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6 gennaio:
S. Raffaella M. del S. Cuore (1850-1925): fondatrice ***

Coraggio, tutto passa, il paradiso ci aspetta

Cordoba è una città dell'Andalusia (Spagna del sud) tra le più importanti insieme a Sevilla, la capitale, e Granada. Ha una notevole importanza dal punto di vista storico e artistico: possiede bei palazzi, belle chiese, un prezioso ponte di antica fattura romana ed una famosissima moschea cattedrale: un vero documento che ricorda la presenza araba e islamica, non solo nell'Andalusia, ma nella Spagna intera. Questa occupazione durò fino al 1492, cioè fino alla cosiddetta 'Reconquista' da parte del re Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia. Molta della sua fortuna e importanza nei secoli passati, per quanto riguarda l'arte, ma anche per la scienza e la filosofia, era quindi dovuto al fatto che fu per molti anni la città principale del Califfato di Cordoba (911). Legata al nome della città bisogna anche ricordare la crudele persecuzione islamica di metà del secolo IX con il gruppo di cristiani che la Chiesa Cattolica chiama appunto i Martiri di Cordoba. Ne ho già parlato presentando S. Laura, anche lei di Cordoba.
A Pedro Abad, nei pressi di questa città così carica di storia, di arte e di tradizioni, nel 1850 nacque Raffaella, figlia dei coniugi Ildefonso Pòrras e Raffaella Ayllòn. Decima figlia di una famiglia numerosa e di buone condizioni economiche. Il padre della bambina era un possidente di terreni, aveva anche un vasto magazzino utile per i contadini della zona per rifornirsi di materie per le coltivazioni, e anche sindaco del piccolo paese. Raffaella era una bambina mite, affabile, buona, e crebbe circondata dall'affetto dei genitori, che le infusero, con gli insegnamenti ma soprattutto con gli esempi, i grandi principi di onestà, giustizia, generosità, rispetto del prossimo e naturalmente della legge di Dio. Nell'infanzia e poi durante tutta la vita, sarà molto legata alla sorella più grande Dolores. Sorelle sì, ma dal carattere opposto, cosa che poi, in seguito, metterà a dura prova i loro rapporti, facendole soffrire entrambe.

A soli 4 anni orfana del padre

Raffaella conobbe presto il dolore ed il distacco dagli affetti. Aveva solo 4 anni quando le morì il padre, che era rimasto per aiutare a combattere il colera nel paese, mentre la famiglia si era trasferita a Cordoba. Una grande esempio di generosità e altruismo.
Alcune piccole ma importanti annotazioni della sua fanciullezza e adolescenza. Era ancora una bambina, quando, un giorno mentre contemplava allo specchio i boccoli che aveva, si sentì dire: "Hai mai pensato come sarà il tuo volto un quarto d'ora dopo la morte?". Frase ad effetto: non la dimenticherà più. Altro fatto importante, perché fatto in libertà: all'età di 14 anni Raffaella fece voto di verginità consacrata a Cristo Signore.
A 19 anni altro lutto e altro dolore per un'altra grande perdita: sua madre Raffaella morta d'infarto. La prova era dura e la sua fede messa alla prova. Ma lei non si disperò né si scoraggiò: semplicemente si inginocchiò davanti ad un quadro della Madonna sospirando: "Ormai non ho più madre, sono perciò soltanto tua figlia". Sotto la saggia e amorevole guida del parroco e insieme alla sorella Dolores si diede all'assistenza dei malati e bisognosi: era sempre pronta quando c'era bisogno del suo aiuto e assistenza.
Queste esperienze di carità e di misericordia verso chi aveva bisogno affinarono il carattere, la disposizione d'animo e la fede delle due sorelle. Si aprirono per loro nuovi e vasti orizzonti di vita: ormai puntavano alla vita religiosa. Per questo motivo fecero anche un lungo periodo di discernimento in un monastero. Era quella la via da seguire? Lo Spirito Santo le avrebbe illuminate certamente.

Dalle Suore Riparatrici del S. Cuore….

Ecco il risultato del periodo di riflessione e preghiera: la decisione di consacrare a Dio tutta la vita. Ma dove? In quale famiglia religiosa? Non fu possibile entrare tra le Carmelitane. Motivo che oggi fa sorridere: troppe vocazioni, non c'era posto per loro. Dopo altri tentativi, entrarono tra le Suore di Maria Riparatrice arrivate proprio nella città di Cordoba. Ma anche queste, dopo un po' di tempo e per difficoltà varie, lasciarono la città e si trasferirono a Sevilla. Le 20 novizie, lasciate libere di scegliere, decisero di continuare la loro formazione, rimanendo con Raffaella, che il vescovo nominò superiora con il nome di Raffaella Maria del Sacro Cuore di Gesù. La sorella Dolores fu fatta economa con il nome di Maria del Pilar.
Ma purtroppo, non molto tempo dopo, sorsero anche contrasti e difficoltà di vedute con l'autorità ecclesiale, per cui Raffaella e la comunità, dopo vari cambiamenti, si trasferirono nella capitale, Madrid. Madre Raffaella era ormai diventata la fondatrice di questa nuova famiglia religiosa, le suore Riparatrici del Sacro Cuore (1877). Il fine dell'istituto o meglio i fini erano: continuare nella preghiera e nella riparazione delle offese al Sacro Cuore, lavorare con impegno per l'educazione e per l'istruzione della gioventù ed infine l'organizzazione degli Esercizi Spirituali sulla scia di S. Ignazio di Loyola (e della spiritualità ignaziana). Raffaella, ripensando a tutte le peripezie vissute, esclamò una volta: "Non sono forse incomprensibili le vie del Signore? E non traccia Egli linee diritte anche con pennini storti? Ah, essendo Egli onnipotente, si ride dei nostri piani e li sconvolge".
Nel decennio 1877-1887 si ebbe un notevole sviluppo dell'istituto. E mentre si avviava il cammino burocratico per l'approvazione da parte della Santa Sede, Madre Raffaella si adoperò per fondare una comunità anche a Roma (sarà nel 1890), il centro della Chiesa Cattolica, perché, diceva, che, anche l'Istituto doveva "essere universale come la Chiesa".
Quando finalmente arrivò il 'Decretum laudis' dell'istituto Raffaella trovò anche un sorpresa: la Santa Sede aveva anche cambiato il nome, le aveva fatte diventare: "Ancelle del Sacro Cuore". Che dire? Uno scherzo del Vaticano, naturalmente per il bene dell'Istituto.

… alle Ancelle del S. Cuore, con Raffaella superiora (1887)

In un primo tempo il nuovo nome non piacque molto. Ma poi anche lei ne divenne orgogliosa: la parola Ancella le ricordava il 'fiat' di Maria di Nazaret nell'Annunciazione, quando lei accettò di diventare 'serva' del Signore ('ancilla' in latino).
Nel 1887 Raffaella Maria fu eletta dalle 95 suore come Madre Generale dell'Istituto. In quella circostanza con semplicità manifestò a tutte il proprio proposito: ''Il desiderio grande che ho di lavorare per la Congregazione lo metterò tutto in opera per santificarmi quanto più posso, poiché questa è la volontà di Dio". Ecco il ragionamento sotteso: "Se riesco ad essere santa, faccio assai più per l'Istituto, per le sorelle e per il prossimo, che se fossi impiegata nelle più importanti opere di zelo". Questa voleva essere la linea di condotta spirituale per se stessa ''Tacere sempre; osservare con esattezza le regole; prendere tutto come proveniente dalle mani di Dio...".
Esortava anche le Consorelle, secondo la spiritualità di S. Ignazio, ad avere: "Uno spirito virile che porta a far tanto caso dei nostri voleri come quelli di un asino a nostro servizio".
Ci farà un po' sorridere ma è interessante la sua reazione davanti alle difficoltà che immancabilmente le arrivavano come superiora. Quando riceveva un dispiacere non proprio grande lei recitava un 'Laudate Dominum', ma quando il dispiacere o le contrarietà erano gravi Madre Raffaella Maria recitava un "Te Deum laudamus"… di ringraziamento. Un vero comportamento dettato dalla sua grande fede, da vera santa.
Davanti alle difficoltà e alle crisi della sue consorelle lei soleva incoraggiarle dicendo: "Coraggio, tutto passa, il Paradiso ci aspetta".
Ma all'orizzonte si addensava una grave tempesta, che arrivò puntuale. Il contrasto e le difficoltà di relazioni con la sorella Maria del Pilar, economa, si acuirono. Non solo ma anche le consorelle del Consiglio Generale le crearono molte difficoltà, accusandola di essere incapace e non lungimirante negli affari di natura organizzativa e carente nell'aspetto economico. A complicare la situazione la manifestazione, nel suo comportamento, di piccole anomali mentali di natura patologica.
Fu nel 1892 che lasciò Madrid per trasferirsi a Roma, dove rimarrà fino alla morte (1925). Queste difficoltà. amarezze, freddezze interpersonali e incomprensioni varie si acuirono con un grande impatto su di lei, che era pur sempre la fondatrice dell'Istituto e Superiora Generale. Raffaella Maria dovette affrontare anche una grave crisi spirituale, che le causarono dubbi e angosce interiori. Negli Esercizi Spirituali del 1992 annotò: "Sono di Dio ed esclusivamente di Dio. Siccome sono sua, tutti gli avvenimenti favorevoli o avversi, devo riceverli come venuti dalla sua santissima mano; così il mio impegno essenziale e continuo deve essere reprimere ogni parola, azione o anche pensiero che possa separarmi da questa convinzione che con tanta chiarezza ho visto, nella meditazione, essere il mio cammino da quando sono nata… Posso dargli la stesa gloria, nascosta e sconosciuta compiendo esattissimamente e con gioia la sua volontà". Quasi un testamento spirituale.

Da Madre Generale a… niente

1893: con profondo spirito di umiltà, come era sempre vissuta, e per facilitare il cammino dell'Istituto, Raffaella rassegnò le dimissioni da superiora, accettando volentieri di essere messa in disparte… per amore e per il bene della congregazione. Possiamo tradurre: il passaggio dall'altare del comando dell'Istituto, con tutti gli annessi e connessi di una superiora, alla polvere, al niente. Non ricevette infatti mai nessuna pur minima carica, di nessun tipo, in nessun momento. Fuori da tutto quasi in maniera crudele, messa letteralmente in disparte. E comincerà per lei un lungo calvario, un doloroso periodo di incomprensioni, di silenzio, sofferenza e penitenza, ma anche di preghiera e di lunghe ore di adorazione per le 'sue' Ancelle. Ad una consorella che un giorno le chiese se soffriva molto rispose: "Mai ho sofferto, perché la sofferenza è stata per me una gioia". Sapeva bene di essere nelle mani di Dio, voleva assolutamente fare la sua volontà, sempre, per amore suo, quindi (ecco la santità) non poteva non essere nella gioia (la gioia vera e profonda è uno dei doni dello Spirito Santo).
Visse in profonda umiltà, senza lamentarsi o, come si è tentati di fare in simili circostanze, apostrofare qualche consorella con sussiego gridando il famoso "Lei non sa chi sono io!". Accettò volentieri di fare anche i lavori più umili e sempre nella massima serenità e gioia. Tanto che una volta una novizia esclamò: "Questa Madre è una santa. Riserva sempre a sé le occupazioni più gravose della casa". Questa santità già riconosciuta in vita da alcune consorelle, non solo da quella novizia, fu riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa nel 1977.
Ci può spaventare o lasciare perplessi il sapere che oltre a tutto questo, oltre alla vita di comunità e di relazioni con le consorelle che non sempre sono facili (nel suo caso proprio il contrario!) faceva anche altra penitenza, di vario tipo (nel mangiare, nel portare un cilicio, nel dormire per terra…) finché il confessore gliele proibì. Non era il caso visto quello che sopportava anche a causa della sua salute.

Riconciliazione con la sorella Dolores

La sorella Maria del Pilar, la Superiora che era le succeduta e che l'aveva fatta soffrire parecchio essendo stata una delle fautrici della sua deposizione dall'incarico al vertice della congregazione, dovette patire anche lei, e non poco, per cause interne all'Istituto: per la gestione economica, per incomprensioni varie, e anche perché accusata di usare troppa comprensione con le consorelle. Queste tensioni e dissidi interni nel governo dell'Istituto portarono la Santa Sede ad un altro cambio cioè alla sostituzione della superiora (1903). E anche Maria del Pilar dovette soffrire quello che aveva sofferto la sorella Raffaella. Ma il silenzio, la riflessione e la preghiera la portarono a riconsiderare tutto il passato, fino a scriverle una lettera: "Mia cara sorella, da tempo Dio nostro Signore mi ha fatto capire quanto sia stata ingiusta nel non esaminare bene le accuse che si fecero contro di lei…Penetrata del più profondo pentimento, in ginocchio e per il Sacratissimo Cuore di Gesù, la prego di perdonarmi…". Ed il perdono di Raffaella (già accordato da temo) le arrivò pronto, sincero e confortante. Il dolore che entrambe avevano provato le riavvicinò: si confortarono, si incoraggiarono e si sostennero a vicenda fino alla fine (Pilar morirà nel 1916).
L'anno seguente ancora una prova dolorosa: una grave malattia, la osteo sinovite alla gamba. Nonostante diversi interventi chirurgici, la guarigione non arrivò. I dolori erano tanti, acuti e lunghi, e Raffaella Maria li affrontò con coraggio, pazienza e rassegnazione. Ad una consorella che piangeva di compassione per lei, vicino al suo letto, la consolò dicendole: "Non stia in pena per me. Io andrò a stare bene. Che cose grandi vedrò! Stare con il Signore…!". La sorgente di tanto coraggio e accettazione della malattia e di tutti i dolori connessi risiedeva nella continua preghiera e nell'Adorazione Eucaristica: questa era il suo punto di forza.
Raffaella si spense il 6 gennaio 1925, proprio mentre nella cappella veniva impartita la Benedizione Eucaristica. Missione compiuta: il Paradiso questa volta non poteva più attendere.

Mario SCUDU sdb - Torino

*** Testi

1 - La mia vita deve essere un continuo atto di amore.
2 - Vivere fino a cent'anni per soffrire e dare gloria a Dio
3 - Sono di Dio ed esclusivamente di Dio. Siccome sono sua, tutti gli avvenimenti, favorevoli o avversi, devo riceverli come venuti dalla sua santissima mano…
4 - Fiducia cieca in Dio, che in tutto ciò che mi succede ha una provvidenza speciale per la mia santificazione, e così devo vivere riposando nella sua provvidenza e vedere in tutto ciò che succede i mezzi di cui si serve per curare la mia anima e renderla gradita ai suoi occhi divini… Ciò che più si loda nei santi è la loro grandissima umiltà nelle prove. Facciamoci sante e nessuno farà per l'Istituto più di noi.
5 - I momenti di amarezza, si possono totalmente nascondere in Cristo Gesù, che ne porta il peso. Sia benedetto mille volte, sembra che io sia la pupilla dei suoi occhi e che non abbia altro da guardare che questa miserabile polvere.
6 - In presenza dell'adorabile Trinità, della Ss. Vergine Maria e di tutta la corte celeste, prometto di lavorare con tutta l'anima per conseguire il terzo grado di umiltà, avendo compreso da tempo e confermato chiaramente in questi santi esercizi che questa è la divina volontà e l'unico mezzo per raggiungere ciò che il marcatissimo Cuore di Gesù vuole da me, che è l'abbandono completo alle sue sante disposizioni, per difficili e ripugnanti che risultino alla via volontà ribelle e al mio raffinatissimo amor proprio, senza permettermi altro sfogo che quello di abbracciarmi al suo amore croficisso e non cercare mai consolazione i nessuno nemmeno in me stessa ricordando le offese, ma vedere le creature come strumenti suoi usati per il mio bene, come veramente sono state.
7 - Sono tutta di Dio, devo quindi abbandonarmi alle sue divine mani come un poco di creta nella mani del vasaio. Devo adorare le sue divine disposizioni e sottomettermi ad esse, non solo di cuore, ma anche con gioia, e non rifiutare di umiliarmi in nessuna occasione mi si presenti.


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT

Editrice ELLEDICI - Torino


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