10 Gennaio:  SAN GREGORIO DI NISSA, vescovo e dottore della Chiesa
      
DIO,
    L'INFINITO DESIDERIO DELL'UOMO   


Leggendo la vita di Gregorio di Nissa (vescovo e dottore della Chiesa) c’è subito un particolare che colpisce: il numero di persone sante (almeno conosciute dal calendario liturgico) con le quali egli fu in contatto per legami familiari, professionali o amicali. Ecco le principali che si conoscono.
In primis, suo fratello Basilio, detto Magno, come lui vescovo, dottore della Chiesa e santo. Gregorio ne subì il grande fascino e l’inevitabile influsso (per qualche biografo perfino qualcosa di più: una specie di timore più che riverenziale quasi frenante la sua personalità).

La seconda figura “santificante” fu la sorella maggiore Macrina (santa) per la quale ebbe una grande venerazione e ammirazione. Questa era così entusiasta dell’ideale della vita monastica che la iniziò già da ragazza nella propria casa. Dopo la morte del padre riuscì a convincere e a “convertire” ad essa anche la madre e... i domestici. E così nel loro casolare fuori dal paese vivevano tutti una specie di vita monastica fatta di preghiera, riflessione sulla Scrittura, semplice lavoro manuale e ospitalità. Macrina contagiò in questo ideale anche i fratelli Basilio e Naucrazio. Ma non ci riuscì con Gregorio. Anzi, per un certo periodo, questi guardò tutto questo zelo religioso e para monastico con una certa freddezza, non solo, anche con scetticismo.

Altro santo (e che santo) fu Gregorio Nazianzeno, anche lui vescovo e dottore della Chiesa, grande amico e compagno di studi di Basilio. Questi ultimi due, insieme con il nostro Gregorio, sono ricordati come i “i santi Cappadoci”. Basilio, uomo di governo e organizzatore, Gregorio Nazianzeno, oratore e teologo, Gregorio di Nissa, pensatore, filosofo e mistico. Una triade di stelle luminose di prima grandezza (qualcuno tra questi tre ci mette anche Giovanni Crisostomo, nato propriamente ad Antiochia) che fa molto onore alla Chiesa d’Oriente. In verità sono venerati e onorati grandemente anche in quella d’Occidente, che a sua volta può mettere in campo un terzetto altrettanto prestigioso, composto da Gerolamo, Ambrogio, Agostino, considerati delle vere colonne della Chiesa.

Altre persone che hanno influito su Gregorio, almeno per fama, furono i nonni paterni. Questi appartenevano ad una famiglia nobile, perseguitati duramente per la loro fede e privati dei loro beni si rifugiarono, per ben sette anni, sulle montagne per sopravvivere alla persecuzione. Una testimonianza di fede coraggiosa e paziente, che non passò certo inosservata. E che diede i suoi frutti tra gli amici e familiari.

Non si dice forse, con un proverbio profano che “una ciliegia tira l’altra”? Ebbene “santificandolo” un po’ possiamo dire che “un santo tira l’altro”. La dimostrazione di una simile affermazione si trova nella storia della Chiesa. Quella più recente (visto che la presente rivista è fatta all’ombra della Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino-Valdocco) è proprio la storia di San Giovanni Bosco e la straordinaria fioritura, attorno a lui, di altri santi, già dichiarati tali dalla Chiesa, o sulla stessa buona strada (vari beati e tra i venerabili, ricordiamo sua madre, Mamma Margherita, dichiarata tale nel novembre 2006). Insomma un santo non vive mai invano e non passa sulle strade di questo mondo senza creare altra santità attorno a sé.

Uomo di grande cultura...

Gregorio nacque verso il 335 nella Cappadocia (odierna Asia Minore). Fin da ragazzo sentì attorno a sé un duplice influsso: quello della cultura profana (e classica pagana) incarnata dal padre, retore a Cesarea, e quello dell’ideale monastico, messo in luce dal comportamento di Macrina e dei due fratelli.
A differenza di Basilio che studiò ad Atene (insieme a Gregorio Nazianzeno), non frequentò nessuna delle famose università del tempo (Atene, Antiochia, Alessandria, per l’Oriente), ma ebbe lo stesso un’ottima formazione scolastica, come conveniva ad uno come lui di buona estrazione sociale.

Ma mentre Basilio era un uomo pratico e pragmatico, Gregorio era invece di natura più riflessiva, meditativa, era insomma portato alla speculazione e alla contemplazione. Alla base della sua cultura filosofica ci furono le letture di Filone, Origene (che lo influenzerà e condizionerà molto) e Plotino. Non solo, conosceva anche la filosofia di Platone e dei neo platonici (Porfirio). Sentiva attorno a sé, dolce e suadente, il richiamo dell’ideale monastico ma ancor più percepiva e respirava, forte e avvolgente, il vento della cultura classica e degli impegni profani.

Per Gregorio l’ideale monastico e ascetico, serio e coinvolgente, potevano attendere. Ma non altre scelte di vita. È interessante il rimprovero che gli fece Gregorio Nazianzeno: quello di preferire ai libri sacri quelli profani, il nome di retore a quello di cristiano. Lui lasciò cadere il rimprovero dell’amico, continuò per la sua strada, diventò retore ed è certo che prese anche moglie (che però morì presto).

... dal carattere mite, incerto e... ingenuo

Erano gli anni delle grandi lotte teologiche. In ballo c’era la sopravvivenza dell’ortodossia cattolica contro le grandi eresie del tempo, la più perniciosa delle quali era l’arianesimo, il cui veleno stava contaminando molte regioni e comunità cristiane. Fu Basilio ad assumere la direzione della lotta a questa eresia, e per raggiungere l’obiettivo cercò dei collaboratori di assoluta fiducia. Gli occhi caddero sul fratello Gregorio (che venne fatto vescovo di Nissa) e l’altro Gregorio (vescovo di Nazianzo).

Ma ben presto il carattere poco pragmatico e accorto (leggi ingenuo) di Gregorio venne fuori. L’opposizione politico-ecclesiale, per nulla impaurita dalla sua cultura, lo accusò di aver amministrato male i beni della Chiesa. Ahimè, era così caduto ingenuamente nella rete dei suoi nemici. L’accusa era grave quanto infondata. Il povero Gregorio venne accusato, ma non solo, fu arrestato e imprigionato senza tanti scrupoli. Ed il freddo della prigione gli procurò un’infiammazione ai polmoni ed una lombaggine. Un bel regalo come ricordo di quella esperienza, non c’è che dire. Ma non era finita. Tirato fuori dal carcere (era intervenuto Basilio) dovette andare in esilio. E quando ritornò nel 377, a parziale risarcimento dell’ingiustizia subita, la gente lo accolse trionfalmente. Poco, ma meglio che niente.

È interessante che già anni prima (374) quando si trattava di mandare a Roma un negoziatore per trattare col Papa Damaso, Basilio stesso sconsigliò di scegliere il fratello per la sua manifesta ingenuità (già dimostrata precedentemente) dicendo “quale vantaggio potrebbe esserci per le nostre faccende contrapporgli un uomo come Gregorio, a cui l’adulazione e il servilismo sono del tutto estranei?”. E così sfumò il viaggio a Roma.

Ma fu proprio la morte di Basilio nel 379 che diede la svolta decisiva alla vita di Gregorio. Forse si sentiva dominato dalla sua personalità forte e pragmatica (lo chiamava addirittura suo maestro), forse aveva capito che si era affidato troppo alle decisioni e ai progetti del fratello. Si sentì solo ma non si scoraggiò, anzi tirò fuori il meglio di se stesso (che era tanto). Divenne infatti consapevole delle proprie responsabilità verso la Chiesa che guidava, diventò un vero combattente dell’ortodossia, coraggioso e profondo, e si impegnò con forza maggiore e decisa nelle dispute teologiche del tempo. Fu nel Concilio ecumenico di Costantinopoli del 381 che Gregorio toccò il vertice della sua fama e: contribuì (tra gli applausi) a far trionfare le idee teologiche che furono di Basilio e del loro comune amico Gregorio Nazianzeno. Era ormai un uomo ed un vescovo stimato da tutti. Anche l’imperatore Teodosio lo apprezzava molto.

Dio, sempre l’Oltre dei nostri pensieri e desideri

Ma, per fortuna nostra, le incombenze per la sua chiesa e le controversie teologiche non lo distolsero dallo scrivere il frutto delle proprie ricerche e riflessioni.
L’opera di Gregorio è importante per la Chiesa e per l’umanità: sia per la quantità sia per varietà degli argomenti trattati e anche per la profondità. Ci ha lasciato trattati di teologia dogmatica, commenti alla Parola di Dio, opere di teologia ascetica e anche di mistica.

Vediamo alcune idee e intuizioni più significative.

Per Gregorio di Nissa Dio è l’infinito desiderio dell’uomo, la meta suprema, spesso inconscia, di ogni sua aspirazione e compimento. Proprio perché l’uomo è creato ad immagine di Dio, e questa è stata ed è deturpata dal peccato e dal male, lo scopo e l’impegno della vita spirituale (ascesi) è quello di restaurare questa immagine per arrivare gradualmente alla sua contemplazione. Attraverso questa l’uomo deve liberarsi dai condizionamenti della sua sensibilità e terrestrità, perché Dio si trova al di là di ogni immagine che noi ci facciamo di lui, è sempre l’Oltre di tutto ciò che l’uomo pensa e concepisce di lui. Dio è cioè sempre anche al di là di ogni capacità umana di conoscenza e intuizione.

Alla base di questo sta il fatto fondamentale che Dio è natura infinita e l’uomo è di natura limitata. C’è qui la famosa e originale dottrina della inconoscibilità di Dio o anche della “tenebra di Dio”, concetti ripresi poi dallo Psudo Dionigi. La vita umana quindi è un continuo cammino verso Dio, un faticoso e incessante pellegrinare e protendersi verso di lui. Il vivere umano deve essere uno studiare e riflettere su di lui nella sua totalità, un contemplarlo con gli occhi della fede, per riuscire ad amarlo sempre di più. Alla fine di questo impegnativo processo di ricerca e di amore, se persevereremo ci sarà la visione beatifica e beatificante, totale e totalizzante. Il premio finale sarà il contemplarlo “faccia a faccia, così come Egli è”. E sarà il tutto per noi, per sempre. Non più ricerca di Dio ma visione.

Nella Scrittura inoltre noi possiamo trovare la conoscenza di Dio. La Parola penetra in noi come acqua spirituale, che ci disseta e che troviamo sempre abbondante nei santi e in tutti gli entusiasti di Dio. I profeti, gli evangelisti, gli apostoli hanno già attinto questa acqua per noi. Dobbiamo solo prenderla e così dissetarci spiritualmente.

Ma c’è anche un pericolo, e qui entra in gioco, come ovvio, anche Satana. Gregorio ci avvisa che, nella ricerca continua di Dio, ci può essere la tentazione dello scoraggiamento. Quando abbiamo constatato che l’essenza di Dio è mistero e quindi ineffabile e inafferrabile nella sua totalità dall’uomo, creatura limitata e condizionata, si può commettere l’errore di rinunciare a questa ricerca incessante “col pretesto che questo fine chiaramente è troppo elevato per le nostre possibilità” o anche perché “ogni idea di Dio scivola via dalle mani” senza mai trattenere niente di lui di definitivo, dispensando così dalla ricerca e dall’impegno spirituale. Gregorio ci ricorda anche che si può “vedere Dio” indirettamente nello specchio che è la nostra anima purificata, proprio perché Dio stesso non è e non può essere lontano da noi, anzi è vicino, addirittura dentro di noi.

E di Cristo che cosa ci dice Gregorio? Molto sinteticamente: per lui la nostra fede è fede vera solo se è radicata in e su Cristo. Nell’opera De Perfectione inoltre si trova una meditazione sui diversi titoli cristologici. Che cosa significano questi titoli di Cristo come “alfa e omega, pace, splendore della gloria, pietra angolare, immagine del Dio invisibile, primogenito della creazione”? Essi acquistano pieno significato solo se Cristo è diventato il fondamento di tutta la nostra esistenza, solamente se lui può operare nella nostra vita senza limitazioni.

Il cristiano è quindi invitato a crescere nella fede, perché se essa ci dona una certa percezione e conoscenza di Dio, tuttavia rimane sempre debole anche se sembra forte.
Vissuto in un periodo turbolento per la Chiesa, durante il quale Gregorio (come Basilio) dovette lottare contro gli ariani per l’ortodossia, non c’è da meravigliarsi che egli abbia insistito molto sull’unità della Chiesa, perché attraverso di essa si edifica un’umanità finalmente ridiventata una. Per lui la divisione dell’umanità è conseguenza della disunità di ogni individuo. E quando la singola persona ritrova l’unità in se stessa, questa risplende necessariamente anche sugli altri.
La vera immagine di Dio non è tanto l’anima singola chiusa in se stessa, ma l’umanità intera riunificata attorno a Dio. E i primi e più importanti modelli spirituali che bisogna imitare, secondo Gregorio, non sono gli eremiti, che pensano principalmente alla propria santificazione personale, ma a personaggi come Mosè, Paolo di Tarso e ai pastori del popolo che lavorano per la Chiesa.

L’ultima tappa di questo grandioso sforzo spirituale personale e della Chiesa sarà la riunificazione finale del mondo intero, materiale, umano e angelico. Questa visione escatologica di Gregorio contempla tutto l’universo arrivato a Dio e finalmente unito in lui come meta finale in cui riposarsi del lungo cammino che è stata la vita. Tutti insieme formeranno “un solo coro, che guarda all’unico capo coro” cioè a Cristo.

                                                                                                         MARIO SCUDU sdb ***


La nube dell’inconoscibilità di Dio

Al grande Mosè, Dio si rivela dapprima nella luce: dopo gli parla nella nube; infine Mosè, elevatosi più in alto e divenuto più perfetto, lo contempla nella tenebra... La prima separazione dalle opinioni false ed errate su Dio è il passaggio dall’oscurità alla luce; la conoscenza più esatta delle cose nascoste, che attraverso le cose visibili conduce alla realtà invisibile, è come una nube che oscura tutto il mondo sensibile e guidi ed abitui l’anima alla contemplazione di ciò che è nascosto; l’anima che così si è posta in cammino verso le altezze e che ha abbandonato tutto ciò che è accessibile alla natura umana penetra nel santuario della conoscenza di Dio, avvolta in ogni parte dalla tenebra divina. Là, dato che tutto il sensibile e l’intelligibile sono stati lasciati fuori, alla contemplazione dell’anima resta solo ciò che è invisibile e inafferrabile dall’intelligenza: è là che abita Dio, secondo la Scrittura... “Mosè entrò nella tenebra ove era Dio”.


 Il viaggio, metafora della vita

A rendere più sicuro il viaggio occorre provvedere l’equipaggiamento necessario alle mani e ai piedi. Bisogna coprirci i piedi, perché le spine di questa vita, che sono i peccati, non ci danneggino. Ci occorrono perciò calzature robuste (che fuor di metafora sono le austerità e le mortificazioni), capaci di spezzare la punta delle spine, di impedire cioè che il peccato penetri nell’anima fin dagli inizi, quando cioè si presenta in forma attraente ed entra in noi furtivamente. Una tunica lunga fino ai piedi e chiusa tutta intorno non pare molto adatta per un viaggio, che Dio vuole condotto speditamente. Essa dovrebbe essere interpretata come il simbolo delle piacevoli comodità della vita che la retta ragione, al pari di una fascia attorno ai fianchi, deve cercare di ridurre al minimo indispensabile. Questa fascia è la saggezza. Il bastone, destinato a tener distanti i cani, rappresenta invece le parole della speranza cui ci appoggiamo nelle stanchezze dell’anima e con le quali ci difendiamo dai rabbiosi assalti dei nemici.

                                                                             Commento al Cantico dei Cantici, XI


Il perché dell’Incarnazione

Vuoi sapere la causa per la quale Dio nacque tra gli uomini?...
La nostra natura aveva bisogno di un medico, perché era caduta in una malattia. L’uomo caduto aveva bisogno di uno che lo rialzasse. Colui che aveva perduto la vita, aveva bisogno di colui che la dà. Colui che s’era distaccato dalla partecipazione del bene aveva bisogno di chi ve lo riconducesse. Colui che era chiuso nelle tenebre aveva bisogno di riavere la luce. Aveva bisogno di un redentore il prigioniero, di un aiuto l’incatenato, d’un liberatore lo schiavo oppresso sotto il giogo. Ti sembra che siano cose piccole queste e che non meritassero d’attirare lo sguardo di Dio e d’indurlo a discendere per visitare la natura umana, quando l’umanità giaceva in uno stato infelice e miserabile?

Da Oratio Catechetica Magna II, 15
***
Questo e altri 120 santi e sante sono confluiti nel volume:
         
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice ELLEDICI, 2011, pp.936
 IMMAGINI
1 San Gregorio di Nissa, Ms. Vat. gr 1613, fol. 349 - Biblioteca Apostolica Vaticana. / Gregorio sentì fin da ragazzo l’attrazione a Cristo e alla cultura. La sua vita sarà dedicata a coniugare la fede con la cultura del suo tempo.
2
San Gregorio Nisseno con Basilio e Gregorio di Nazianzo, Ms. gr 510, fol. 71v - Bibliothèque Nationale, Paris. / Nella sua vita, Gregorio ebbe molti amici santi, dediti allo studio della Scrittura e alla vita monastica.
Cartina che mostra i viaggi di Basilio e dell'amico Gregorio Nazianseno. In alto una moneta raffigurante l’imperatore Giuliano l’Apostata, acerrimo avversario di Basilio.
4  Manoscritto delle Omelie di San Gregorio di Nissa, Ms. gr 550, fol. 204 - Bibliothèque Nationale, Paris. / La lapidazione di Stefano avvenne in un periodo in cui l’autorità romana non era presente a Gerusalemme, altrimenti ogni condanna a morte sarebbe dovuta essere prima esaminata dal rappresentante dell’Imperatore.
5 San Gregorio di Nissa con il Crisostomo, Ms. gr 1208, fol. 1v.- Bibliothèque Nationale, Paris. / La penitenza e l’austerità ci aiutano ad impedire al peccato di entrare in noi quando si presenta in modo attraente.


       RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2007 - 1
      
VISITA Nr.