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Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012
| 2013...
19 gennaio: Ven.
Giulia di Barolo (1786-1864) e il marito Carlo T. (1782-1838):
nobildonna, moglie,
vedova, fondatrice:
***
Testimoniare l'amore a Dio con le opere
Giulia, testimoniare
l'amore a Dio con le opere
Torino, lungo i secoli, ha saputo con
creatività e tenacia reinventare la propria storia e crearsi
una nuova identità, come gli avvenimenti domandavano. Così
fu dal 1861 in poi quando cessò di essere la capitale del Regno
di Sardegna, senza piangersi (troppo) addosso per la perdita di quel
prestigio seppe diventare, con la sua incipiente industrializzazione,
un polo industriale manifatturiero di prim'ordine. Altra crisi profonda
la città la subì negli ultimi decenni del secolo scorso.
Declino industriale, ritorno di povertà per intere classi sociali,
decadenza industriale
Sembrava la fine. Torino invece con coraggio
è risorta. E lo spartiacque, secondo i sociologi, è stato
la sfida di ospitare le Olimpiadi Invernali del 2006. Oggi (2016) è
diventata una città in profonda trasformazione urbanistica, è
una meta turistica, artistica (centri museali di prestigio
chi
non conosce l'Egizio?), un centro di eccellenze tecnologiche (settore
aerospaziale, meccatronica, robotica, ricerca e design industriale ecc.).
Torino quindi è famosa per la sua capacità industriale
ma non solo. C'è anche un versante spirituale che le dà
sicuro prestigio: la presenza della S. Sindone e tante opere ecclesiali
che continuano ancora oggi ma che hanno avuto origine nel secolo XIX
ad opera dei cosiddetti 'Santi sociali' torinesi. Ricordiamone alcuni:
il Cottolengo, Don Bosco, Cafasso, Faà di Bruno, Murialdo , Anna
Michelotti e altri. Tutti santi o beati iniziatori di opere ancora presenti
nella zona di Torino, chiamata Valdocco.
Tra questi ci sono anche Giulia di Barolo (venerabile dal 2015) e il
marito Carlo Tancredi. Anch'essi, attraverso la loro generosità,
creatività e carità sociale, con le opere ancora operanti
oggi, hanno reso Torino una città più vivibile. Sono stati
così veri testimoni del loro amore a Dio con le opere.
Incontro con
Carlo Tancredi, marchese di Barolo
Giulia di Barolo (il suo nome d'origine
era Juliette Francoise) è discendente da una famiglia famosa
in Francia che annovera, nelle sue fila, un nome prestigioso, J. B.
Colbert (1619-1683), ministro delle Finanze di re Luigi XIV, ma che
ebbe a soffrire molto durante la rivoluzione francese, contando anche
alcune vittime della ghigliottina (nonna, zia e altri parenti).
Con l'avvento di Napoleone, la famiglia Colbert rientra in Francia e
Giulia è chiamata alla corte come damigella dell'imperatrice.
Alla corte imperiale incontra Carlo Tancredi Falletti, ciambellano dell'Imperatore.
I due giovani scoprono di avere varie affinità: cultura vasta
e profonda, sensibilità verso i poveri, disponibilità
sociale, fede religiosa radicata e operosa. Ricchi, belli, altolocati,
anche se opposte e complementari le loro personalità: lei vulcanica,
impulsiva, ostinata, lui riflessivo, ponderato e calmo, i due giovani
si intendono e si innamorano.
Il matrimonio viene celebrato a Parigi il 18 agosto 1806, testimoni
d'eccezione l'imperatore e l'imperatrice. Anche se a molti poteva sembrare
un matrimonio d'interesse favorito da Napoleone Bonaparte, il loro sarà
un vero matrimonio d'amore, anzi un matrimonio felice, fondato sull'unità
d'intenti e di ideali. Durante il periodo imperiale gli sposi risiedono
alcuni mesi a Parigi per espletare i loro impegni di corte e il resto
dell'anno a Torino.
Giulia e Tancredi vivono una comunione profonda e sentita. Tancredi
Canonico, che aveva conosciuto personalmente i coniugi, afferma che
i 32 anni di matrimonio dei Barolo furono vissuti "nella più
rara consonanza di affetti e di opere". Domenico Massé asserisce
che Carlo Tancredi rimase sempre innamoratissimo della sua Juliette;
il Pellico aggiunge che Tancredi vide in Giulia "la più
costante aspirazione a perfezionarsi nella virtù; e ciò
che egli maggiormente lodava si era che ella fosse la creatura più
semplice, più incapace di superbia e di finzione [...], sebbene
dal principio della loro conoscenza egli l'avesse amata molto, ora l'amava
più ancora". Giulia ricambiò ampiamente questo profondo
sentire, arrivando a definire il suo sposo "il migliore degli uomini",
sintetizzando con quattro parole 32 anni di matrimonio vissuti in perfetta
sintonia.
A Parigi, i giovani Barolo oltre a frequentare la corte e gli ambienti
nobiliari, ebbero modo di visitare varie istituzioni educative, sociali
e caritative sorte in quel periodo traendone ispirazione per realizzarle
in Piemonte.
La realtà
torinese di inizio e metà Ottocento
Nel 1814 i marchesi di Barolo, rientrati
definitivamente a Torino, si stabiliscono nel loro magnifico palazzo
di via delle Orfane. Qui Giulia s'impegna a conoscere meglio la sua
nuova patria di cui apprende la storia, le abitudini e anche il dialetto,
che vuole subito parlare per cercare e trovare un contatto con la gente
più umile. Riscuote grandi simpatie per la semplicità
del tratto, l'operosa carità, la conversazione piacevole e brillante.
La rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano non solo seminato
terrore e morte, ma avevano anche assunto forme di violenza contro la
Chiesa e contro tutto ciò che si riferiva alla religione cattolica,
annullando in nome della libertà e della fratellanza un rispettabile
passato. Il popolo si era visto privare del conforto della religione
e aveva perduto il sostegno morale e materiale delle Confraternite,
degli Ordini e delle Congregazioni religiose che curavano le opere di
misericordia corporale e spirituale. Esse infatti furono soppresse dal
regime napoleonico.
Bisognava risvegliare nel cuore del popolo la religiosità degli
avi; a questo scopo la Provvidenza animò varie figure di sacerdoti
e laici a dedicarsi alla carità e all'educazione popolare. L'impegno
di Giulia, nonché del consorte Tancredi di Barolo, che con lei
condivise l'opera preziosa compiuta a beneficio della città nell'ambito
educativo e caritativo ha dello straordinario: essi fondarono scuole
e ordini religiosi e si impegnarono lavorando con le donne carcerate.
I coniugi Barolo, nei loro viaggi in Italia e all'estero, osservano
attentamente la realtà sociale e le esperienze più svariate,
da cui traggono stimoli ed orientamenti per iniziative da realizzare
a Torino, una città che ha davvero bisogno di essere soccorsa.
La capitale subalpina registra anche altre problematiche: l'industrializzazione
l'ha resa un bacino che raccoglie gli immigrati provenienti dalle campagne
in cerca di lavoro e fortuna, tuttavia moltissimi troveranno la miseria,
l'abbrutimento, la morte (la prostituzione e la delinquenza erano piaghe
diffusissime).
Attività
di Giulia e Carlo Tancredi
Non avendo avuto il dono dei figli, i
marchesi impararono a leggere quest'evento doloroso dentro il disegno
provvidenziale della "imperscrutabile saviezza di Dio" (C.
T. Falletti di Barolo, Testamento) vivendo comunque una paternità
e maternità spirituali fecondissime, adottando i più emarginati
dalla società e creando per essi una serie di istituzioni caritative
ed educative, ancora oggi attive: per sollevare il popolo dalla miseria,
puntano sulla promozione umana dedicando se stessi, il loro tempo e
i loro beni a servizio dei più soli ed emarginati.
Giulia, in particolare, dà un grande contributo alla riforma
carceraria di Torino. Quest'opera, intrapresa con spirito combattivo
e di scontro diretto contro la miseria e lo squallore della vita carceraria,
è il frutto di un triste episodio. La domenica in Albis, l'ottavo
giorno dopo Pasqua del 1816, mentre lei percorreva via San Domenico,
passò la processione che portava la comunione ad un ammalato.
Mentre ella stava devotamente in ginocchio, le giunse il grido disperato
di un condannato proveniente dalle carceri senatorie, le cui finestre
si affacciavano sulla strada: "Non il viatico vorrei, ma la zuppa".
Quel grido fu un richiamo irresistibile.
Impegno per
carcerate ed ex-carcerate
Giulia chiede di entrare nella prigione
da cui era venuta quella bestemmia e ottenuto il permesso di accedervi,
rimane sconvolta nel constatare le condizioni igieniche, morali e materiali
dei detenuti e delle detenute, per i quali non bastava certo una semplice
elemosina. Dopo questo primo approccio, la marchesa di Barolo decide
di ritornare. Le prime volte non viene accolta con simpatia, anzi è
disprezzata e beffeggiata da molte; tuttavia ritorna ugualmente e con
pazienza ed affabilità riesce a conquistare via via l'amicizia
di parecchie carcerate: inizia così la sua attività in
favore delle recluse. Più luce, più pulizia, più
sanità, entrarono in quelle celle, insieme ad un programma, approvato
dalle stesse carcerate, basato su istruzione, lavoro, solidarietà
e religione. Silvio Pellico annota che quel carcere pian piano prese
l'aspetto di "un savio monastero".
Nel 1823 sorse l'istituzione di carità detto "Rifugio",
una struttura destinata ad accogliere coloro che, avendo già
scontata la pena, volevano continuare la loro formazione professionale
prima di inserirsi nella società; più tardi, Giulia affidò
a queste ex detenute la cura delle giovani ragazze vittime della disoccupazione,
dell'ignoranza e dell'egoismo. Aiutata dal marito trovò la casa
che ristrutturò a proprie spese per adattarla all'accoglienza
delle ospiti e la cui direzione fu affidata alle suore di S. Giuseppe.
Per rispondere poi alle esigenze di alcune ospiti dell'Istituto del
Rifugio che desideravano abbracciare la vita religiosa, la Marchesa,
collaborata dal marito, fondò l'Istituto delle Suore Maddalene.
Alle loro cure vengono anche affidate alcune giovani, già avviate
alla prostituzione, che vennero denominate Maddalenine.
Sale d'Asilo,
istituzioni educative e impegno civile di Carlo Tancredi
Nel 1825 Giulia e Tancredi aprono le
porte del loro palazzo per accogliere i figli di operaie o domestiche
altrimenti abbandonati sulla strada: sorge così, a proprie spese,
l'Asilo Barolo, la prima istituzione in Italia organizzata come scuola
infantile. Nel 1834, in accordo con l'amata consorte, Tancredi fonda
la Congregazione delle Suore di S. Anna per assicurare una presenza
educativa qualificata nel proprio asilo, evento assai raro nella storia
degli ordini religiosi. Altre loro istituzioni per l'educazione furono
le Scuole a Borgo Dora in Torino, a Santena, Altessano, Varallo...
Tancredi, in qualità di Decurione e Sindaco di Torino, promuove
grandi opere urbane per rendere la città più funzionale
e salubre: fa costruire giardini, fontane con acqua potabile, migliora
l'illuminazione notturna
fa distribuire razioni di legna ai poveri
nell'inverno del 1826 e si adopera con ogni mezzo per aprire scuole
comunali gratuite aperte a tutti. Nel 1827 favorisce l'istituzione della
prima Cassa di Risparmio per i piccoli risparmiatori e nel 1828 finanzia
la costruzione del Cimitero Monumentale della città
Nell'estate del 1835 il colera, dopo aver toccato più città
d'Europa, giunge tragicamente a Torino. Giulia e Carlo si prodigano
per l'assistenza ai malati esponendosi ai rischi di contagio, tanto
che per l'eroico servizio ai colerosi lei riceve la medaglia d'oro dal
Governo e il marito, la cui salute è purtroppo minata irreparabilmente,
viene insignito della Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro.
Tancredi muore prematuramente il 4 settembre 1838 lasciando Giulia erede
universale del suo immenso patrimonio. Così scrive nel testamento:
"Nomino erede universale la marchesa
Giulietta Francesca Falletti di Barolo, nata Colbert, mia dilettissima
consorte, e ciò in pegno del profondo affetto che io ho sempre
nutrito per lei, e della mia alta stima ed ammirazione per le sue virtù,
volendo così porla in grado di proseguire l'esercizio a maggior
gloria di nostra santa religione, a beneficio dei miei concittadini
ed a suffragio dell'anima mia. Penso con somma soddisfazione che ella
farà certamente delle mie sostanze quel buon uso che è
da lungo tempo lo scopo dei nostri comuni e incessanti desideri".
Giulia farà esattamente così.
Ospedaletto
di S. Filomena, Laboratorio e Pensionato S. Giuseppe
L'idea della fondazione di un Ospedaletto,
destinato a garantire cure adeguate a bambini malati provenienti da
ceti sociali bassi, nacque nella mente dei marchesi Carlo Tancredi e
Giulia Falletti di Barolo fin dal 1833. La costruzione dell'Ospedaletto
Giulia decise di edificarlo a Torino, nella medesima area del quartiere
Valdocco, che ospitava già gli Istituti del Rifugio e delle Maddalene.
L'Ospedaletto di Santa Filomena fu aperto nel 1845, e accoglieva preferibilmente
bambine bisognose di cure particolari. Accanto all'Ospedaletto era annesso
il Laboratorio S. Giuseppe, destinato a circa 60 ragazze povere, che
ricevevano un'istruzione elementare di base e un addestramento pratico
a lavori artigianali di sartoria, ricamo e maglieria.
L'Istituto Famiglie di Operaie (oggi diremmo Casa famiglia) fu aperto
da Giulia nel 1846 ed ebbe sede presso Palazzo Barolo. La prima fu denominata
Famiglia di Maria SS.ma, e le altre: Famiglia S. Giuseppe e Famiglia
S. Anna. Il Regolamento prevedeva che le ospiti, ragazze povere di età
compresa tra i 14 e i 18 anni, fossero alloggiate e ricevessero un'educazione
professionale atta ad avviarle al lavoro. Scopo principale della vita
nell'Istituto era: creare delle operaie qualificate e dare una buona
formazione umana e cristiana; l'istruzione veniva impartita dalle Suore
di S. Anna.
Ultima sua opera a favore del popolo torinese fu il finanziamento della
chiesa di S. Giulia, dove ora riposano i suoi resti e quelli di Tancredi.
Ultime volontà
della Marchesa Giulia
Giulia muore il 19 gennaio 1864. Al fine
di preservare il patrimonio, prima della sua morte, aveva ideato la
fondazione dell'Opera Pia Barolo, deputata all'amministrazione dei beni
dei Falletti. Questa doveva essere lo strumento operativo per proseguire
l'impegno sociale, politico e culturale dei Marchesi, nonché
creare nuove opere secondo le necessità, come il Collegio Barolo
aperto, all'interno del Castello in Barolo, successivamente alla sua
morte.
Attualmente la loro attività socio-educativa continua nei vari
continenti, con lo stesso spirito evangelico, grazie al servizio delle
Suore di S. Anna (1834) e delle Suore Maddalene, oggi Figlie di Gesù
Buon Pastore, (1833) e in Torino grazie all'Opera Barolo (1864). Infatti
esse hanno sempre saputo coniugare opera assistenziale e opera educativa.
La visione di Giulia e Tancredi, ancora oggi, si sposa con le esigenze
odierne di nuovo welfare in quanto si focalizza sulla globalità
della persona più che sui bisogni immediati, in modo che tutti
possano migliorare la propria condizione sociale e secondo la felice
espressione del marchese di Barolo possano essere "sollevati dalle
loro infelicità".
Sr.
Felicia Frascogna SSA, Torino
*** Testi
1 - Pensieri
di Giulia:
1 Quante grazie abbiamo ricevute da Dio!
Quanti conti a rendere! Confidiamo nella sua misericordia per non essere
spaventate.
2 E' di fede che Dio non abbandona chi si abbandona in Lui.
3 Bisogna prendere per massima : gloria a Dio, bene al prossimo e croce
a noi.
4 La santa volontà di Dio sia fatta in me per il tempo e per
l'eternità.
5 Amiamoci scambievolmente; ma soprattutto amiamo il nostro buon Gesù
e la sua santa Madre.
6 Bisogna patire per imparare a compatire e consolare.
7 L'azione parla e persuade, la parola sola è vanità.
8 Patire con amore è il miglior modo di servire Gesù crocifisso.
9 Pensiamo al Paradiso, è là che dobbiamo giungere. Oh
come si starà bene!
10 Più saremo vuoti di noi stessi, più Dio ci riempirà
dei suoi doni.
2 - Giulia devota
della Trinità, della Provvidenza e della Divina Misericordia
Nel 1846 Don Bosco, in un suo libretto,
scrisse: "Iddio usa ogni giorno misericordia a' giusti ed a' peccatori...
O misericordia di Dio, noi v'imploriamo non solo per noi, ma per tutte
le umane creature". L'occasione per l'opuscolo gli fu offerta da
una iniziativa della marchesa Giulia di Barolo (1785-1864, venerabile),
che, nutrendo una personale devozione alla Divina Misericordia, voleva
diffonderla non solo nelle sue comunità religiose, ma anche tra
il popolo, nelle parrocchie. Silvio Pellico, estimatore ed amico di
entrambi, suggerì a Don Bosco, giovane sacerdote, un opuscolo
di sostegno. Il titolo fu: "Esercizio di devozione alla Misericordia
di Dio". Don Bosco lo scrisse e lo fece stampare, ma non c'è
motivo di dubitare che la marchesa diede il proprio contributo, in maniera
discreta, come altre volte
(Mario Scudu, da Rivista Maria Ausiliatrice
2016, n.1).
***
Tratto dal volume:
MARIO
SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.
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