STARE CON GESU'
Nella sezione che ora vogliamo meditare c’è un’espressione carica di senso: “Stare con Gesù” (3,14). Essa vuole connotare un tipico aspetto della “sequela”, cioè il vivere con lui, l’essere in comunione con lui. È però doveroso annotare che nel v. 14 l’espressione ha una precisa e importante connotazione: storicamente si riferisce solo ai “Dodici”. È l’evangelista, che non tenendo conto, nel seguito della sua narrazione, della distinzione “Dodici-discepoli” la estende a ogni discepolo. Ed è logico che faccia così. Per lui Gesù come “Risorto” è sempre con i suoi discepoli: “Sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt 8,28). Perciò ogni discepolo, ossia tutti noi, siamo chiamati a “stare con Gesù” e questo lo impariamo meditando il modo di stare con lui dei primi discepoli.
Come essi stanno con Gesù? Come noi stiamo con lui? In questa sezione troveremo alcune risposte, anche se il tema continuerà oramai a lungo e perciò avremo ancora tempo di approfondirlo. L’esperienza cristiana infatti è un continuo passaggio da una fede vissuta per abitudine ad una fede che sia sempre più scelta personale, illuminata, convinta e testimoniante. Continuiamo, dunque, ad approfondire la nostra conoscenza di Gesù e ad entrare sempre più in sintonia con lui, per essere sempre di più suoi discepoli.

Gesù con i suoi discepoli (3,7-12)

Qualunque cosa capiti, Gesù non si ferma. Su di lui pesa una sentenza di morte (3,6); eppure Gesù continua la sua missione. Dice il testo che “si ritirò con i suoi discepoli lungo il mare e molta folla lo seguiva” (3,7). L’espressione “con i suoi discepoli”, non è una semplice informazione, perché ora i discepoli appaiono davvero coinvolti nella vita di Gesù. Incominciano a darsi da fare. La gente accorre da ogni parte e, come in quell’entusiastica sera di Cafarnao (1,32-34), anche qui c’è una corsa matta al miracolo. Non cercano un incontro personale con Gesù, cercano il taumaturgo, visto come oggetto magico che basta toccare per essere guariti tanto che Gesù rischia di essere schiacciato. Per questo chiede aiuto ai discepoli e dice loro di “tenergli pronta una barca”. È chiaro che vuole sfuggire alla folla: il puro entusiasmo è per lui un pericolo nella propria missione. Questa volta però non se ne va da solo, se ne va con i suoi discepoli, che oramai erano molti (2,15) e se ne va sul monte. Il racconto di quello che avvenne lassù (3,13-19) è così importante per la nostra vita di fede, che lo vogliamo anzitutto leggere al di fuori di ogni contesto. Poi ritorneremo subito alla meditazione sulla vita di comunione con Gesù.

L’elezione dei Dodici Apostoli

“Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che volle. Ne costituì Dodici, perché stessero con lui e per mandarli a predicare e a scacciare i demoni. Costituì dunque i Dodici: Simone al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo figlio di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota che poi lo tradì”.
I nomi di questi Dodici, a cui possiamo togliere Giuda e aggiungere il nome di Mattia (At 1,21s), sono importanti perché sono stati con Gesù dal Battesimo amministrato da Giovanni fino alla sua Ascensione al cielo. Perciò questi Dodici, e solo essi (vedi At 10,41) sono i veri garanti della tradizione storica su Gesù e i veri testimoni della sua Risurrezione. Quello che loro hanno testimoniato è raccolto nei Vangeli, i quali contengono la cosiddetta “Tradizione apostolica”. E quando oggi tutti i cristiani fanno l’atto di fede: “Credo nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, intendono affermare che tutti si sentono trasmettitori della “Tradizione apostolica” contenuta nei Vangeli. È questa “Tradizione” che fonda la nostra fede cristiana e che ci fa dire di essere, come Chiesa, “edificati sul fondamento degli Apostoli e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20). È per mezzo loro che noi possiamo conoscere Gesù e imparare a “stare con Gesù”, a vivere un’intima vita di comunione con lui. Perciò ritorniamo su questo brano osservandolo ora nel suo contesto.

Soli con Gesù sul monte (3,13-19)

Quando Gesù elegge i Dodici, noi sentiamo che la comunità incomincia a gerarchizzarsi e che certi compiti non vengono affidati a tutti. Quando però continuiamo nella lettura, ci accorgiamo che la distinzione Dodici-discepoli non è mai tenuta in conto e che la missione dei Dodici è rimandata al futuro. Quello che ora conta è che li ha chiamati “perché stessero con lui”, un’espressione che nella catechesi di Marco vale per ogni discepolo.
D’ora in poi, infatti (fino al c. 10), Gesù non è quasi mai solo; è sempre accompagnato dai suoi discepoli. Certe volte ci sarà anche il dialogo con lui: sono discepoli e perciò fanno domande e chiedono spiegazioni. Ma ciò che conta non è mai il loro agire, bensì lo stare con lui, ascoltarlo e insieme discutere le difficoltà che sentono nello stare con lui. Solo così, a poco a poco, si formeranno. È il modo di vivere di Gesù che deve diventare “esperienza di vita”. E questo avviene anche in noi quando riviviamo il Vangelo e meditandolo lo traduciamo in un colloquio vivo con Gesù e ci sentiamo in comunione con lui. Solo così, come avvene fra Gesù e i discepoli, possiamo toccare con mano i successi e gli insuccessi di una vita apostolica e imparare a superare ogni difficoltà e a stare, malgrado ogni ostacolo o sofferenza, con Gesù e a immedesimarci nel suo modo di vivere. Le occasioni per una simile esperienza non mancano mai.
Appena scesero dal monte, “entrarono in una casa, ma subito si raccolse tanta gente che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi familiari uscirono per andarlo a prendere, perché si diceva: «è fuori di sé», mentre gli scribi, scesi da Gerusalemme, dicevano: «è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni»” (3,20-22).
Gesù e i discepoli sono così assorbiti dall’apostolato che non hanno neppure il tempo per mangiare: l’entusiasmo è al colmo, e penso lo sia stato anche quello dei discepoli, presto turbato da due orribili calunnie contro Gesù: “È fuori di sé... è posseduto dal demonio”. La critica, ora è feroce e cerca in tutti i modi di demolire Gesù. Lo sarà un giorno anche contro di loro, contro di noi, quando “ci metteranno al bando e ci insulteranno e respingeranno il nostro nome come «scellerato» a causa del Figlio dell’uomo” (Lc 6,22). Perciò è bene che osserviamo come reagisce Gesù, è bene fissare lo sguardo su di lui, non perderlo mai di vista perché solo così nelle difficoltà avremo il coraggio di stare, malgrado tutto, con lui, e avremo la gioia di un’intima esperienza di comunione con Gesù che ci comunicherà in quei momenti la forza del suo Spirito.

Accusato di essere indemoniato (3,22-30)

Gesù non si scompone, accetta la critica e con bontà, servendosi di esempi, la smantella. Non sembra proprio che ci tenga a difendersi; cerca solo di far capire l’inconsistenza delle accuse degli scribi, facendo notare che una nazione o una famiglia divisa in se stessa e colma di discordie va in rovina. Non è forse questa una constatazione continua nel nostro mondo? Poi, riferendosi direttamente all’accusa contro di lui, fa notare che “se Satana scaccia Satana il suo potere è alla fine” e (sottinteso) che il regno di Dio trionfa.
Ma la vera preoccupazione di Gesù non è questa, bensì la situazione dei suoi avversari: se continuano ad attribuire a Satana ciò che è segno della potenza di Dio, stanno correndo un grave pericolo, commettono un peccato contro lo Spirito Santo, come faranno a salvarsi? In Gv 5,34 c’è una frase molto significativa. Durante un’aspra polemica, a Gesù scappano queste parole: “Ma io vi dico questo perché possiate salvarvi”. Qui c’è tutto Gesù e per noi c’è un principio fondamentale di apostolato: cercare il bene di tutti, anche degli avversari, imparare a dialogare con tutti nel rispetto delle persone, a trattare sempre bene, ad avere pazienza. Chi sta con Gesù deve assumere il modo di vivere di Gesù. È questo il segno che siamo in comunione con lui.

Gesù e i parenti (3,21.33-35)

Anche per Gesù si compie quanto ha detto il profeta Michea: “Nemici dell’uomo sono quelli di casa sua” (7,6). E Gv 7,3 dice: “Neppure i suoi fratelli-parenti credevano in lui”. L’attrito familiare giunse al colmo quando si sentì dire che “era fuori di sé”. L’onore della famiglia era in pericolo, perciò – dice Marco (3,21) – “uscirono (ci sembra: da Nazaret) per andare a impossessarsi di lui”. E quando arrivano dove c’è Gesù, con la Madre che si sono trascinati dietro, la fanno da padroni. “Rimangono fuori”, lo mandano a chiamare; non cercano Gesù, lo vogliono con loro; non seguono Gesù, vogliono che Gesù segua loro; non entrano nella cerchia di Gesù, pretendono che Gesù torni a casa.
Gesù deve scegliere tra la sua famiglia e la sua missione. Il suo amore verso i familiari non è in discussione, ma sia ben chiaro che al primo posto c’è la sua missione. La sua scelta è chiara e radicale. Guardando quelli che erano seduti attorno a lui dice: “Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre”. Il testo non si sofferma su Maria che certamente era lì angosciata e impotente di fronte ai parenti. È però certo che quel giorno dovette anche lei fare una scelta; capì che se voleva continuare ad essere discepola doveva prendere le distanze da quelli del clan e continuare a fare sua la Parola di Dio annunciata dal Figlio e imparare ad essere madre in un altro senso. E i discepoli quel giorno capirono che Gesù li considerava come fratelli.
Soppesiamo bene queste parole, perché come cristiani ci toccano in profondità. Qui non solo si mettono in discussione le nostre relazioni sociali, ma anche i vincoli di sangue. Come Gesù, a volte, dobbiamo anche noi, per essergli fedeli, prendere le distanze da quelli della nostra famiglia terrena, per entrare nella famiglia di coloro che “ascoltano Gesù”, una famiglia che si fonda sulla fraternità: “Voi tutti siete fratelli” (Mt 23,8). Coloro che con Gesù chiamano Dio Padre, sono fra loro fratelli, e la loro comunione di vita deve caratterizzarsi dalla fraternità. Ma come vivere in concreto la fraternità? Fissando lo sguardo su Gesù.
Gesù, il Figlio, sapeva che il Padre lo aveva destinato a “essere il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29) e perciò che “doveva diventare in tutto simile ai fratelli... ed egli non si vergognò mai di chiamarli fratelli” (Eb 2,17.11). Gesù non si è mai chiesto se l’avrebbero accolto come “fratello”, ma ha scelto di comportarsi nei loro riguardi come “fratello”. Ha scelto di accettarli come sono, di fare loro del bene, di conquistarli con la sua bontà in modo da convincerli che voleva essere per loro un vero fratello e che loro si sentissero suoi fratelli. Ebbene, chi vuole vivere in comunione con Gesù deve fare come Gesù. San Francesco d’Assisi, di fronte alle difficoltà di costruire vere fraternità, decise di imitare Gesù e si fece “fratello di tutti”. Non guardò a come gli altri lo consideravano, cercò solo di essere fratello. E scoppiò di gioia e la gioia della sua fraternità si estese anche al creato: chiamava fratelli e sorelle il sole, la luna, l’acqua, il fuoco... È la via di Gesù.

Preghiamo

Signore Gesù, continuando ad annunciare il tuo Vangelo mi accorgo sempre più che sto portando un messaggio che va oltre le mie possibilità. Eppure è tanto bello. Il tuo Vangelo è davvero una forza che può rinnovare il mondo e renderlo “famiglia”. Perciò continuerò ad annunciarlo in tutta la sua radicalità e mi impegnerò a viverlo fino a quando, con il tuo aiuto, si realizzerà in me quanto un maestro del tuo popolo insegnò a un suo discepolo: “Vuoi sapere – gli disse – quando puoi dire di essere passato dalla notte al giorno? Quando tu puoi guardare un uomo – ogni uomo – in volto e avere la luce sufficiente per riconoscere in lui tuo fratello e tua sorella. Fino a quel momento è buio e la notte è ancora in te”. Signore Gesù, che ci sia sempre luce in me. Amen!

                                                                  Mario Galizzi SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-5
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