durante il cammino Gesù interrogava
i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia?
Gli risposero: Giovanni Battista, altri Elia, altri uno
dei profeti. E Gesù a loro: Ma per voi chi
sono io?. Gli rispose Pietro: Tu sei il Cristo».
Questo è il primo giudizio che i discepoli pronunciano
su Gesù: dicono chi è per loro Gesù. Distanziandosi
dalla gente e dai farisei accettano il modo di essere Messia
di Gesù e fanno il loro primo atto di fede; scelgono di
credere in Gesù, di stare con Gesù. Anche se come
il cieco di Betsaida incominciano solo a vedere qualcosa
di Gesù. Fermiamoci con gioia su questo dato positivo,
che nasce da un lungo e travagliato cammino con Gesù.
Labbiamo compiuto con loro; perciò diciamo anche
noi con loro: Tu sei il Cristo.
Preghiamo
Come sei
liberante, Signore Gesù! Ci liberi da tante cose inutili
e ci insegni a vivere con semplicità lessenziale
e a viverlo con il cuore. Come hai cercato di liberare i tuoi
primi discepoli da tante tradizioni o abitudini che impediscono
di accogliere la novità del Vangelo e di sentire che anche
gli altri contano nella loro vita, qualunque sia la loro situazione
di fronte a Dio, così, oggi, continua a liberare le nostre
comunità quando corrono il pericolo di diventare un ghetto,
quando si chiudono narcisisticamente in se stesse; fa che
non vedano ovunque pericoli, ma solo persone che hanno bisogno
di incontro, di dialogo, per costruire unumanità
in cui il cuore conta. Signore, solo se continui a insegnarci
che la fede è questione di cuore, allora sì che
saremo aperti a tutti e potremo costruire unumanità
nuova.
Signore, mentre rimproveri i tuoi discepoli, sento la tua sofferenza,
ma anche il tuo amore per loro. Sai di non essere capito, ma
sai anche che ti amano perché continuano a rimanere con
te. Forse cè tanta speranza in loro e si sforzano
di capire chi sei e tu, di sfuggita, illumini i loro
occhi ed ecco che finalmente dicono chi sei per loro: il Cristo!
Signore, anche noi abbiamo bisogno di luce. Illuminaci sempre
quando leggiamo il tuo Vangelo. Amen.
Mario Galizzi SDB
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-8
VISITA Nr.