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Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012
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8 febbraio: S.
Giuseppina Bakhita ***
S. Giuseppina Bakhita (1870-1947), religiosa canossiana e prima santa
africana
Io
sono amata da Dio che è mio Padre
E' impressionante il racconto della vita
di Giuseppina Bakhita (santa), umanamente ci commuove, cristianamente
ci scuote. Prendiamolo come una santa frustata, diretta proprio alla
nostra poca fede, ai nostri immobilismi spirituali e forse anche ai
nostri ideali già cristallizzati o non aggiornati. Conoscendo
tutta la parabola della sua esistenza ci viene subito in mente il proverbio
che non tutto il male viene per nuocere. Ma, in generale, penso che
non sia di grande e vera consolazione per nessuno. Più teologicamente
significativo invece è il detto che "Dio scrive diritto
anche sulle righe storte degli uomini" (Jacques Bossuet). E' stato
proprio il caso di Giuseppina: sulle righe molto storte che alcuni uomini
ha tracciato su di lei da bambina e poi da ragazza, Dio con la sua grazia
ha saputo scrivere diritto un messaggio positivo per lei e per tutti
noi: che Lui c'è in qualunque situazione noi ci troviamo, che
non dimentica nessuno dei suoi figli e figlie, anche se, molto spesso,
sono loro che lo dimenticano.
C'è un pensiero del dottore della Chiesa, Francesco di Sales,
che ha scritto secoli fa ma che ci aiuta a capire la vita di questa
santa africana, le sue vicissitudini e sofferenze con il lieto fine,
sotto lo sguardo della "suprema provvidenza". "Le avventure
del patriarca Giuseppe sono meravigliose per la varietà e i passaggi
da un estremo all'altro. I fratelli, che lo avevano venduto per perderlo,
furono fortemente meravigliati di ritrovarlo viceré e si meravigliarono
ancor di più che non provasse alcun risentimento per il torto
ricevuto: "No, disse loro, non è per i vostri intrighi che
mi trovo qui, ma per un disegno della Provvidenza divina; voi avete
fatto dei progetti malvagi su di me, ma Dio li ha condotti a buon fine.
Vedi, Teotimo, il mondo avrebbe chiamato fortuna o caso fortuito quello
che Giuseppe chiama disegno della suprema provvidenza, che dispone e
riduce tutte le cose al proprio servizio" (da Trattato dell'amore
divino, II, 3).
Penso comunque che un pensiero di S. Paolo ai Romani (Rm 8,28) ci può
veramente aiutare a capire la storia di questa santa: "Noi siamo
sicuri di questo: Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo
amano, perché li ha chiamati in base al suo progetto di salvezza".
E anche nella sua vita Dio si è fatto sentire, in vari modi,
come una luce interiore che la illuminava e la guidava attraverso la
contemplazione del creato: davanti allo spettacolo del cielo stellato
provava una strana commozione, misto ad un profondo bisogno che ci fosse
Qualcuno da adorare. Dal creato al Creatore: quello stesso salto che
S. Paolo rimprovera all'uomo in generale di non aver saputo fare e di
essersi fermato ad adorare le creature (sole, luna ecc. ) Giuseppina
l'aveva fatto. Disse una volta: "Io lo amavo pur senza conoscerlo".
Fu battezzata a vent'anni e la vera grande scoperta che la fece felice
per sempre fu che era diventata figlia di Dio, lei che era stata schiava,
lei nera, lei povera, lei analfabeta. Ecco la verità fondamentale
e consolante per lei: sentirsi amata totalmente da Dio, fino ad essere
chiamata sua figlia. Era stata schiava per forza degli uomini, adesso
voleva volontariamente essere 'schiava d'amore' per quel Dio che era
suo Padre. Uno delle sue frasi più comuni, riguardo a Dio era
"El paròn l'è bon" e cioè il Padrone
(come lei chiamava Dio) è buono". E per più di cinquant'anni
servì generosamente, con tutta se stessa, quel 'Paròn'
così buono da volerla sua figlia.
Quando Giovanni Paolo II nel 1992 la dichiarò beata (fu canonizzata
nel 2000) disse: "Nel nostro tempo, in cui la corsa sfrenata al
potere, al denaro, al godimento causa tanta sfiducia, violenza e solitudine,
Suor Bakhita ci viene ridonata dal Signore come sorella universale,
perché ci riveli il segreto della felicità più
vera: le Beatitudini. Il suo è un messaggio di bontà eroica
ad immagine della bontà del Padre celeste. Ella ci ha lasciato
una testimonianza di riconciliazione e di perdono evangelici
.".
E' bella questa definizione di 'sorella universale': una sorella di
tutti, bianchi e neri, poveri e ricchi. Che può capire tutti
quelli che soffrono lei che aveva tanto sofferto, una sorella che ci
insegna la capacità e il coraggio di perdonare proprio perché
lei lo fece anche con i suoi rapitori che la ridussero in schiavitù.
Che ci insegna questo abbandono nelle braccia del Padre celeste: Lui
ci condurrà certamente alla salvezza, anche su strade che per
noi in quel momento saranno storte e faticose.
C'è da non crederci
.
E' una storia straordinaria fatta di
tanta sofferenza per lei e di altrettanta cattiveria umana su di lei,
ma anche di fede, di bontà, di perdono e di fiducia nella Provvidenza.
Giuseppina (questo il suo nome di battesimo) nacque nel 1870 nel Darfur,
nel Sud Sudan. Da bambina "vivevo allora pienamente felice senza
sapere che cos'era il dolore" dirà lei stessa. Ma la sofferenza
si presentò ben presto nella sua vita, e questo in occasione
del rapimento della sorellina maggiore. Allora in Africa era ancora
fiorente il mercato degli schiavi, quindi erano presenti questi razziatori
o negrieri a caccia di prede umane. Ma all'età di nove anni toccò
proprio a lei: fu rapita per essere venduta come schiava. Dal terrore
lei non ricordava nemmeno il suo nome ed allora il suo rapitore le disse
con sarcasmo: "Ti chiameremo Bakhita, cioè la fortunata".
Venduta una prima volta riuscì a fuggire con una sua compagna
di sventura, accolta da un contadino invece di accompagnarla dai genitori
la cedette proprio ad un mercante di schiavi che la vendette ancora
ad un generale turco. E per Bakhita fu proprio un' esperienza traumatica:
percossa, frustata, insultata, torturata con dolorosi tatuaggi sul corpo
e altre violenze pesanti
fino a rendere il suo corpo, come diceva
lei, "una tavola liscia". Un vero inferno di sadismo contro
di lei. Un particolare che lei stessa mise in risalto: nonostante vivesse
tra gente sadica, e in maniera promiscua con altri schiavi, non venne
mai violentata. E lei, con tanta semplicità, dirà: "La
Madonna mi ha protetta, anche se non la conoscevo".
Ma la Provvidenza non l'aveva dimenticata. Dovendo il generale turco
musulmano tornare in patria vendette i suoi schiavi, tenendosene soltanto
dieci! A Kartoum vendette anche Bakhita, che fu acquista dal console
italiano
Questi, insieme alla famiglia, la trattarono come un
essere umano, la vestirono bene e usarono sempre rispetto con lei, senza
mai parlarle di Dio: era una famiglia buona anche se non molto religiosa.
Ma per Bakhita l'essere trattata bene e con rispetto fu un'esperienza
nuova, incoraggiante, che cominciò a risvegliare in lei anche
il senso religioso di riconoscenza a quel Qualcuno "che io amavo,
anche senza conoscerlo".
Dopo due anni, dovendo il console tornare in Italia con urgenza, Bakhita
chiese con insistenza di essere portata con loro. Arrivata a Genova,
istintivamente baciò la terra: un gesto strano per gli altri,
per lei significava la liberazione
cominciava ad essere felice.
Altra svolta positiva. Fu donata ad una famiglia veneta amici del console.
Il motivo: questi avevano una bambina di tre anni, Mimmina, che vedendo
la ragazza negra, ci si affezionò subito, amicizia a prima vista,
si direbbe, e tanto fece e insistette presso i genitori per averla in
famiglia. Fu accontentata, Bakhita quindi diventò per Mimmina
una specie di tata (di più, una seconda mamma) tanto da dormire
nella stessa bella e lussuosa camera. Era trattata molto bene, nutrivano
per lei fiducia e sincero rispetto
ma di Dio anche qui non si
parlava mai. I suoi nuovi padroni, i Michieli, era praticamente atei.
Però avevano insegnato alla loro bambina le preghiere fondamentali
Padre, Ave e Gloria che anche la sua "mammina nera" ormai
aveva imparato a recitare con lei. Dirà più tardi che
sentiva una strana dolcezza nel proprio cuore quando recitava quelle
preghiere, anche se non ne capiva il significato pieno.
Bakhita aveva ormai diciassette anni, e stava per arrivare la svolta
decisiva tale da aprirle nuovi e decisivi orizzonti: la fede cristiana.
E in questo primo inizio di cammino un grande merito va a Illuminato
Cecchini, il fattore della famiglia Michieli: era un fervente cattolico
e fu lui a regalarle un Crocifisso, seguito, possiamo immaginare, da
una prima catechesi.
Sono figlia di Dio
e figlia di
Maria
Dopo tre anni i nuovi padroni decisero
di trasferirsi definitivamente in Africa
. e Bakhita? Provvisoriamente
le trovarono una sistemazione a Venezia, presso le Suore Canossiane.
"Questa è la tua casa: resta". Torneremo. Eh sì,
erano obbligati a tornare perché la Mimmina, non ne volle sapere
di staccarsi dalla sua tata Bakhita.
E così ebbe inizio il cammino di educazione cristiana. Non sapeva
leggere e scrivere, ma "beveva la dottrina" come dirà
in seguito. Alcuni passaggi di questa educazione furono particolarmente
forti e penetranti il suo cuore: Dio non ci abbandona e conosce le nostre
sofferenze, perché lui è nostro Padre e noi siamo
suoi
figli e figlie, non fa distinzione se siamo bianchi o neri, se siamo
stati
schiavi. Verità rivoluzionaria capace di darle un
nuovo e completamente diverso orizzonte di vita. "Io sono amata
da Dio, che è mio Padre" ecco la verità affascinante
e incoraggiante.
Ma la padrona tornò dal suo viaggio preparativo
pronta
a ripartire definitivamente
ma questa volta con Bakhita e naturalmente
la Mimmina. Fece male i calcoli. Bakhita ostinatamente si rifiutò
di seguirla. La signora fece appello alle più alte autorità
italiane e religiose
ma queste le dissero che la schiavitù
in Italia era stata abolita quindi non poteva costringerla. "Non
voglio perdere il buon Dio" disse lei in quell'occasione. Vinse
e restò in Italia.
Il 9 gennaio 1890, a vent'anni, fu battezzata col nome di Giuseppina,
ricevette anche la Cresima e fece la Prima Comunione. Tutto in un giorno.
Molti anni dopo accompagnando una sua amica e baciando il battistero
disse: "E' proprio qui che sono diventata figlia di Dio
mi
povera negra. Qui mi hanno versato l'acqua che mi ha aperto il Paradiso."
E visitando la cappellina dedicata alla Madonna: "E qui sono diventata
figlia di Maria". Dirà che per lei, orfana, la devozione
alla Madonna era sempre stato un grande conforto.
Fece il noviziato e nel 1996 finalmente diventò una suora canossiana,
previo esame del patriarca di Venezia, card. Giuseppe Sarto (futuro
Pio X), che in veneto le disse: "Pronunciate i santi voti senza
timore. Gesù vi vuole, Gesù vi ama. Voi amatelo e seguitelo
sempre così".
A Schio Giuseppina diventò
Madre Moretta
Nel 1902 l'obbedienza la mandò
a Schio. Vi rimarrà quasi cinquanta anni, facendo i lavori più
disparati, secondo quello che comandava l'obbedienza. E così
fu cuoca, sacrestana, portinaia, ortolana, e sarta dedita al rammendo.
Tutti cominciarono a conoscere la suora negra, che affettuosamente chiamarono
Madre Moretta. La conobbero e l'amaro per la sua bontà, per la
pazienza infinita, per il suo sorriso sempre pronto con tutti, la sua
semplicità e disponibilità agli altri. E capacità
di perdono. Anche a chi le chiedevo un giudizio duro di condanna per
coloro che l'aveva rapita e trattata così crudelmente, Giuseppina
rispondeva che il solo male nel mondo era quello di non conoscere Dio,
un Padrone così buono. I padroni erano stati cattivi con lei
perché non conoscevano Dio, Padrone buono di tutti e con tutti.
Anche le sofferenze subite non erano poi così gravi per lei perché
era giunta a conoscere il "Padre celeste".
Alcune testimonianze di persone che la conobbero e l'amarono. "Chiesi
un giorno a Madre Bakhita: "Come fa, Madre, ad esser così
buona?: Mi rispose: "Come si fa ad offendere un Padrone così
buono, quando si sono serviti padroni così cattivi?". Dio
era per lei: "El me Paròn". "El vero Paròn".
"El Paròn l'è bon", "Come vole el Paròn".
Un'altra testimonianza mette l'accento sulla sua bontà, sulla
capacità di sorridere e
di essere ottimista: "Era
sempre uguale a se stessa, sempre sorridente". Ed un'altra: "Non
le ho mai visto fare cose straordinarie. Straordinaria era la sua bontà
Ricordo la sua capacità di guardare sempre il lato buono delle
persone e delle cose. Non l'ho mai sentita dire male di qualcuno. Parlava
bene perfino dei negrieri che l'avevano rapita. Diceva che l'avevano
aiutata a diventare cristiana e religiosa".
La sua storia intanto fa il giro del mondo. Titoloni: la ex schiava
diventata religiosa. E così nel 1933 le fecero intraprendere
una serie di viaggi con finalità di 'propaganda' missionaria
in Cina e in Africa. Per lei furono una sofferenza. Molte volte non
riusciva a parlare
con abbondanza, almeno come speravano gli organizzatori.
Ma tutti erano toccati dalla sua storia. Raccontò nelle sue memorie:
"Se incontrassi quelli che mi hanno rapita e torturata, mi inginocchierei
a baciare loro le mani, perché se non fosse per loro non sarei
ora cristiana e religiosa".
Non tutto comunque andò sempre bene, ci sono sempre le eccezioni.
Fu anche fatta segno di rilievi razzisti, non proprio di apprezzamento
per la sua presenza
.nera. Ma la stragrande maggioranza l'accettò
e l'amò perché proprio lei fece di tutto per farsi accettare
e amare, con il proprio impegno e con bontà e pazienza.
Ebbe anche lei la sua razione di sofferenze fisiche, dovuto ad un polmonite,
ai viaggi e anche alle conseguenze delle torture subite da giovane.
E gli ultimi anni, malandata in salute, li passò su una carrozzella.
E quando le consorelle la lasciavano troppo a lungo in cappella (in
parole povere
la dimenticavano!) all'infermiera che sopraggiungeva
trafelata e scusandosi per la dimenticanza lei sorridendo diceva che
"l'aveva passato bene in compagnia di Lui!" e che il tempo
passato in cappella non la stancava per niente.
Morì, piena di malattie e di dolori, l'8 febbraio 1947 esclamando:
"Quanto sono contenta
la Madonna, la Madonna!". E la
Madonna portava in Paradiso quella sua figlia che aveva tanto sofferto,
ma che aveva amato non solo Dio "el bon Paron" ma anche ogni
prossimo, perfino i suoi rapitori e torturatori.
Mario
SCUDU sdb - Torino
*** Testi
* Quello che vuole il
Padrone (Dio, el Paron). Come si fa a non voler bene a Signore.
* Non valgo niente.. ma come han fatto a tenermi in convento?
* Povera io? Io non sono povera perché sono del Signore e nella
sua casa: quelli che non sono del Signore sono i veri poveri.
* "Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo
conoscono. Se sapeste che grande grazia è conoscere Dio!".
* Quando le chiedevano se preferiva vivere o morire lei rispondeva:
"Che importa? Tanto sono sempre nei suoi possedimenti
Lui
sa che ci sono, quando sarà la mia ora, Lui mi chiamerà".
* Durante la Prima Guerra mondiale, parte del convento era stato adibito
ad ospedale militare. E Giuseppina aveva osservato che l'attendente
del capitano portava sempre due valigie, la sua e quella del suo superiore.
E lei diceva che voleva arrivare al Paradiso, davanti al Padre eterno
come un attendente, con due valigie quella sua e quella del suo capitano
Gesù. Il "Paron" le avrebbe fatto aprire le valigie:
quella sua con i suoi peccati, e poi avrebbe aperta l'altra, quella
pesante, perché piena dei meriti del suo Capo Gesù, e
lei certamente sarebbe stata accolta con gioia perché aveva portato
anche quella seconda valigia.
***
Tratto dal volume:
MARIO
SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.
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