IL VANGELO DI MARCO
Il 1o dicembre 2002 è iniziato il nuovo anno liturgico. In esso per 36 domeniche sentiremo proclamare il “Vangelo secondo Marco”. Per aiutare i lettori o ascoltatori nella comprensione di questo Vangelo, ne facciamo una breve presentazione che vuole innanzitutto rispondere alla domanda: “Perché Marco ha scritto il suo Vangelo?”. Ora, nessuno si meravigli se rispondiamo iniziando dall’ultima frase del suo Vangelo: “Le donne (quelle che il mattino di Pasqua erano andate al sepolcro e udirono per prime l’annunzio della resurrezione) fuggirono dal sepolcro perché erano piene di spavento e stupore e non dissero niente a nessuno perché avevano paura” (16,8). Un’affermazione unica e sorprendente, totalmente opposta ad una più che molteplice affermazione. Qualche amanuense ha sentito fastidio di fronte a questo finale e ha aggiunto i vv. 9-20. Altri dicono che Marco abbia voluto con questa frase lasciare al fatto della Resurrezione tutto il suo alone di mistero, mentre altri, a ragione, sostengono che questa affermazione rifletta la situazione della comunità di Marco, la quale sottomessa alla persecuzione ha paura di testimoniare e di annunciare il Vangelo. Era possibile aiutare la comunità a reagire?
Per Marco c’era un solo modo: aiutarla a riflettere sull’evento-Gesù e sulle relazioni dei primi discepoli con Gesù, ripercorrendo l’itinerario di fede compiuto da quei discepoli che dopo la Pasqua hanno testimoniato la loro fede fino al sangue. Anche per loro non fu facile seguire Gesù, anzi fu assai duro assumere la responsabilità dell’annuncio del Vangelo. Eppure essi, dopo tanti tentennamenti, hanno capito che era necessario e che valeva la pena annunciare al mondo, fino al martirio, che Gesù era (è) il Cristo e il Figlio di Dio (1,1: titolo del Vangelo secondo Marco). Solo risvegliando questa fede nella sua comunità e descrivendo il cammino di fede dei primi discepoli, Marco pensa di riuscire a raggiungere il suo scopo e a far sì che i paurosi discepoli della sua comunità ridiventino veri discepoli, veri testimoni di Cristo anche in un clima di persecuzione.
Non è questo ciò di cui abbiamo bisogno nel mondo d’oggi, così scristianizzato? Perché noi cristiani abbiamo così paura di dire la nostra fede? Per questo sentiamo il bisogno di fare una presentazione del Vangelo secondo Marco ripercorrendo l’itinerario di fede compiuto dai primi discepoli. È l’unico mezzo per riprendere coscienza del nostro essere cristiani, per rimotivare la nostra vita cristiana e ottenere dallo Spirito la forza e il coraggio di una vera testimonianza. Il metodo è facile: ascoltando o leggendo il Vangelo, fissiamo contemporaneamente lo sguardo su Gesù e sui discepoli. E senz’altro ci ritroveremo in loro. Quello che Marco scrive su di loro non può averlo inventato e tanto meno può averlo inventato la comunità cristiana che venerava i primi discepoli come martiri. Sono essi che ci dicono quanto è loro costato diventare discepoli di Gesù. Il loro travaglio ha tutte le caratteristiche di un’autentica storicità. E allora osserviamo...

... il cammino dei discepoli

L’inizio è fantastico. Ai primi quattro chiamati (1,16-20) Gesù prospetta loro un nuovo avvenire: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Gesù li chiama per una missione. Ma non li manda subito allo sbaraglio; prima li vuole formare. Il “vi farò pescatori di uomini” è al futuro. Per ora debbono solo seguirlo. Egli, infatti, li vuole prima formare, non come un maestro che si limita a dare loro degli insegnamenti, ma come uno che insegna un modo di vivere. Per questo debbono seguirlo in continuità, osservare come fa lui; porsi delle domande sulla sua identità, cercare di capire chi è e di entrare nel suo modo di vedere, nei suoi ideali e assumere il suo modo di fare. Insomma, c’è un cammino da fare.
All’inizio tutto è bello: quanto entusiasmo quando nella sinagoga di Cafarnao (1,21-28) Gesù insegna con autorità; persino gli spiriti impuri gli ubbidiscono: è più di un maestro; questo titolo non esaurisce però la sua identità. E poi alla fine della giornata (1,29-39), quando tutta la città accorre a lui, la loro meraviglia giunge al colmo. Ma al mattino seguente, quale sconcerto! Gesù non era più con loro. Se n’era andato a pregare tutto solo. Lo cercano e quando lo trovano gli dicono: “Ma tutti ti cercano!”. E Gesù, che non si fida dell’entusiasmo dice loro: “Andiamocene altrove”. L’unica cosa che interessa a Gesù è la sua missione; e mentre se ne va, ecco un lebbroso (1,40-45) che si avvicina a lui, e Gesù, violando la legge, lo tocca e lo guarisce. Per Gesù quando si tratta di fare il bene non c’è legge che tenga. Questo imparano i discepoli.

Rompere con la propria storia

Ritornati a Cafarnao (2,1-12), mentre sono in casa, vedono che gli calano un paralitico davanti e sentono Gesù che dice: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. E alcuni dei presenti dicono: “Bestemmia”. Poi (2,13-17), passando per la strada, Gesù vede Levi un esattore di tasse, cioè un pubblico peccatore e gli dice: “Seguimi!” e va a casa sua a cenare con tanti pubblici peccatori come lui, mentre i farisei mormorano. I discepoli (2,18-22) si accorgono che la critica incomincia a demolire Gesù e che non sempre va bene a chi lo segue. Infatti, anche loro sono criticati perché non digiunano e non osservano il sabato. Ma neppure Gesù lo osserva (2,23-3,6). Infatti guarisce uno che ha la mano paralizzata in giorno di sabato; ed essi imparano che essere discepoli significa non emarginare nessuno e che bisogna fare del bene a tutti senza badare a certe regole. Per i discepoli è un mondo che incomincia a sgretolarsi: le vecchie regole, le tradizioni saltano. Forse per seguire Gesù è probabile che bisogna rompere anche con la propria storia.
E la critica contro Gesù si acuisce (3,20-35). Gli avversari, già decisi a farlo fuori (3,6), dicono che “è fuori di sé... che è un indemoniato”. I discepoli osservano Gesù e si accorgono che non si arrabbia, ma che cerca il dialogo. Infatti egli vuole fare del bene anche ai suoi nemici. E capiscono anche che li ha chiamati “perché stessero con lui” (3,14). L’apostolato è ancora lontano. Ora debbono intensificare la comunione con lui, cercare di capirlo sempre di più e diventare suoi familiari, ascoltando e mettendo in pratica la sua parola che rende tutti fratelli e sorelle in lui, cioè formare con lui una vera famiglia (3,31-35). Incomincia a crearsi un vero clima di comunione, di famiglia, di dialogo: quando sono soli con Gesù, egli spiega loro ogni cosa (c. 4). Ma c’è sempre qualcosa che non va. Quando infatti Gesù calma la tempesta, essi si spaventano e si accorgono che non riescono a capirlo: “Ma chi è costui? Anche il vento e il mare gli ubbidiscono!”. Però lo seguono e si sforzano di penetrare sempre di più nel suo mistero.

Al di là di ogni rifiuto

La rivelazione continua a ritmo serrato. Gesù appare loro (capitolo 5) come colui che vince una legione di demoni, come uno che non solo guarisce, ma che salva, perché all’emorroissa dice: “La tua fede ti ha salvata”, e poi come uno che dona la vita alla figlia di Giairo. Ed essi capiscono che il titolo che più si addice a Gesù è quello di “Salvatore”. Eppure, la sua gente, i Nazaretani lo rifiutano (6,1-6). Ma Gesù non fa caso al rifiuto e continua ad annunziare a tutti il Vangelo. Ciò è importante per una comunità come quella di Marco che ha paura. Ed è anche formativo per i primi discepoli che ora vengono mandati a fare un primo assaggio di apostolato. Gesù dice loro che se sono rifiutati se ne vadano altrove, proprio come fa lui (6,6b-13).
Quando poi ritornano, Gesù, vedendoli stanchi, dice loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo solitario e riposatevi un po’”. Si noti: “in disparte”, “voi soli” e più tardi “in casa”. Sono espressioni che da 6,31 fino alla fine del capitolo 10, si ripeteranno molte volte. Esse indicano la comunità che si raccoglie attorno a Gesù. I discepoli hanno bisogno di dialogare con Gesù, di imparare, di approfondire il suo mistero. C’è buona volontà nei discepoli, ma anche tanta fatica nel capire Gesù, che da questo momento appare totalmente donato alla loro formazione.
Gesù moltiplica i pani (6,33-44), ma poi obbliga i suoi discepoli a risalire in barca e ad andarsene, mentre lui se ne va sulla montagna a pregare. C’è separazione Gesù-discepoli, ma Gesù non li dimentica: vedendo che faticano nel remare va verso di loro “camminando sulle acque”. Essi lo vedono e, spaventati, urlano: “Un fantasma! Un fantasma!”. Gesù si fa conoscere, sale sulla barca e calma le onde, ma essi rimangono lì, spaventati. Il Vangelo annota: “Non avevano capito il fatto dei pani e il loro cuore era indurito”, come quello dei farisei (3,5). Non c’è sintonia tra loro e Gesù (6,45-52). Si accorgono che non riescono a capirlo e che non
sempre riescono a pensarla come lui. A noi non capita forse tante volte lo stesso?

Verso la comprensione dell’identità di Gesù

Poi ecco Gesù circondato dai farisei e dagli scribi venuti apposta da Gerusalemme per controllarlo. Questi si accorgono che i suoi discepoli mangiano senza aver prima lavato le mani. Cosa orribile! Il caso suscita una discussione sul “puro e impuro” e Gesù li attacca accusandoli di mettere le regole inventate dagli uomini al di sopra dei comandamenti di Dio (7,1-15). I discepoli debbono essere rimasti disorientati: Gesù ha criticato il loro mondo che trova sicurezza nella “tradizione”. Per questo, quando sono “in casa”, chiedono spiegazioni e Gesù dice loro: “Così neanche voi siete capaci di comprendere?” e, con bontà si spiega (7,17-23). Ma le difficoltà continuano. Dopo la seconda moltiplicazione dei pani (8,1-9) c’è uno scontro con i farisei che Gesù interrompe risalendo in barca con i suoi discepoli (8,11-13).
Sono “soli” con Gesù che dice loro: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei”. Ed essi di nascosto si misero a discutere, perché non avevano pane con loro. Gesù si accorge e li riprende con durezza: “Ma non capite ancora e non intendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete?... Ho moltiplicato due volte i pani e non capite ancora” (8,14-21). Non è sempre facile capire Gesù ed entrare nei suoi pensieri. La loro formazione non si è ancora conclusa, anche se qualcosa hanno capito perché quando Gesù chiede loro: “Ma per voi chi sono io?”, Pietro, a nome di tutti dice: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia. E Gesù dice loro di non dirlo a nessuno (8,29-30). Il fatto è che hanno capito solo qualcosa di lui, ma non sanno ancora in che senso è Messia.

In cammino verso la Pasqua

Con 8,31 ha inizio la seconda parte del Vangelo, quella in cui Gesù stesso rivela ai discepoli la sua vera identità, presentandosi come “Messia sofferente” e incontrando subito la netta opposizione di Pietro che parla a nome di tutti (8,31-33). Il momento è importante perché Gesù mette tutti di fronte a una scelta radicale. Ora sanno in che senso è Messia; ora è il momento di una chiara e libera scelta. Gesù infatti dice loro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me (cioè: se qualcuno vuol essere mio discepolo), la smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (8,34). Il senso è chiaro: chi lo segue sarà coinvolto nel suo stesso destino.
I discepoli non rispondono né “sí” né “no”, ma lo seguono a denti stretti: è duro seguirlo. Lo dimostra il fatto che quando Gesù per altre due volte annuncerà la sua passione (9,30-32 e 10,32-34), quasi non lo ascoltano: preferiscono cambiare argomento e discutere su chi sarà il primo nella sua comunità. Questo è il clima che domina nella relazione Gesù-discepoli fino all’inizio della settimana di passione (8,31-10,45). L’unica cosa positiva è che, malgrado tutto, lo seguono e che quando sono soli, “in casa” (9,33) o “in disparte” (10,32), lo ascoltano.
Nella prima parte del racconto della Passione (c. 14) il confronto con Gesù è molto accentuato e la conclusione è che abbandonano Gesù. Ne parleremo durante la Quaresima. Il fatto è che Gesù affronta da solo la sua Passione, ma “risorto” riuscirà di nuovo a riunirli attorno a sé ed essi lo seguiranno fino al martirio.
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Abbiamo esposto in sintesi il “cammino dei discepoli”. Il nostro desiderio per quest’anno è quello di esaminarlo nei dettagli per aiutare i lettori a meditare sul nostro essere discepoli. Vorremmo dare alla nostra esposizione questo titolo: “A scuola da Gesù”. Non c’è altro da fare per chi vuol rimotivare in continuità il suo essere cristiano: ascoltare Gesù, “Parola di Dio” in tutto ciò che fa e dice.
                                                                              
 Mario Galizzi SDB


IMMAGINE:
1 Cristo Pantocrator, sec. Xii, Cappella Palatina, Palermo /
2 Paolo Veronese, Il Battesimo di Gesù, Galleria Palatina, Firenze

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-11
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