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Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012
| 2013...
6 gennaio: S.
Raffaella M. del S. Cuore (1850-1925): fondatrice
***
Coraggio, tutto passa, il paradiso ci
aspetta
Cordoba è una città dell'Andalusia
(Spagna del sud) tra le più importanti insieme a Sevilla, la
capitale, e Granada. Ha una notevole importanza dal punto di vista storico
e artistico: possiede bei palazzi, belle chiese, un prezioso ponte di
antica fattura romana ed una famosissima moschea cattedrale: un vero
documento che ricorda la presenza araba e islamica, non solo nell'Andalusia,
ma nella Spagna intera. Questa occupazione durò fino al 1492,
cioè fino alla cosiddetta 'Reconquista' da parte del re Ferdinando
di Aragona e Isabella di Castiglia. Molta della sua fortuna e importanza
nei secoli passati, per quanto riguarda l'arte, ma anche per la scienza
e la filosofia, era quindi dovuto al fatto che fu per molti anni la
città principale del Califfato di Cordoba (911). Legata al nome
della città bisogna anche ricordare la crudele persecuzione islamica
di metà del secolo IX con il gruppo di cristiani che la Chiesa
Cattolica chiama appunto i Martiri di Cordoba. Ne ho già parlato
presentando S. Laura, anche lei di Cordoba.
A Pedro Abad, nei pressi di questa città così carica di
storia, di arte e di tradizioni, nel 1850 nacque Raffaella, figlia dei
coniugi Ildefonso Pòrras e Raffaella Ayllòn. Decima figlia
di una famiglia numerosa e di buone condizioni economiche. Il padre
della bambina era un possidente di terreni, aveva anche un vasto magazzino
utile per i contadini della zona per rifornirsi di materie per le coltivazioni,
e anche sindaco del piccolo paese. Raffaella era una bambina mite, affabile,
buona, e crebbe circondata dall'affetto dei genitori, che le infusero,
con gli insegnamenti ma soprattutto con gli esempi, i grandi principi
di onestà, giustizia, generosità, rispetto del prossimo
e naturalmente della legge di Dio. Nell'infanzia e poi durante tutta
la vita, sarà molto legata alla sorella più grande Dolores.
Sorelle sì, ma dal carattere opposto, cosa che poi, in seguito,
metterà a dura prova i loro rapporti, facendole soffrire entrambe.
A soli 4 anni orfana del padre
Raffaella conobbe presto il dolore ed
il distacco dagli affetti. Aveva solo 4 anni quando le morì il
padre, che era rimasto per aiutare a combattere il colera nel paese,
mentre la famiglia si era trasferita a Cordoba. Una grande esempio di
generosità e altruismo.
Alcune piccole ma importanti annotazioni della sua fanciullezza e adolescenza.
Era ancora una bambina, quando, un giorno mentre contemplava allo specchio
i boccoli che aveva, si sentì dire: "Hai mai pensato come
sarà il tuo volto un quarto d'ora dopo la morte?". Frase
ad effetto: non la dimenticherà più. Altro fatto importante,
perché fatto in libertà: all'età di 14 anni Raffaella
fece voto di verginità consacrata a Cristo Signore.
A 19 anni altro lutto e altro dolore per un'altra grande perdita: sua
madre Raffaella morta d'infarto. La prova era dura e la sua fede messa
alla prova. Ma lei non si disperò né si scoraggiò:
semplicemente si inginocchiò davanti ad un quadro della Madonna
sospirando: "Ormai non ho più madre, sono perciò
soltanto tua figlia". Sotto la saggia e amorevole guida del parroco
e insieme alla sorella Dolores si diede all'assistenza dei malati e
bisognosi: era sempre pronta quando c'era bisogno del suo aiuto e assistenza.
Queste esperienze di carità e di misericordia verso chi aveva
bisogno affinarono il carattere, la disposizione d'animo e la fede delle
due sorelle. Si aprirono per loro nuovi e vasti orizzonti di vita: ormai
puntavano alla vita religiosa. Per questo motivo fecero anche un lungo
periodo di discernimento in un monastero. Era quella la via da seguire?
Lo Spirito Santo le avrebbe illuminate certamente.
Dalle Suore Riparatrici del S. Cuore
.
Ecco il risultato del periodo di riflessione
e preghiera: la decisione di consacrare a Dio tutta la vita. Ma dove?
In quale famiglia religiosa? Non fu possibile entrare tra le Carmelitane.
Motivo che oggi fa sorridere: troppe vocazioni, non c'era posto per
loro. Dopo altri tentativi, entrarono tra le Suore di Maria Riparatrice
arrivate proprio nella città di Cordoba. Ma anche queste, dopo
un po' di tempo e per difficoltà varie, lasciarono la città
e si trasferirono a Sevilla. Le 20 novizie, lasciate libere di scegliere,
decisero di continuare la loro formazione, rimanendo con Raffaella,
che il vescovo nominò superiora con il nome di Raffaella Maria
del Sacro Cuore di Gesù. La sorella Dolores fu fatta economa
con il nome di Maria del Pilar.
Ma purtroppo, non molto tempo dopo, sorsero anche contrasti e difficoltà
di vedute con l'autorità ecclesiale, per cui Raffaella e la comunità,
dopo vari cambiamenti, si trasferirono nella capitale, Madrid. Madre
Raffaella era ormai diventata la fondatrice di questa nuova famiglia
religiosa, le suore Riparatrici del Sacro Cuore (1877). Il fine dell'istituto
o meglio i fini erano: continuare nella preghiera e nella riparazione
delle offese al Sacro Cuore, lavorare con impegno per l'educazione e
per l'istruzione della gioventù ed infine l'organizzazione degli
Esercizi Spirituali sulla scia di S. Ignazio di Loyola (e della spiritualità
ignaziana). Raffaella, ripensando a tutte le peripezie vissute, esclamò
una volta: "Non sono forse incomprensibili le vie del Signore?
E non traccia Egli linee diritte anche con pennini storti? Ah, essendo
Egli onnipotente, si ride dei nostri piani e li sconvolge".
Nel decennio 1877-1887 si ebbe un notevole sviluppo dell'istituto. E
mentre si avviava il cammino burocratico per l'approvazione da parte
della Santa Sede, Madre Raffaella si adoperò per fondare una
comunità anche a Roma (sarà nel 1890), il centro della
Chiesa Cattolica, perché, diceva, che, anche l'Istituto doveva
"essere universale come la Chiesa".
Quando finalmente arrivò il 'Decretum laudis' dell'istituto Raffaella
trovò anche un sorpresa: la Santa Sede aveva anche cambiato il
nome, le aveva fatte diventare: "Ancelle del Sacro Cuore".
Che dire? Uno scherzo del Vaticano, naturalmente per il bene dell'Istituto.
alle Ancelle del S. Cuore, con
Raffaella superiora (1887)
In un primo tempo il nuovo nome non piacque
molto. Ma poi anche lei ne divenne orgogliosa: la parola Ancella le
ricordava il 'fiat' di Maria di Nazaret nell'Annunciazione, quando lei
accettò di diventare 'serva' del Signore ('ancilla' in latino).
Nel 1887 Raffaella Maria fu eletta dalle 95 suore come Madre Generale
dell'Istituto. In quella circostanza con semplicità manifestò
a tutte il proprio proposito: ''Il desiderio grande che ho di lavorare
per la Congregazione lo metterò tutto in opera per santificarmi
quanto più posso, poiché questa è la volontà
di Dio". Ecco il ragionamento sotteso: "Se riesco ad essere
santa, faccio assai più per l'Istituto, per le sorelle e per
il prossimo, che se fossi impiegata nelle più importanti opere
di zelo". Questa voleva essere la linea di condotta spirituale
per se stessa ''Tacere sempre; osservare con esattezza le regole; prendere
tutto come proveniente dalle mani di Dio...".
Esortava anche le Consorelle, secondo la spiritualità di S. Ignazio,
ad avere: "Uno spirito virile che porta a far tanto caso dei nostri
voleri come quelli di un asino a nostro servizio".
Ci farà un po' sorridere ma è interessante la sua reazione
davanti alle difficoltà che immancabilmente le arrivavano come
superiora. Quando riceveva un dispiacere non proprio grande lei recitava
un 'Laudate Dominum', ma quando il dispiacere o le contrarietà
erano gravi Madre Raffaella Maria recitava un "Te Deum laudamus"
di ringraziamento. Un vero comportamento dettato dalla sua grande fede,
da vera santa.
Davanti alle difficoltà e alle crisi della sue consorelle lei
soleva incoraggiarle dicendo: "Coraggio, tutto passa, il Paradiso
ci aspetta".
Ma all'orizzonte si addensava una grave tempesta, che arrivò
puntuale. Il contrasto e le difficoltà di relazioni con la sorella
Maria del Pilar, economa, si acuirono. Non solo ma anche le consorelle
del Consiglio Generale le crearono molte difficoltà, accusandola
di essere incapace e non lungimirante negli affari di natura organizzativa
e carente nell'aspetto economico. A complicare la situazione la manifestazione,
nel suo comportamento, di piccole anomali mentali di natura patologica.
Fu nel 1892 che lasciò Madrid per trasferirsi a Roma, dove rimarrà
fino alla morte (1925). Queste difficoltà. amarezze, freddezze
interpersonali e incomprensioni varie si acuirono con un grande impatto
su di lei, che era pur sempre la fondatrice dell'Istituto e Superiora
Generale. Raffaella Maria dovette affrontare anche una grave crisi spirituale,
che le causarono dubbi e angosce interiori. Negli Esercizi Spirituali
del 1992 annotò: "Sono di Dio ed esclusivamente di Dio.
Siccome sono sua, tutti gli avvenimenti favorevoli o avversi, devo riceverli
come venuti dalla sua santissima mano; così il mio impegno essenziale
e continuo deve essere reprimere ogni parola, azione o anche pensiero
che possa separarmi da questa convinzione che con tanta chiarezza ho
visto, nella meditazione, essere il mio cammino da quando sono nata
Posso dargli la stesa gloria, nascosta e sconosciuta compiendo esattissimamente
e con gioia la sua volontà". Quasi un testamento spirituale.
Da Madre Generale a
niente
1893: con profondo spirito di umiltà,
come era sempre vissuta, e per facilitare il cammino dell'Istituto,
Raffaella rassegnò le dimissioni da superiora, accettando volentieri
di essere messa in disparte
per amore e per il bene della congregazione.
Possiamo tradurre: il passaggio dall'altare del comando dell'Istituto,
con tutti gli annessi e connessi di una superiora, alla polvere, al
niente. Non ricevette infatti mai nessuna pur minima carica, di nessun
tipo, in nessun momento. Fuori da tutto quasi in maniera crudele, messa
letteralmente in disparte. E comincerà per lei un lungo calvario,
un doloroso periodo di incomprensioni, di silenzio, sofferenza e penitenza,
ma anche di preghiera e di lunghe ore di adorazione per le 'sue' Ancelle.
Ad una consorella che un giorno le chiese se soffriva molto rispose:
"Mai ho sofferto, perché la sofferenza è stata per
me una gioia". Sapeva bene di essere nelle mani di Dio, voleva
assolutamente fare la sua volontà, sempre, per amore suo, quindi
(ecco la santità) non poteva non essere nella gioia (la gioia
vera e profonda è uno dei doni dello Spirito Santo).
Visse in profonda umiltà, senza lamentarsi o, come si è
tentati di fare in simili circostanze, apostrofare qualche consorella
con sussiego gridando il famoso "Lei non sa chi sono io!".
Accettò volentieri di fare anche i lavori più umili e
sempre nella massima serenità e gioia. Tanto che una volta una
novizia esclamò: "Questa Madre è una santa. Riserva
sempre a sé le occupazioni più gravose della casa".
Questa santità già riconosciuta in vita da alcune consorelle,
non solo da quella novizia, fu riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa
nel 1977.
Ci può spaventare o lasciare perplessi il sapere che oltre a
tutto questo, oltre alla vita di comunità e di relazioni con
le consorelle che non sempre sono facili (nel suo caso proprio il contrario!)
faceva anche altra penitenza, di vario tipo (nel mangiare, nel portare
un cilicio, nel dormire per terra
) finché il confessore
gliele proibì. Non era il caso visto quello che sopportava anche
a causa della sua salute.
Riconciliazione con la sorella Dolores
La sorella Maria del Pilar, la Superiora
che era le succeduta e che l'aveva fatta soffrire parecchio essendo
stata una delle fautrici della sua deposizione dall'incarico al vertice
della congregazione, dovette patire anche lei, e non poco, per cause
interne all'Istituto: per la gestione economica, per incomprensioni
varie, e anche perché accusata di usare troppa comprensione con
le consorelle. Queste tensioni e dissidi interni nel governo dell'Istituto
portarono la Santa Sede ad un altro cambio cioè alla sostituzione
della superiora (1903). E anche Maria del Pilar dovette soffrire quello
che aveva sofferto la sorella Raffaella. Ma il silenzio, la riflessione
e la preghiera la portarono a riconsiderare tutto il passato, fino a
scriverle una lettera: "Mia cara sorella, da tempo Dio nostro Signore
mi ha fatto capire quanto sia stata ingiusta nel non esaminare bene
le accuse che si fecero contro di lei
Penetrata del più
profondo pentimento, in ginocchio e per il Sacratissimo Cuore di Gesù,
la prego di perdonarmi
". Ed il perdono di Raffaella (già
accordato da temo) le arrivò pronto, sincero e confortante. Il
dolore che entrambe avevano provato le riavvicinò: si confortarono,
si incoraggiarono e si sostennero a vicenda fino alla fine (Pilar morirà
nel 1916).
L'anno seguente ancora una prova dolorosa: una grave malattia, la osteo
sinovite alla gamba. Nonostante diversi interventi chirurgici, la guarigione
non arrivò. I dolori erano tanti, acuti e lunghi, e Raffaella
Maria li affrontò con coraggio, pazienza e rassegnazione. Ad
una consorella che piangeva di compassione per lei, vicino al suo letto,
la consolò dicendole: "Non stia in pena per me. Io andrò
a stare bene. Che cose grandi vedrò! Stare con il Signore
!".
La sorgente di tanto coraggio e accettazione della malattia e di tutti
i dolori connessi risiedeva nella continua preghiera e nell'Adorazione
Eucaristica: questa era il suo punto di forza.
Raffaella si spense il 6 gennaio 1925, proprio mentre nella cappella
veniva impartita la Benedizione Eucaristica. Missione compiuta: il Paradiso
questa volta non poteva più attendere.
Mario
SCUDU sdb - Torino
*** Testi
1 - La mia vita deve essere un continuo
atto di amore.
2 - Vivere fino a cent'anni per soffrire e dare gloria a Dio
3 - Sono di Dio ed esclusivamente di Dio. Siccome sono sua, tutti gli
avvenimenti, favorevoli o avversi, devo riceverli come venuti dalla
sua santissima mano
4 - Fiducia cieca in Dio, che in tutto ciò che mi succede ha
una provvidenza speciale per la mia santificazione, e così devo
vivere riposando nella sua provvidenza e vedere in tutto ciò
che succede i mezzi di cui si serve per curare la mia anima e renderla
gradita ai suoi occhi divini
Ciò che più si loda
nei santi è la loro grandissima umiltà nelle prove. Facciamoci
sante e nessuno farà per l'Istituto più di noi.
5 - I momenti di amarezza, si possono totalmente nascondere in Cristo
Gesù, che ne porta il peso. Sia benedetto mille volte, sembra
che io sia la pupilla dei suoi occhi e che non abbia altro da guardare
che questa miserabile polvere.
6 - In presenza dell'adorabile Trinità, della Ss. Vergine Maria
e di tutta la corte celeste, prometto di lavorare con tutta l'anima
per conseguire il terzo grado di umiltà, avendo compreso da tempo
e confermato chiaramente in questi santi esercizi che questa è
la divina volontà e l'unico mezzo per raggiungere ciò
che il marcatissimo Cuore di Gesù vuole da me, che è l'abbandono
completo alle sue sante disposizioni, per difficili e ripugnanti che
risultino alla via volontà ribelle e al mio raffinatissimo amor
proprio, senza permettermi altro sfogo che quello di abbracciarmi al
suo amore croficisso e non cercare mai consolazione i nessuno nemmeno
in me stessa ricordando le offese, ma vedere le creature come strumenti
suoi usati per il mio bene, come veramente sono state.
7 - Sono tutta di Dio, devo quindi abbandonarmi alle sue divine mani
come un poco di creta nella mani del vasaio. Devo adorare le sue divine
disposizioni e sottomettermi ad esse, non solo di cuore, ma anche con
gioia, e non rifiutare di umiliarmi in nessuna occasione mi si presenti.
***
Tratto dal volume:
MARIO SCUDU,
Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.
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