In ascolto del Maestro

È bello il passo del Vangelo di Luca in cui Gesù è accolto come ospite nella
casa di Marta e Maria (10,38-42). Marta si dà da fare, Maria invece,
sedutasi ai piedi di Gesù, “ascolta la sua parola”. Marta si lamenta e Gesù
le fa capire che “Maria ha scelto la parte migliore”. Solo di una cosa infatti
c’è bisogno: “ascoltare lui”. Perché solo chi ascolta lui ha sempre
motivazioni forti per compiere il servizio dei fratelli come fa Marta.
“Ascoltare Gesù”, Parola di Dio nella totalità del suo essere, del suo fare e
del suo dire, questo è ciò che ha valore. E quando, ascoltandolo, sentiamo il
bisogno di tradurre in preghiera quello che abbiamo udito o letto nel
Vangelo, allora sì che la nostra vita di fede, di speranza e di carità si va
sempre più personalizzando in un’intima relazione con Cristo. È qui
l’essenza del vivere cristiano. Ed è di questo che vogliamo parlare meditando
sulle prime parole che Gesù pronuncia nel Vangelo secondo Marco. Sono di
una incisività unica e subito coinvolgenti: “Il tempo è compiuto – Il Regno di
Dio si è fatto vicino – Convertitevi – Credete al Vangelo” (Mc 1,15). Le
prime due frasi annunciano due eventi contemporanei, le altre due dicono
che di fronte ad essi non possiamo rimanere indifferenti. Di qui la necessità
di capirne bene il senso perché sono la “chiave di lettura” dell’intero
Vangelo di Marco.

Il tempo è compiuto

Traduciamo meglio: “Il tempo è stato (da Dio, unico e vero protagonista
della storia) portato alla sua pienezza”. Paolo, ricordando quest’evento,
scrive: “Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la legge…” (Gal 4,4). Queste frasi ci permettono di leggere
nella fede l’intera storia umana e ci offrono una grandiosa immagine di
Cristo, vero spartiacque della storia.
Il “giunse”, di Paolo indica quel momento, quell’istante in cui succede
qualcosa di veramente valido: è l’istante in cui Cristo, il Figlio, fa il suo
ingresso nella nostra storia. Quando invece leggiamo: “Il tempo è stato
portato alla sua pienezza”, questa traduzione ci fa sentire il “trascorrere del
tempo” e toccare quasi con mano i millenni che si succedono gli uni agli
altri, e li percepiamo come tanti momenti a cui manca qualcosa, momenti
segnati da una tensione verso un futuro più perfetto, momenti privi di senso
se considerati in se stessi o come risultato dell’agire degli uomini soggetti al
peccato. Non è peccando che si fa storia e che si dà senso alla vita umana.
L’agire di Dio, invece, che mai ha abbandonato l’umanità, ha agito sempre
anche nel passato per la salvezza, rendendo in questo modo vera la storia
umana, colmandola in continuità di speranza e facendola tendere verso
un’unica méta: “Cristo”.
Una storia colma di speranza, quella che precede la pienezza dei tempi,
una speranza che Dio manteneva continuamente viva con le sue promesse,
“con la sua Parola”. E questa sua Parola” era il “Figlio”, incarnato nella
letteratura umana, nella parola biblica. Come per mezzo di Lui–Parola, Dio
ha creato il mondo (Gv 1,3), così per mezzo di Lui–Parola da sempre ha
guidato e salvato chi l’accoglieva. Quando poi “giunse la pienezza dei
tempi”, in lui, nato da donna, ha inizio il tempo definitivo. Perché; non ci
sarà altro tempo in cui è possibile la salvezza.
In questa luce, la storia è vera solo quando dice relazione a Cristo;
quando invece non è in relazione a lui è pura scoria, non ha senso, è
destinata al fallimento perché ancora in preda alle forze distruttrici del
peccato. L’importanza della presenza di Cristo nella nostra storia già
appare, ma si illumina ancora di più se meditiamo la seconda frase:

Il Regno di Dio si è fatto vicino

“vicino”, cioè presente nella nostra storia; e lo è nel Figlio, che entrando nel
mondo ha detto: “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”. Il Regno di
Dio infatti è presente dove c’è una persona che fa la volontà del Padre, e
Gesù l’ha sempre compiuta. Gesù è la presenza viva del Regno di Dio, che
però secondo lui non si può concepire sullo stile dei regni e delle repubbliche
di questo mondo. Lo ha precisato con chiarezza davanti a Pilato. Quando il
governatore gli chiese se era il “Re dei Giudei”, egli rispose: «Tu lo dici: io
sono Re,… ma il mio Regno non è di questo mondo…, non è di quaggiù (ma viene di lassù) e io sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». Non si poteva definire meglio come si realizza sulla terra il “Regno di Dio”. Dove c’è gente che ascolta la parola di Gesù e la mette in pratica, lì è presente il Regno di Dio. E questa presenza posso essere io, può esserlo ciascuno di noi. Ma precisiamo meglio il fatto che non è “sullo stile dei regni di questo mondo”. Anche qui è la parola di Gesù che conta. Quando un giorno i suoi discepoli si misero a discutere sul primo posto nella “sua comunità” (è la definizione più bella del “Regno di Dio”sulla terra), Gesù rispose: «Voi sapete che i governanti delle nazioni fanno sentire su di esse il loro potere, ma tra voi non sia così; chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, chi vuol essere il primo si faccia schiavo di tutti, perché il Figlio dell’uomo (cioè “io”) non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita per tutti» (vedi Mc 10,41-45). E altrove dice: «Non fatevi chiamare “rabbì”, “padri”, “maestri”, cioè non inventate “titoloni” per distinguervi dagli altri e per
poterli guardare dall’alto in basso, perché voi tutti siete fratelli» (Mt 23,8). Gesù concepisce il “Regno di Dio” come una famiglia e ci dice come nasce questa famiglia. Un giorno gli dissero: “Tua madre vuole vederti”; ed egli fissando lo sguardo sui suoi discepoli in ascolto, disse: «Sono questi mia madre e i miei fratelli; coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica… sono per me fratello, sorella e madre» (Lc 8,21 e Mc 3,35). Queste parole portano a un serio esame di coscienza sulla struttura della Chiesa di Dio e sul modo di esercitare in essa l’autorità, ma prima di formulare un giudizio negativo, cerchiamo di osservare bene l’intera Chiesa di Dio e ci accorgeremo che c’è tanta gente rivestita di autorità che, sull’esempio di Gesù, sa servire e fare dono della propria vita ai fedeli delle loro comunità.
Il “Regno di Dio” è una famiglia, una comunità. Ora, un simile Regno è sempre visibile, è in mezzo a noi, anche se non appare in tutta la sua bellezza, perché in noi e fuori di non ci sono ancora molti altri signori, poteri, forze che influiscono su di noi, persone umane, forze della natura, rapporti sociali, predisposizioni al male, ecc. Spesso sembra che dominino completamente la scena. Ebbene, in questa situazione Gesù continua ad annunciare il Regno e ci ingaggia a lavorare per il Regno di Dio che è vittoria totale sul male. Le espressioni “il tempo è compiuto; il Regno di Dio si è fatto vicino” indicano che è iniziata l’era nuova e definitiva della storia, l’era della salvezza. In Cristo infatti sono iniziati i tempi nuovi che fannotendere la storia al suo pieno compimento. Perché c’è un’altra “pienezza” che ci attende, quella che si compirà quando in Cristo saremo tutti divinizzati nel Regno del Padre.

Convertitevi

Al solo sentire questo imperativo, dopo l’annuncio della presenza del Regno
di Dio in mezzo a noi, ci si accorge subito che se vogliamo entrare nella
famiglia di Gesù, qualcosa deve cambiare in noi. E forse il cambio
dev’essere radicale come lo esigono i profeti: “Lasciate la via perversa,
tornate a Dio che avrà pietà di voi; cambiate radicalmente direzione, tornate
al punto di partenza, a Dio che vi ha creato. Voi siete in fuga da Dio, tornate
a lui che vuole realizzare con voi una relazione di amore”. Sì “una relazione
di amore”; infatti ci si converte per incontrare l’“Amore”, per vivere una
vita in cui il cuore batte forte, come batte il cuore di Dio per noi. La
conversione non si compie in un istante: è un evento molto serio, che si va
sviluppando a poco a poco, e si fa sensibile quando s’inizia a sperimentare
che il cuore sta diventando come il cuore di Dio. Quando il mio cuore
incomincia a battere in sintonia con il cuore di Dio.
È questione di cuore, la conversione. Essa inizia quando all’annunzio del
Regno sento il bisogno di rientrare in me stesso, nella mia più profonda
intimità, cioè nel mio cuore, e capisco che il mio cuore non può essere un
cuore chiuso di fronte alla Parola di Dio, ma un cuore spalancato, con porte
e finestre tutte aperte: aperte a me stesso, aperte ai fratelli, a Dio, alla luce
di Cristo. “A me stesso”, innanzitutto, per capire meglio chi sono, senza
spaventarmi di tante cose sgradite che possono affiorare dal mio
subcosciente. Scoprendole alla luce di Cristo e chiamandole per nome,
capirò che la conversione è un lungo cammino compiuto nell’umiltà ed è un
cammino di purificazione che mi permette di ritrovare la mia vera identità e
di essere davvero me stesso. Perché solo così sarò riconciliato con me
stesso, con i fratelli, con Dio in Cristo Gesù per mezzo dello Spirito. Solo
così il cammino di conversione si trasforma in un cammino di “fede”.

Credete al Vangelo

“Credere”: anche qui c’entra il cuore; e come! Paolo dice: “È con il cuore
che si crede” (Rm 10,9). Per lui, ebreo e conoscitore della Bibbia, non poteva
essere diversamente. Secondo la Bibbia “il cuore” è la sede dei pensieri, dei
sentimenti e delle emozioni, è la parte più intima di noi stessi, è il luogo
dell’incontro con Dio, il luogo silenzioso del nostro dialogo con Dio, il luogo
in cui entriamo in una relazione intima, personale e profonda con lui, il luogo
in cui, colmi di emozione, ci abbandoniamo a lui con tutti i nostri sentimenti e
il nostro affetto, sentendoci amati. Questo è “credere”.
Se Gesù dice: “Credete al Vangelo”, non ci dice di credere a “qualcosa” ma
di “credere a lui” che annunzia il “Vangelo di Dio”, di incontrarci con lui.
Ora, un vero incontro con le persone non si compie con la mente, ma con il
cuore che trabocca di emozioni, di sentimenti, di affettività e di amore.
“Credere” è un esperienza vitale, un’esperienza che non si improvvisa e che
si fa viva e profonda solo dopo un lungo cammino. La fede infatti nasce dalla
“predicazione”, dall’ascolto della Parola di Dio accolta. Ma non si limita a
un sapere, alla conoscenza di un elenco di verità rivelate, alla notizia su Dio.
Forse siamo troppi abituati a questo quando leggiamo tanti catechismi, che
si presentano come pura informazione su ciò che si deve credere. Quando
invece la fede viene insegnata leggendo il Vangelo, ci si accorge che lì tutto è
esperienza di vita; e se fisso lo sguardo su Gesù-Verità mi accorgo che
“credere” è cogliere me stesso in relazione a lui. “Credere” significa essere
coscientemente in relazione con lui e con il Padre. Questa è vera vita
cristiana. È qui che tocchiamo con mano l’essenziale del nostro essere
cristiani.
E c’è un’altra difficoltà che dobbiamo affrontare, soprattutto noi che
viviamo in una società secolarizzata. Tanti cristiani vivono la fede per
abitudine, perché sono nati in una famiglia cristiana e così sono stati educati:
la si vive per tradizione, senza tanti problemi, come un esperienza di vita
parallela a tante altre esperienze di vita. Manca la sensazione che si tratta di
qualcosa di “unico” e “totalizzante”, di una “perla preziosa” che non ha
uguali. In questa situazione è necessario rimotivare la nostra fede e
“riappropriarci in continuità del nostro battesimo”; si tratta di scegliere ogni
giorno con responsabiltà la propria vita di fede. L’esperienza cristiana è vita
e come ogni vita deve crescere. Bisogna imparare a camminare “di fede in
fede”, di chiarezza in chiarezza fino alla luce eterna. È un continuo
conquistarsi come cristiani, un esserlo ogni giorno di più. E noi impareremo
questo lento camminare nella fede, facendo nostro il cammino dei primi
discepoli con Gesù; e facendolo pregando.

Preghiamo

Signore Gesù, le tue parole mi donano un vivo desiderio di ripensare il mio
vivere cristiano, di rimotivare la mia fede in te. Ho ricevuto la fede in eredità
da altri; ora debbo farla mia, e viverla come una libera, personale e
responsabile scelta. È con il cuore che credo in te, Signore, o è solo con la
mente perché lo studio appassionato della tua Parola mi affascina? Gesù,
voglio vivere la mia fede con il cuore totalmente aperto a te perché tu, con la
tua luce, faccia chiarezza in me e con il tuo amore mi purifichi in profondità.
Signore, fa’ che io senta la mia relazione con te come qualcosa di essenziale,
come unico mezzo per rendere bella ogni mia relazione con gli altri e per
avere la gioia di sentirmi parte della comunità cristiana impegnata ad agire
come fermento di bene nel mondo. Grazie, Signore, di avermi chiamato alla
vita cristiana. Amen!

                                                                              Mario Galizzi


IMMAGINE: Gesù Maestro e Redentore, sec. XI, Sancta sanctorum, Roma
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-1
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