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COME SI PRESENTA IL CRISTIANO

Nell’anno 2000 abbiamo cercato di spiegare “Chi è e come si forma il cristiano”. Perciò già sappiamo che il cristiano è “discepolo” e “testimone” di Gesù e che per essere tali bisogna lasciarsi formare dallo Spirito Santo; o, come ha detto Gesù, “essere rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49), “essere battezzati in Spirito Santo” (At 1,5). È lo Spirito Santo, infatti, che ci immerge nella storia della salvezza e ci dona il coraggio, l’ardore, l’audacia di testimoniare Gesù e il suo Vangelo, e di vivere imitando Gesù.
“Imitare Gesù”: è questo in concreto ciò che abbiamo cercato di imparare un po’ nell’anno 2001. È impossibile esaurire in pochi articoletti un simile tema, ma pensiamo di essere riusciti a offrire un metodo di lettura del Vangelo. Ci siamo limitati a cogliere Gesù in 12 tipici aspetti della sua vita, a contemplarlo nella sua esperienza umana e a vedere come imitarlo nella nostra vita. Se ciò che abbiamo detto ha fatto del bene, esortiamo il lettore a continuare da solo una tale esperienza e a chiedersi, leggendo in continuità il Vangelo: “chi è Gesù”, per poi confrontarsi con lui, pregando. Si tratta di un lavorìo spirituale che consiste nel collaborare con l’agire di Dio-Padre, il quale “ha deciso di renderci simili all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).
Ora, in questo nuovo anno 2002, vogliamo chiederci: Come si presenta il cristiano? Cioè: “In che modo egli rende visibile la sua identità cristiana?”. Una risposta a questa domanda si trova nella Lettera di Paolo ai cristiani della Galazia (5,16-17.19-23): «16 Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. 17 La carne infatti ha desideri contrari allo spirito 18 e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quel che volete... 19 Sono infatti assai evidenti le opere della carne: fornicazione, impurità, libertinaggio, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21 invidie, sette, ubriachezze, orge e cose come queste. 22 Il frutto dello Spirito invece è amore che esprime gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è legge».

Le opere della carne e il frutto dello Spirito

Chi di noi non si sente immerso in una continua lotta tra il bene e il male? Chi di noi non sente a volte quanto sia vera la parola di Paolo: “voi non fate quel che volete”? Quando parla di questa situazione nella Lettera ai Romani, usa l’“io”, perché si sente anch’egli immerso nella stessa situazione. Dice infatti: «Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18s).
Nella pagina, che stiamo meditando, l’“io” è indicato con la parola “spirito” minuscola, ma, come nella Lettera ai Romani, è chiaro che si prende atto di quella dualità che c’è in noi. Infatti i desideri della carne, di me carnale, di me “egoista”, mi spingono in continuità verso il male e si oppongono ai desideri di me “spirito”, cioè della parte migliore di me stesso, che desidera solo il bene. La lotta tra i due desideri dovrebbe essere alla pari, e invece costatiamo che non abbiamo la capacità di fare il bene: è la carne, l’egoismo, la ricerca di se stessi che hanno il sopravvento.
E questo è visibile soprattutto nella società umana. Se osserviamo il mondo in cui viviamo, ci sembra (ci sembra, ma non è così) che lo spirito sia totalmente annullato e che noi viviamo immersi nelle “opere della carne” senza via d’uscita. L’elenco che ne fa Paolo non è certo completo, perché finisce dicendo: «... e cose del genere», come se dicessimo: «eccetera, eccetera» al superlativo. Non spaventiamoci; non lasciamoci travolgere dal pessimismo. Leggiamole queste opere della carne, sorretti dallo Spirito Santo, e sentiremo quale compito di bene ci affida il Signore; poi passeremo al “frutto dello Spirito”.
L’elenco inizia con i comuni vizi di ordine sessuale: la fornicazione, che comprende ogni tipo di rapporto sessuale illegittimo; segue l’impurità che non è circoscritta ai peccaminosi atti sessuali: essa comprende anche l’animo, per cui ci si sente “totalmente sporchi”; viene poi il libertinaggio, un termine con il quale si vuole indicare la sfrenatezza di una vita che si perde senza controllo negli istinti carnali: è il disordine totale, è il sovvertimento radicale della realtà, perché è il corpo, il culto del corpo, nella sfrenatezza dei suoi desideri, che Paolo vuole condannare. Di qui l’idolatria, il sovvertimento dell’ordine religioso, per cui “si adorano e servono le creature, anziché il Creatore” (Rm 1,25) e poi le “stregonerie” o “malefizi”, un termine che oggi sarebbe meglio tradurre con “droghe”, con le quali ci si esalta nello sfogo dei propri desideri.
Seguono altri termini molto significativi perché indicano che dal sovvertimento dell’ordine religioso si passa allo sconvolgimento dell’ordine socia-
le. Leggendo le seguenti parole: “inimicizie, discordia, gelosia, sfoghi di ira, intrighi, scissioni, fazioni, invidie”, ci sembra di vedere un’ondata orribile che dilaga nel mondo, sconvolgendo non solo la società umana, ma anche la vita stessa della comunità cristiana, dissolvendo la sua unità.
La Chiesa (la comunità dei credenti) invisibilmente è una, ed è formata da tutti coloro che “in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1,2). «“Credo la Chiesa una”: essa – dice il Papa – ha il suo fondamento ultimo in Cristo, nel quale la Chiesa non è divisa (1 Cor 1,11-13). In quanto suo corpo, nell’unità prodotta dal dono dello Spirito, essa è indivisibile. La realtà della divisione si genera sul terreno della storia».1
Ma da che cosa nasce la divisione? Dai vizi, distruttori della vita e in particolare – ci si permetta il termine greco – dall’“eritheía”, che indica originariamente gli intrighi politici, in concreto gli intriganti politici che si procurano uffici mediante influenze irregolari. Ora, nel Nuovo Testamento, l’eritheía, senza perdere il suo carattere politico, tende a caratterizzare quella presa di posizione parziale e litigiosa che è tipica degli intriganti ecclesiali nella comunità e che causa scissioni, fazioni e sette. L’ultimo termine indica quelle formazioni di gruppi o scuole che contraddicono l’unità della Chiesa.
Non soffermiamoci sugli ultimi vizi elencati: ubriachezze, orge e cose del genere, che sono (diciamo) di ordine comune. L’insistenza di Paolo è su quei gravi peccati che minano l’unità della comunità. Come contrastarli? Ce lo dice Paolo con una incisiva frase:

“Camminate secondo lo Spirito”

“Spirito” maiuscolo, perché si tratta dello Spirito Santo il cui “frutto” è quell’“amore che Dio ha effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Alle “opere” al plurale, indice di dispersione totale dell’uomo e della comunità, si oppone un “unico frutto” che matura sotto l’azione dello Spirito e che conduce sempre il credente alla vera comunione con Dio e i fratelli. Quest’unico frutto è l’Amore, un termine altamente attivo: amore di Dio, di Cristo, di me stesso e del prossimo. Solo immergendomi, immedesimandomi, nell’amore di Dio e di Cristo, amo davvero me stesso, e mi metto nella situazione ideale e unica di amare il prossimo come me stesso, cioè di amarlo come Dio e Cristo mi amano.
Paolo, parlando di un “unico frutto”, esprime quanto egli desideri quell’“essere uno” dei credenti, che Cristo ha invocato nella sua preghiera sacerdotale e lancia la sua dura condanna contro quei “tali che gettano il turbamento tra i cristiani della Galazia e che pervertono l’unico Vangelo” (vedi Gal 1,7). Farà lo stesso più tardi contro le fazioni che ci sono nella Chiesa di Corinto e che dividono Cristo (1Cor 1,11s); esse sono causate da coloro che “si mascherano da apostoli di Cristo” (2 Cor 11,13) o che “predicano Cristo con spirito di rivalità” (Fil 1,17), cioè per primeggiare, per porre in risalto la propria persona. Sono quegli “intriganti ecclesiali” che si lasciano dominare dai “desideri della carne” e che portano morte. Chi invece “cammina secondo lo Spirito” e si lascia da lui educare, possiede quell’amore che si apre agli altri e che è donatore di vita.
L’amore è uno ed è costruttore di comunità e di comunione nella comunità. Solo quando i cristiani sapranno vivere l’amore, dono dello Spirito, la Chiesa sarà visibilmente una. “Unico è il frutto”. Non ci piace affatto, come molti fanno, usare l’espressione: “frutti dello Spirito” per indicare tutti i termini che seguono la parola “amore”. Perciò, per eliminare tale espressione abbiamo tradotto così: «Il frutto dello Spirito è amore che esprime gioia, pace, longanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé», e anche qui si potrebbe aggiungere: ecc. ecc. Basta leggere l’intero vocabolario paolino per capire che cosa significa la parola “amore”. L’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori è “uno”, ma ha tante sfumature e sprigiona raggi di luce che fanno assumere all’uomo spirituale la sua vera fisionomia che poi si manifesta in tanti atteggiamenti, che diventano fonte di bene per gli altri.
Sono infinite le espressioni dell’amore e sono infiniti gli atteggiamenti di chi possiede “l’amore che Dio ha effuso nel suo cuore”. Paolo ne cita alcuni: innanzitutto la “gioia” che, emanando dall’amore, trascende ogni gioia naturale e diffonde attorno a sé un senso di “serenità” anche nei giorni difficili e in situazioni penose. Viene poi quella “pace” che solo il Signore può dare perché è armonia, riconciliazione con Dio e con il prossimo. Segue la “longanimità” che si manifesta nel rispetto e nel perdono reciproco, nella posposizione dei propri diritti per incontrare meglio l’altro. Di qui la “benevolenza”, quel “voler bene” che è proprio di una persona amabile, affabile, gentile e generosa. Un po’ diverso è il raggio di luce della “bontà” che è sempre un modo di voler bene, ma a volte è privo – dice san Girolamo – di certe note gioiose. Molto importante è la “fedeltà” che caratterizza chi sa mantenere le promesse o gli impegni e che perciò è leale, sincero e che ispira fiducia negli altri. Come penultimo, nell’elenco di Paolo, c’è la “mitezza”. Per capirla basta osservare e ascoltare Gesù che dice: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore». Il mite sa rendere facili le relazioni con gli altri perché in lui manca ogni senso di durezza, imposizione o violenza, mentre abbonda nella sopportazione. E infine ecco un raggio di luce, che emana dall’amore e che è colmo di fulgore: il “dominio di sé”, l’autocontrollo, l’imperturbabilità in qualsiasi situazione di vita. È questo che assicura un leale rapporto con Dio e con i fratelli e che permette di superare ogni difficoltà.
Nei prossimi articoli li esamineremo uno a uno questi raggi di luce. Essi fanno sentire che non tutto è ombra in questo mondo. C’è del bene nel mondo; c’è del bene in ogni persona. È il nostro pessimismo che non ci permette di vedere e di scoprire che Dio è “grande nell’amore e che la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 145,9). È con questa fede che dobbiamo ogni giorno accogliere l’amore che Dio, sin dall’inizio della nostra vita cristiana, ha effuso nel nostro cuore. Solo chi lo accoglie e vive ha la certezza di vincere tutti i desideri della carne e può dire con Paolo: «Chi mai mi potrà separare dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione o l’angoscia, la persecuzione o la fame, la nudità, i pericoli, la morte? No! Perché in tutte queste cose noi stravinciamo per mezzo di Colui che ci amò” (Rm 8,35.37).



Preghiamo

O Spirito Santo, ospite dolce dell’anima, agisci con tutta la tua potenza in noi e fa’ maturare in noi il tuo unico frutto, perché l’amore espanda attorno a noi tutta la sua fragranza e il suo fulgore. Solo così si renderà visibile la vera fisionomia del nostro essere discepoli e testimoni del Signore Gesù. Solo così riusciremo a vincere, prima in noi stessi, e poi nel mondo, i desideri della carne e avere la certezza di una sicura vittoria. Facci sentire la gioia di essere cristiani; donaci anche nelle più dure difficoltà quella serenità di spirito che faccia sentire a tutti quanto sia bello essere cristiani. Amen!
                                                                        Mario Galizzi SDB

1 Lettera Apostolica: Novo Millenio Ineunte, n. 48.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-1
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