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19 gennaio:
Ven. Giulia di Barolo (1786-1864) e il marito Carlo T. (1782-1838):
nobildonna,
moglie, vedova, fondatrice: ***

Testimoniare l'amore a Dio con le opere

Giulia, testimoniare l'amore a Dio con le opere

Torino, lungo i secoli, ha saputo con creatività e tenacia reinventare la propria storia e crearsi una nuova identità, come gli avvenimenti domandavano. Così fu dal 1861 in poi quando cessò di essere la capitale del Regno di Sardegna, senza piangersi (troppo) addosso per la perdita di quel prestigio seppe diventare, con la sua incipiente industrializzazione, un polo industriale manifatturiero di prim'ordine. Altra crisi profonda la città la subì negli ultimi decenni del secolo scorso. Declino industriale, ritorno di povertà per intere classi sociali, decadenza industriale… Sembrava la fine. Torino invece con coraggio è risorta. E lo spartiacque, secondo i sociologi, è stato la sfida di ospitare le Olimpiadi Invernali del 2006. Oggi (2016) è diventata una città in profonda trasformazione urbanistica, è una meta turistica, artistica (centri museali di prestigio… chi non conosce l'Egizio?), un centro di eccellenze tecnologiche (settore aerospaziale, meccatronica, robotica, ricerca e design industriale ecc.). Torino quindi è famosa per la sua capacità industriale… ma non solo. C'è anche un versante spirituale che le dà sicuro prestigio: la presenza della S. Sindone e tante opere ecclesiali che continuano ancora oggi ma che hanno avuto origine nel secolo XIX ad opera dei cosiddetti 'Santi sociali' torinesi. Ricordiamone alcuni: il Cottolengo, Don Bosco, Cafasso, Faà di Bruno, Murialdo , Anna Michelotti e altri. Tutti santi o beati iniziatori di opere ancora presenti nella zona di Torino, chiamata Valdocco.
Tra questi ci sono anche Giulia di Barolo (venerabile dal 2015) e il marito Carlo Tancredi. Anch'essi, attraverso la loro generosità, creatività e carità sociale, con le opere ancora operanti oggi, hanno reso Torino una città più vivibile. Sono stati così veri testimoni del loro amore a Dio con le opere.

Incontro con Carlo Tancredi, marchese di Barolo

Giulia di Barolo (il suo nome d'origine era Juliette Francoise) è discendente da una famiglia famosa in Francia che annovera, nelle sue fila, un nome prestigioso, J. B. Colbert (1619-1683), ministro delle Finanze di re Luigi XIV, ma che ebbe a soffrire molto durante la rivoluzione francese, contando anche alcune vittime della ghigliottina (nonna, zia e altri parenti).
Con l'avvento di Napoleone, la famiglia Colbert rientra in Francia e Giulia è chiamata alla corte come damigella dell'imperatrice. Alla corte imperiale incontra Carlo Tancredi Falletti, ciambellano dell'Imperatore. I due giovani scoprono di avere varie affinità: cultura vasta e profonda, sensibilità verso i poveri, disponibilità sociale, fede religiosa radicata e operosa. Ricchi, belli, altolocati, anche se opposte e complementari le loro personalità: lei vulcanica, impulsiva, ostinata, lui riflessivo, ponderato e calmo, i due giovani si intendono e si innamorano.
Il matrimonio viene celebrato a Parigi il 18 agosto 1806, testimoni d'eccezione l'imperatore e l'imperatrice. Anche se a molti poteva sembrare un matrimonio d'interesse favorito da Napoleone Bonaparte, il loro sarà un vero matrimonio d'amore, anzi un matrimonio felice, fondato sull'unità d'intenti e di ideali. Durante il periodo imperiale gli sposi risiedono alcuni mesi a Parigi per espletare i loro impegni di corte e il resto dell'anno a Torino.
Giulia e Tancredi vivono una comunione profonda e sentita. Tancredi Canonico, che aveva conosciuto personalmente i coniugi, afferma che i 32 anni di matrimonio dei Barolo furono vissuti "nella più rara consonanza di affetti e di opere". Domenico Massé asserisce che Carlo Tancredi rimase sempre innamoratissimo della sua Juliette; il Pellico aggiunge che Tancredi vide in Giulia "la più costante aspirazione a perfezionarsi nella virtù; e ciò che egli maggiormente lodava si era che ella fosse la creatura più semplice, più incapace di superbia e di finzione [...], sebbene dal principio della loro conoscenza egli l'avesse amata molto, ora l'amava più ancora". Giulia ricambiò ampiamente questo profondo sentire, arrivando a definire il suo sposo "il migliore degli uomini", sintetizzando con quattro parole 32 anni di matrimonio vissuti in perfetta sintonia.
A Parigi, i giovani Barolo oltre a frequentare la corte e gli ambienti nobiliari, ebbero modo di visitare varie istituzioni educative, sociali e caritative sorte in quel periodo traendone ispirazione per realizzarle in Piemonte.

La realtà torinese di inizio e metà Ottocento

Nel 1814 i marchesi di Barolo, rientrati definitivamente a Torino, si stabiliscono nel loro magnifico palazzo di via delle Orfane. Qui Giulia s'impegna a conoscere meglio la sua nuova patria di cui apprende la storia, le abitudini e anche il dialetto, che vuole subito parlare per cercare e trovare un contatto con la gente più umile. Riscuote grandi simpatie per la semplicità del tratto, l'operosa carità, la conversazione piacevole e brillante.
La rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano non solo seminato terrore e morte, ma avevano anche assunto forme di violenza contro la Chiesa e contro tutto ciò che si riferiva alla religione cattolica, annullando in nome della libertà e della fratellanza un rispettabile passato. Il popolo si era visto privare del conforto della religione e aveva perduto il sostegno morale e materiale delle Confraternite, degli Ordini e delle Congregazioni religiose che curavano le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse infatti furono soppresse dal regime napoleonico.
Bisognava risvegliare nel cuore del popolo la religiosità degli avi; a questo scopo la Provvidenza animò varie figure di sacerdoti e laici a dedicarsi alla carità e all'educazione popolare. L'impegno di Giulia, nonché del consorte Tancredi di Barolo, che con lei condivise l'opera preziosa compiuta a beneficio della città nell'ambito educativo e caritativo ha dello straordinario: essi fondarono scuole e ordini religiosi e si impegnarono lavorando con le donne carcerate.
I coniugi Barolo, nei loro viaggi in Italia e all'estero, osservano attentamente la realtà sociale e le esperienze più svariate, da cui traggono stimoli ed orientamenti per iniziative da realizzare a Torino, una città che ha davvero bisogno di essere soccorsa. La capitale subalpina registra anche altre problematiche: l'industrializzazione l'ha resa un bacino che raccoglie gli immigrati provenienti dalle campagne in cerca di lavoro e fortuna, tuttavia moltissimi troveranno la miseria, l'abbrutimento, la morte (la prostituzione e la delinquenza erano piaghe diffusissime).

Attività di Giulia e Carlo Tancredi

Non avendo avuto il dono dei figli, i marchesi impararono a leggere quest'evento doloroso dentro il disegno provvidenziale della "imperscrutabile saviezza di Dio" (C. T. Falletti di Barolo, Testamento) vivendo comunque una paternità e maternità spirituali fecondissime, adottando i più emarginati dalla società e creando per essi una serie di istituzioni caritative ed educative, ancora oggi attive: per sollevare il popolo dalla miseria, puntano sulla promozione umana dedicando se stessi, il loro tempo e i loro beni a servizio dei più soli ed emarginati.
Giulia, in particolare, dà un grande contributo alla riforma carceraria di Torino. Quest'opera, intrapresa con spirito combattivo e di scontro diretto contro la miseria e lo squallore della vita carceraria, è il frutto di un triste episodio. La domenica in Albis, l'ottavo giorno dopo Pasqua del 1816, mentre lei percorreva via San Domenico, passò la processione che portava la comunione ad un ammalato. Mentre ella stava devotamente in ginocchio, le giunse il grido disperato di un condannato proveniente dalle carceri senatorie, le cui finestre si affacciavano sulla strada: "Non il viatico vorrei, ma la zuppa". Quel grido fu un richiamo irresistibile.

Impegno per carcerate ed ex-carcerate

Giulia chiede di entrare nella prigione da cui era venuta quella bestemmia e ottenuto il permesso di accedervi, rimane sconvolta nel constatare le condizioni igieniche, morali e materiali dei detenuti e delle detenute, per i quali non bastava certo una semplice elemosina. Dopo questo primo approccio, la marchesa di Barolo decide di ritornare. Le prime volte non viene accolta con simpatia, anzi è disprezzata e beffeggiata da molte; tuttavia ritorna ugualmente e con pazienza ed affabilità riesce a conquistare via via l'amicizia di parecchie carcerate: inizia così la sua attività in favore delle recluse. Più luce, più pulizia, più sanità, entrarono in quelle celle, insieme ad un programma, approvato dalle stesse carcerate, basato su istruzione, lavoro, solidarietà e religione. Silvio Pellico annota che quel carcere pian piano prese l'aspetto di "un savio monastero".
Nel 1823 sorse l'istituzione di carità detto "Rifugio", una struttura destinata ad accogliere coloro che, avendo già scontata la pena, volevano continuare la loro formazione professionale prima di inserirsi nella società; più tardi, Giulia affidò a queste ex detenute la cura delle giovani ragazze vittime della disoccupazione, dell'ignoranza e dell'egoismo. Aiutata dal marito trovò la casa che ristrutturò a proprie spese per adattarla all'accoglienza delle ospiti e la cui direzione fu affidata alle suore di S. Giuseppe. Per rispondere poi alle esigenze di alcune ospiti dell'Istituto del Rifugio che desideravano abbracciare la vita religiosa, la Marchesa, collaborata dal marito, fondò l'Istituto delle Suore Maddalene. Alle loro cure vengono anche affidate alcune giovani, già avviate alla prostituzione, che vennero denominate Maddalenine.

Sale d'Asilo, istituzioni educative e impegno civile di Carlo Tancredi

Nel 1825 Giulia e Tancredi aprono le porte del loro palazzo per accogliere i figli di operaie o domestiche altrimenti abbandonati sulla strada: sorge così, a proprie spese, l'Asilo Barolo, la prima istituzione in Italia organizzata come scuola infantile. Nel 1834, in accordo con l'amata consorte, Tancredi fonda la Congregazione delle Suore di S. Anna per assicurare una presenza educativa qualificata nel proprio asilo, evento assai raro nella storia degli ordini religiosi. Altre loro istituzioni per l'educazione furono le Scuole a Borgo Dora in Torino, a Santena, Altessano, Varallo...
Tancredi, in qualità di Decurione e Sindaco di Torino, promuove grandi opere urbane per rendere la città più funzionale e salubre: fa costruire giardini, fontane con acqua potabile, migliora l'illuminazione notturna… fa distribuire razioni di legna ai poveri nell'inverno del 1826 e si adopera con ogni mezzo per aprire scuole comunali gratuite aperte a tutti. Nel 1827 favorisce l'istituzione della prima Cassa di Risparmio per i piccoli risparmiatori e nel 1828 finanzia la costruzione del Cimitero Monumentale della città…
Nell'estate del 1835 il colera, dopo aver toccato più città d'Europa, giunge tragicamente a Torino. Giulia e Carlo si prodigano per l'assistenza ai malati esponendosi ai rischi di contagio, tanto che per l'eroico servizio ai colerosi lei riceve la medaglia d'oro dal Governo e il marito, la cui salute è purtroppo minata irreparabilmente, viene insignito della Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro.
Tancredi muore prematuramente il 4 settembre 1838 lasciando Giulia erede universale del suo immenso patrimonio. Così scrive nel testamento: "Nomino erede universale la marchesa
Giulietta Francesca Falletti di Barolo, nata Colbert, mia dilettissima consorte, e ciò in pegno del profondo affetto che io ho sempre nutrito per lei, e della mia alta stima ed ammirazione per le sue virtù, volendo così porla in grado di proseguire l'esercizio a maggior gloria di nostra santa religione, a beneficio dei miei concittadini ed a suffragio dell'anima mia. Penso con somma soddisfazione che ella farà certamente delle mie sostanze quel buon uso che è da lungo tempo lo scopo dei nostri comuni e incessanti desideri". Giulia farà esattamente così.

Ospedaletto di S. Filomena, Laboratorio e Pensionato S. Giuseppe

L'idea della fondazione di un Ospedaletto, destinato a garantire cure adeguate a bambini malati provenienti da ceti sociali bassi, nacque nella mente dei marchesi Carlo Tancredi e Giulia Falletti di Barolo fin dal 1833. La costruzione dell'Ospedaletto Giulia decise di edificarlo a Torino, nella medesima area del quartiere Valdocco, che ospitava già gli Istituti del Rifugio e delle Maddalene. L'Ospedaletto di Santa Filomena fu aperto nel 1845, e accoglieva preferibilmente bambine bisognose di cure particolari. Accanto all'Ospedaletto era annesso il Laboratorio S. Giuseppe, destinato a circa 60 ragazze povere, che ricevevano un'istruzione elementare di base e un addestramento pratico a lavori artigianali di sartoria, ricamo e maglieria.
L'Istituto Famiglie di Operaie (oggi diremmo Casa famiglia) fu aperto da Giulia nel 1846 ed ebbe sede presso Palazzo Barolo. La prima fu denominata Famiglia di Maria SS.ma, e le altre: Famiglia S. Giuseppe e Famiglia S. Anna. Il Regolamento prevedeva che le ospiti, ragazze povere di età compresa tra i 14 e i 18 anni, fossero alloggiate e ricevessero un'educazione professionale atta ad avviarle al lavoro. Scopo principale della vita nell'Istituto era: creare delle operaie qualificate e dare una buona formazione umana e cristiana; l'istruzione veniva impartita dalle Suore di S. Anna.
Ultima sua opera a favore del popolo torinese fu il finanziamento della chiesa di S. Giulia, dove ora riposano i suoi resti e quelli di Tancredi.

Ultime volontà della Marchesa Giulia

Giulia muore il 19 gennaio 1864. Al fine di preservare il patrimonio, prima della sua morte, aveva ideato la fondazione dell'Opera Pia Barolo, deputata all'amministrazione dei beni dei Falletti. Questa doveva essere lo strumento operativo per proseguire l'impegno sociale, politico e culturale dei Marchesi, nonché creare nuove opere secondo le necessità, come il Collegio Barolo aperto, all'interno del Castello in Barolo, successivamente alla sua morte.
Attualmente la loro attività socio-educativa continua nei vari continenti, con lo stesso spirito evangelico, grazie al servizio delle Suore di S. Anna (1834) e delle Suore Maddalene, oggi Figlie di Gesù Buon Pastore, (1833) e in Torino grazie all'Opera Barolo (1864). Infatti esse hanno sempre saputo coniugare opera assistenziale e opera educativa. La visione di Giulia e Tancredi, ancora oggi, si sposa con le esigenze odierne di nuovo welfare in quanto si focalizza sulla globalità della persona più che sui bisogni immediati, in modo che tutti possano migliorare la propria condizione sociale e secondo la felice espressione del marchese di Barolo possano essere "sollevati dalle loro infelicità".

Sr. Felicia Frascogna SSA, Torino

*** Testi

1 - Pensieri di Giulia:

1 Quante grazie abbiamo ricevute da Dio! Quanti conti a rendere! Confidiamo nella sua misericordia per non essere spaventate.
2 E' di fede che Dio non abbandona chi si abbandona in Lui.
3 Bisogna prendere per massima : gloria a Dio, bene al prossimo e croce a noi.
4 La santa volontà di Dio sia fatta in me per il tempo e per l'eternità.
5 Amiamoci scambievolmente; ma soprattutto amiamo il nostro buon Gesù e la sua santa Madre.
6 Bisogna patire per imparare a compatire e consolare.
7 L'azione parla e persuade, la parola sola è vanità.
8 Patire con amore è il miglior modo di servire Gesù crocifisso.
9 Pensiamo al Paradiso, è là che dobbiamo giungere. Oh come si starà bene!
10 Più saremo vuoti di noi stessi, più Dio ci riempirà dei suoi doni.

2 - Giulia devota della Trinità, della Provvidenza e della Divina Misericordia

Nel 1846 Don Bosco, in un suo libretto, scrisse: "Iddio usa ogni giorno misericordia a' giusti ed a' peccatori... O misericordia di Dio, noi v'imploriamo non solo per noi, ma per tutte le umane creature". L'occasione per l'opuscolo gli fu offerta da una iniziativa della marchesa Giulia di Barolo (1785-1864, venerabile), che, nutrendo una personale devozione alla Divina Misericordia, voleva diffonderla non solo nelle sue comunità religiose, ma anche tra il popolo, nelle parrocchie. Silvio Pellico, estimatore ed amico di entrambi, suggerì a Don Bosco, giovane sacerdote, un opuscolo di sostegno. Il titolo fu: "Esercizio di devozione alla Misericordia di Dio". Don Bosco lo scrisse e lo fece stampare, ma non c'è motivo di dubitare che la marchesa diede il proprio contributo, in maniera discreta, come altre volte… (Mario Scudu, da Rivista Maria Ausiliatrice 2016, n.1).


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT

Editrice ELLEDICI - Torino


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