17 GEN.: SANT'ANTONIO ABATE:
DOV'ERI TU NELLE MIE SOFFERENZE?
Si racconta che Antonio, già oltre i novant’anni e ancora in buona salute nonostante tutte le penitenze, volle fare una visita a Paolo eremita. Il motivo, se volete, era un po’ banale: in sogno aveva saputo che c’era un altro più... santo di lui. Infatti Antonio era sì santo, ma aveva ancora qualche zona d’ombra nella sua vita spirituale non completamente sotto controllo e non ancora illuminata dalla luce di Cristo. Per esempio il settore della vanità. Qualche volta ci cascava. Come? Molto semplice: credeva di essere l’uomo che aveva servito Dio più a lungo, nel deserto. Invece risultava dal sogno che era Paolo eremita. Facciamogli una visita così imparerò anche da lui, avrà pensato. Eccolo adagio adagio mettersi in cammino. Dopo due giorni di fatica arrivò da Paolo. I due si abbracciarono e parlarono a lungo. Giunta l’ora del pranzo, arrivò un corvo a portare del pane. Alla meraviglia di Antonio, Paolo gli disse che era già da molti anni che... pranzava così. Gli confidò anche che Dio lo aveva mandato per seppellirlo, perché era giunta la sua ora. Ed espresse l’ultimo desiderio: essere avvolto, da morto, nel mantello dato da Atanasio ad Antonio. Questi tornò al monastero a prenderlo. Quando fu di nuovo da Paolo, lo trovò già morto, ma ancora in ginocchio.
Antonio visse ancora alcuni anni, e morì il 17 gennaio 356, ultra centenario. Prima aveva ordinato ai discepoli di seppellirlo sulla cima di un monte per scoraggiare... i pellegrini e i curiosi. Aveva provveduto anche ad inviare ad Atanasio la sua tunica di pelle di pecora e il mantello (quello che era servito anche a Paolo l’eremita) in segno di unità nella fede. I suoi resti, nonostante i suoi desideri, non riposarono... in pace per molto tempo, ma furono traslati prima ad Alessandria (dove c’era Atanasio), poi a Costantinopoli e in vari altri luoghi. Tale era la sua fama. Ancora oggi è un santo molto popolare, invocato in molteplici situazioni, perché considerato un taumaturgo. Invocato per esempio contro il fuoco di... Sant’Antonio (chiamato anche ergotismo o “herpes zoster”). Questa fama la ebbe, nel medio evo, per la guarigione da questa malattia di due nobili, i quali in riconoscenza fondarono i Fratelli Ospedalieri di sant’Antonio. È invocato inoltre per la protezione del bestiame (non per niente è chiamato anche sant’Antonio abate o del porcellino), contro le malattie contagiose, le malattie della pelle, le varici e anche contro gli incendi. È anche protettore di allevatori, becchini, campanari, commercianti di maiali, macellai, salumieri, tosatori, agricoltori, fabbricanti di pennelli (dalle setole di maiale), ecc. Un santo polivalente, come si vede, e immaginiamo, anche molto attivo in paradiso, visto il numero dei suoi devoti e protetti (da proteggere).

Va’, vendi quello che hai

È pure chiamato abate, anche se di per sé non fu abate di nessuna abbazia. Il perché di questo titolo è interessante. Secondo il monaco e scrittore Thomas Merton, nell’ambito dei Padri del deserto, abate era qualunque monaco che avesse combattuto per anni nel deserto e si fosse mostrato così servo di Dio. Il Nostro aveva pienamente dimostrato ambedue le cose. Quindi chiamiamolo pure abate, lo merita.
Antonio nacque da genitori benestanti e cristiani nell’Alto Egitto, verso il 251. Questi morirono quando aveva circa vent’anni. Ed è proprio in quegli anni che, ascoltando il Vangelo in chiesa, sentì le famose parole di Gesù: “Se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri” (Mt 19,21). Antonio credette rivolte a lui stesso quelle parole. Diede infatti parte dei suoi beni agli altri, specialmente poveri. E incominciò la sua vita da eremita, prima in un cimitero, poi all’età di 35 anni in un forte abbandonato. Nel 306 accolse i primi discepoli fondando un monastero. Vita di preghiera, di Parola di Dio, di penitenza, di solitudine dal mondo, ma non di estraneità dal mondo. Infatti nel 311, Antonio si recò ad Alessandria per sostenere i “confessori della fede”, che gemevano per la persecuzione dell’imperatore Massimino. Dopo due anni tornò nel deserto.
Nel 338 ebbe il coraggio e l’energia nonostante i quasi 90 anni di tornare ad Alessandria a dar man forte al vescovo Atanasio (memoria il 2 maggio) che combatteva contro gli ariani. E sembra che questa sua presenza fu decisiva per la vittoria sull’eresia.
Atanasio ricompensò l’anziano eremita scrivendone la Vita, che rimase il vero testo chiave del suo insegnamento. Non è certamente una vera biografia come la intendiamo noi moderni, infatti in essa Atanasio voleva rappresentare il tipo ideale di monaco e di servitore di Dio. Scrisse infatti: “Per i monaci, la vita di Antonio è un esempio di ascetismo”. Viene messo in risalto anche un’altra caratteristica: la concentrazione sul momento presente. Non una vita di rimpianti, non una fuga in avanti, fatta di sogni spirituali irrealizzabili. Viveva ogni momento presente nel nome di Dio e alla presenza di Dio. Scrisse Atanasio: “Egli stesso non si ricordava del tempo trascorso ma, ogni giorno, come un principiante nell’ascesi, si sforzava maggiormente per progredire...”.

Antonio, Io ero qui con te

La sua vita di eremita non deve essere stata facile, non solo per le privazioni fisiche di ogni genere, per la preghiera e per continue penitenze volontarie, per le furibonde lotte con il demonio, particolarmente cattivo con lui, ma anche dal punto di vista spirituale. Ebbe anche lui le sue croci da portare, i suoi momenti di scoraggiamento, di oscurità spirituale (chiamata anche “notte dello spirito”). Anche Antonio ad un certo punto ebbe l’impressione che tutta la sua vita fosse un’illusione (anche se pia), pensava con tristezza di essere lui stesso un fallito umanamente e spiritualmente, sedotto e poi abbandonato da Dio (ricordate Geremia?). Ma da vero santo (anzi la santità di una persona si evince proprio in questi terribili momenti) non mollò il proprio impegno, non diminuì gli sforzi, non abbandonò la propria fede in Dio e nel suo amore incrollabile, compiendo giorno per giorno il proprio dovere. Alla fine arrivò la ricompensa: la luce di Cristo lo inondò di nuovo prepotentemente. Allora Antonio gli chiese: “Ma dov’eri tutto questo tempo? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?”. Risposta: “Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta”.
Probabilmente a certi uomini del nostro tempo, anche cristiani, una figura come Antonio non dirà molto. Forse non si capirà quel suo vivere per quasi tutta la vita nel deserto, lontano dalla mischia umana. Qualcuno bollerà tutto questo come fuga dalle proprie responsabilità di uomo. Non è stato così. Antonio era andato nel deserto per cercare Dio, non per sfuggire a se stesso e agli altri, per un bisogno autentico dell’Assoluto non per una spinta nevrotica. Pregava e lottava per gli altri con la preghiera, il digiuno, la meditazione. Sono “armi” anche queste, ed efficaci. Tuttavia non disdegnò, quando c’era bisogno, di tornare e sostenere di persona i suoi fratelli e sorelle nella fede.
Antonio insegna ancora oggi all’uomo moderno, che vive in quel che viene chiamato il disincanto del mondo, a guardare alla Natura con occhi contemplativi, vedendo in ogni piccolo granello di bellezza un appello di Dio, delle autentiche parole di Dio all’uomo. Per Antonio la Natura era il libro di Dio: lo leggeva sempre, si arricchiva di questa lettura, e con cuore ne ringraziava l’Autore. Anche gli animali furono sempre presenti nel suo mondo (e nella iconografia che lo celebra). Li considerava quasi come fratelli, anch’essi delle piccole parole di Dio all’uomo.
La scelta di vivere per Dio nel deserto non era stata una scelta egoistica o individualista, era la “fuga dell’uno verso l’Uno”, alla ricerca dell’unità con l’Essere fondamentale per il nostro essere. Ma anche in questo tipo di vita Antonio lascia a noi moderni, malati spesso di individualismo e di egoismo, il messaggio dell’importanza degli altri, di ogni altro umano attorno a noi. Si attribuiscono a lui queste parole: “La vita e la morte dipendono dal nostro prossimo; se noi ci conquistiamo un fratello ci conquistiamo Cristo, se noi invece scandalizziamo il nostro prossimo, pecchiamo contro Cristo”. Parole che possono cambiare prospettiva al nostro vivere sociale e al nostro impegno quotidiano con gli altri e per gli altri.
                                                                 
                       MARIO SCUDU sdb ***


La natura, il libro di Dio
Un certo filosofo chiese ad Antonio: “Padre, come puoi essere così felice, se ti privi della consolazione dei libri?”. Antonio rispose: “Il mio libro, o filosofo, è la natura delle cose create, e ogni volta che voglio leggere le parole di Dio, il libro è davanti a me” (Detti dei Padri del deserto).
Il lavoro, via di salvezza
Domandarono ad un anziano: “Che cosa bisogna fare per essere salvati?”. Questi stava lavorando ad intrecciare una corda e senza alzare gli occhi dal suo lavoro rispose: “Ecco, lo vedi”.

Sereno... come un masso
Abba Antonio istruiva abba Ammone dicendogli: “Il tuo timore di Dio deve crescere ancora di più”, e accompagnandolo fuori dalla cella gli mostrò un grosso masso e gli disse di andare ad insultarlo e a batterlo senza tregua. Quando questi ritornò, Sant’Antonio gli chiese se il masso avesse reagito. Ammone rispose naturalmente di no. Allora Abba Antonio gli disse: “Anche tu devi arrivare al punto in cui niente può offenderti”. (Detti dei Padri del deserto).

L’arco troppo teso...
Una volta arrivò un cacciatore che, vedendo Antonio e alcuni suoi confratelli divertirsi, li rimproverò. Egli allora gli ordinò di tirare freccia dopo freccia, fino a quando il cacciatore si fermò temendo di rompere l’arco. Antonio allora gli disse: ”Lo stesso accade con le opere di Dio, se ci spingessimo oltre la misura i fratelli crollerebbero subito; è quindi giusto, di tanto in tanto, alleggerire i loro sforzi. (Interessante: non disse “per alleggerire i nostri sforzi”).
L’arco troppo teso...
Una volta arrivò un cacciatore che, vedendo Antonio e alcuni suoi confratelli divertirsi, li rimproverò. Egli allora gli ordinò di tirare freccia dopo freccia, fino a quando il cacciatore si fermò temendo di rompere l’arco. Antonio allora gli disse: ”Lo stesso accade con le opere di Dio, se ci spingessimo oltre la misura i fratelli crollerebbero subito; è quindi giusto, di tanto in tanto, alleggerire i loro sforzi. (Interessante: non disse “per alleggerire i nostri sforzi”).


IMMAGINE:
1 Incontro tra Antonio e Paolo, Diego Velázquez (1633) - El Prado, Madrid. /
2 Sant'Antonio Abate: affresco su una parete del monastero di BOSE (BIELLA)

*** Questo e altri 120 santi e sante sono confluiti nel volume:
         
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice ELLEDICI, 2011, pp.936

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-1
VISITA Nr.