IL MESSIA SOFFERENTE
I discepoli sono oramai convinti che Gesù è il Messia e lo costateranno nella nuova sezione in cui discuteranno sui posti che essi occuperanno nel regno messianico. Però non li vedremo mai in perfetta sintonia con Gesù. La cosa veramente bella è che ora sentiremo il senso comunitario del loro vivere con Gesù: i problemi si discutono insieme e noi contempleremo con quale fatica (e senza riuscirci), Gesù cercherà di far loro capire in che senso è Messia e con ancor più fatica (e forse non lo abbiamo ancora capito neppure noi) come Egli vede la sua Chiesa.
I due temi si intrecciano nella seconda e terza parte di questa sezione, dominata da tre annunci di passione.
Leggiamo interamente il primo (8,31-33), ripreso nella sua essenzialità dagli altri due, ed evidenziamo due dati importanti: «E cominciò ad insegnar loro che il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai gran sacerdoti e dagli scribi ed essere ucciso e dopo tre giorni risorgere. Pietro si ribellò ma Gesù gli disse: “Tu non pensi come Dio”».

I discepoli di fronte alla rivelazione (8,31)

Gesù, rivelandosi Messia sofferente, non nega mai di essere il Messia davidico (unica cosa accettabile dai discepoli), ma legge la sua missione nel contesto di tutta la Scrittura, partendo dalla situazione concreta in cui si trova. Per questo, Gesù si presenta come il Figlio dell’Uomo descritto dal Profeta Daniele, rappresentante del popolo dei santi, che riceverà ogni potere solo dopo essere passato attraverso la persecuzione (Dn 7, 13-14.25-27) e afferma che così “la pensa Dio”. Inizia, infatti, dicendo: «deve», un “deve” che non indica un fatale ed inevitabile destino, come nella lingua greca, ma che è notificazione del volere divino che indica all’uomo quel fine che corrisponde alla sua intenzione salvifica. Gesù sa di pensarla come il Padre e perciò intende ubbidire.
Non così Pietro. Per la formazione ricevuta era un assurdo pensare a un Messia sofferente e, dato il suo carattere, non poteva reagire diversamente: No! No!
Gesù guarda i suoi discepoli e con bontà dice a Pietro: «Non fare la parte di Satana, il tentatore! Riprendi il tuo posto dietro a me. Il discepolo non si impone al suo Maestro, lo segue e, a poco a poco, imparerà a pensarla come Dio».
Ma si tratta di scegliere! Ed è quello che Gesù vuole. Ora i discepoli sanno come Egli intende vivere la sua missione. Per questo dice loro quali sono le condizioni per essere suoi discepoli: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (o la smetta di pensare a se stesso), prenda la sua croce e mi segua (9,34). Con queste parole, mette i discepoli di fronte ad una scelta. Questa deve essere ben pensata. Bisogna prepararsi ed è questo quello che Gesù farà; ancor più si farà aiutare dal Padre che sul monte della Trasfigurazione dirà ai discepoli: «Ascoltatelo!».
Letto nella luce del discepolato, il racconto della Trasfigurazione è fantastico. Chi parla è solo Pietro e una voce dal cielo, il Padre. Pietro vuole fermare la storia, ma quando entra nella nube si accorge di essere a contatto col divino: la voce parla solo di Gesù e l’imperativo: “Ascoltatelo”, si riferisce solo a Gesù che alla fine è lì solo. È l’unico che deve essere ascoltato.
Gesù gli aveva detto: «Riprendi il tuo posto di discepolo dietro a me (e ti insegnerò) a pensarla come Dio». L’imperativo: Ascoltatelo, conferma la voce di Gesù e stavolta Pietro e gli altri ubbidiscono. Scendendo dal monte, ascoltano Gesù e gli ubbidiscono. Non diranno niente di quanto è avvenuto sul monte se non dopo la Risurrezione di Gesù.
Questa sottolineatura ha una importanza unica nel tema della conoscenza di Gesù. Essa dice che solo il Padre può rivelare chi è Gesù e che questa piena rivelazione dell’identità profonda di Gesù sarà possibile solo dopo la sua Risurrezione, un termine incomprensibile per i discepoli (9,10). Prima che ciò avvenga, per i discepoli è sufficiente che continuino a seguire Gesù e ad ascoltarlo. Ed è ciò che essi subito fanno e continueranno a fare sino alla sua cattura nell’orto del Getsemani (vedi l’articolo del mese di marzo). Scendendo dal monte sono, infatti, in dialogo con Gesù (9,9-13). E lo sono anche quando si riuniscono agli altri discepoli che non erano saliti con loro sulla montagna. Li trovano circondati da tanta gente che discute con loro e quando Gesù chiede il motivo di tanta discussione, un padre di famiglia dice a Gesù: «I tuoi discepoli non sono riusciti a scacciare il demonio da mio figlio». Gesù lo scaccia, ma quando sono da soli in casa, i discepoli chiedono a Gesù: «Perché non siamo riusciti?». Risponde Gesù: «Perché non avete pregato!». Il discepolo che non prega è annullato nella sua missione (9,14-29).

In ascolto ed in dialogo (9,30-10,31)

«Gesù e i discepoli stavano attraversando la Galilea e non volevano che qualcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli» (9,30). È ciò che ora si espone in tutta questa piccola sezione in cui Gesù è sempre insieme con i suoi discepoli. È la piccola comunità di Gesù che ora contempliamo. È vero che i discepoli poche volte sono in sintonia con Gesù, però lo ascoltano e non lo contraddicono mai apertamente.
Tutto ha inizio con il secondo annuncio di passione: «Il Figlio dell’Uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (9,31). I discepoli però non capiscono quel che diceva. Meglio, “non volevano capire”, e peggio ancora: “avevano paura di interrogarlo”. È chiaro infatti, che parlava della sua morte e già sapevano che accettare un Messia sofferente implicava delle responsabilità (8,34). Scelsero di non parlare di ciò e di cambiare discorso. Si ha l’impressione che sulla strada c’è un materiale distacco fra Gesù e i discepoli, ma Gesù, lasciato solo, non ha le orecchie chiuse.
Giungono a casa (9,33) e Gesù chiede loro: «Di che cosa discutevate durante il cammino? Ma essi tacevano». Parlavano del primo posto nel regno messianico e già sapevano che un simile discorso non coincideva con il pensiero di Gesù, il suo comportamento portava su un’altra linea. Allora, Gesù, di sua iniziativa mette sotto discussione il tema e lo fa con solennità: «Si sedette e chiamò i Dodici attorno a Sé». E quello che dice loro è il capovolgimento dei valori su cui era strutturata la società di allora e di oggi e, diciamolo pure, anche delle sue comunità moderne: «Se qualcuno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (9,35). È il modo più efficace per vivere l’imperativo: «Rinneghi se stesso» o «la smetta di pensare a se stesso», cerchi di accorgersi degli altri, cerchi l’incontro, si faccia prossimo, si senta fratello. Dicendo questo, descrive come Lui, il Maestro, è vissuto e vive.
Per Gesù, il servizio diventa l’unico criterio per la vera grandezza. Non c’è nessun’altra attività che possa portare a una posizione più alta. Chi serve è il primo in senso assoluto e lo è soprattutto quando si servono i piccoli. Chi fa questo in quel momento accoglie Gesù e il Padre (9,37).

Gioire del bene

Giovanni, forse un po’ distratto, porta la discussione su un altro argomento, senza uscire dal tema: “comunità” che egli concepisce come qualcosa di unico e monolitico. Dice a Gesù: «Abbiamo visto un tale che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito perché non era dei nostri. E Gesù: “Non glielo impedite”». È chiaro: la comunità non ha il monopolio del bene. Dove c’è un po’ di bene, lì c’è l’azione di Dio e quelli che fanno il bene sono in comunione tra loro. Basta prenderne atto e gioire. Così anche all’interno della comunità, il primo dovere è di non impedire il bene (9,38-40).
Su questa linea il discorso di Gesù continua con parole facili (9,41-50). Da esso traspare il volto del vero discepolo.
Ad un certo punto, vanno oltre il Giordano e pare che durante il cammino ci sia un incontro con i farisei. Stavolta si discute sul divorzio (10,1-9). Per il nostro caso è interessante notare che i discepoli sentono tutte le difficoltà di un simile tema ed è bello vedere che tornati in casa facciano delle domande a Gesù. Marco riferisce solo l’essenziale delle risposte: «Chi ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio» (10,10-12).
Poi, mentre sono di nuovo in cammino, un tale si avvicinò a Gesù che gli dice: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e poi vieni e seguimi. Quello se ne andò triste perché era troppo ricco». L’episodio (10,17-18) servì a Gesù per affrontare con i suoi discepoli il tema ricchezza-salvezza. «Com’è difficile per coloro che hanno ricchezze entrare nel regno di Dio» (10,23). Pietro, che ha udito bene il “va’ e vendi tutto”, dice a Gesù: «Ecco, noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito». Potrebbe aggiungere “e condividiamo tutto con te, formando la tua comunità”, però si guarda bene dal toccare il tema “sofferenza”. Ma lo fa Gesù: “Chi fa così si troverà anche nella persecuzione, ma sentirà tutta la bellezza di una comunità di fede formata da tanti fratelli, sorelle, madri e figli, tutti riuniti dalla bontà di un solo Padre”. Gli Atti degli Apostoli offrono l’esempio di una piccola comunità in cui tutto era in comune e nella storia l’hanno vissuto e lo vivono certe famiglie religiose. Ma si è sempre ben lontani dagli ideali di Gesù.

Gesù servo (10,32-45)

L’introduzione al terzo annuncio di passione offre una chiara immagine della relazione Gesù-discepoli. «Gesù li precedeva (segno di distacco), ma essi, i discepoli, erano spaventati e alcuni lo seguivano con paura». È chiaro che Gesù cammina deciso verso il suo destino ed è altrettanto chiaro che i discepoli non riescono a distaccarsi da Lui: gli hanno appena detto: «Noi ti abbiamo seguito» (10,28). È logico che non possano tirarsi indietro e sono colti da quello spavento e paura che lo stesso Gesù avrà nel Getsemani. È cosa normale di fronte alla sofferenza.
Gesù rallenta il passo in modo da avere attorno a Sé i Dodici e poi per la terza volta, con la massima chiarezza, dice quello che gli accadrà a Gerusalemme: «Sarà consegnato ai gran sacerdoti, questi lo consegneranno ai pagani e questi lo scherniranno, gli sputeranno addosso e lo uccideranno. Ma dopo tre giorni risorgerà» (10,33-34). I discepoli ascoltano, non possono fare a meno, ma che cosa avviene subito dopo? Giacomo e Giovanni si avvicinano a Gesù e gli chiedono il primo e il secondo posto nel suo regno. Sanno, sono convinti che è il Messia, ma per loro il Messia sofferente è inconcepibile. Essi sanno solo che il Messia è il portatore del Regno e in un Regno c’è chi occupa il primo e il secondo posto e questo deve essere loro. Giacomo e Giovanni sono due veri arrivisti. Ma dove c’è l’arrivismo c’è la discordia. Gli altri, infatti, si arrabbiano contro di loro (10,41).
Gesù li chiama e presenta loro lo spettacolo di chi governa: la fanno da tiranni, fanno sentire il loro potere. «Ma tra voi non sia così». Quanto segue non può essere toccato da nessuna interpretazione: «Chi tra voi vuole essere grande, sia il vostro servo e chi vuole essere il primo, sia lo schiavo di tutti» (10,43-44). Tutti sentiamo quanto queste parole risuonino contestatrici nella Chiesa. Quando nelle sue strutture ci si comporta come nelle strutture secolari. È urgente continuare a convertirsi affinché Gesù servo si riveli in tutti i suoi discepoli. Quel che Gesù dice di Sé: «Io sono venuto per servire e dare la vita per la salvezza di tutti» è l’immagine più vera dell’autentico discepolo. Per riuscire in questo, la preghiera più bella è quella del cieco di Gerico: «Maestro, che io veda» (10,51).

Preghiamo
Abbà, Papà! Come è stato bello ubbidirti e ascoltare tuo Figlio, tutto dedito alla formazione dei suoi discepoli. Nel suo modo di agire e di parlare è un’autentica rivelazione della tua bontà. Egli, infatti, presentandosi come Messia sofferente, ci insegna che non si può compiere la propria missione di salvezza se non si è disposti a donare la vita. È questo che tu, Signore Gesù, hai cercato di far capire ai tuoi discepoli, ritornando più volte sul tema della tua passione. Ma non hanno voluto capire, avevano paura e sfuggivano dall’argomento. Ma tu, Signore, con bontà, lo hai insinuato ovunque, soprattutto quando hai presentato il potere nella tua comunità come un servizio e quando parli di te come “servo che dà la vita”. I tuoi discepoli allora, non volevano ascoltare, ma dopo la tua Risurrezione ti imiteranno e tutti daranno la vita per te, tutti vivranno il tuo invito: “Chi darà la sua vita per me e per l’annuncio del Vangelo, la riavrà” (8,34). Signore, che questa tua parola si incida profondamente nel mio cuore. Amen.

                      
                                                  Mario Galizzi SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-9
VISITA
 Nr.