IL PITTORE
CHE HA FATTO PIANGERE GLI ANGELI
Da alcuni anni,
si fa un gran parlare e scrivere su modernità e post modernità,
sulle narrazioni forti passate e sul pensiero debole presente,
sulle dimensioni antropologiche delluna parte e dellaltra.
Si afferma che gli elementi fondanti e propulsivi della modernità
sono stati due: lemancipazione delluomo da ogni vincolo,
specialmente da quello metafisico e religioso (chi non ricorda
Kant e il suo Sapere aude, che è stato il
vero motto dellilluminismo), e la costante e assoluta esaltazione
della ragione (fino a farne la dea ragione).
Questa era stata lartefice del progresso scientifico, morale
e civile, si sosteneva. Luomo e le sue capacità
raziocinanti e calcolanti al di sopra di tutto e al centro di
tutto. Ecco la vera rivoluzione copernicana.
Poi è venuto il secolo XX con le sue ideologie devastanti
e le due spaventose guerre mondiali. Qualcosa non quadrava. Molte
certezze caddero, molti punti di riferimento messi in crisi.
Dove splendeva superba la luce della ragione, subentrava furtiva
lombra del dubbio.
I sostenitori della post modernità affermano che, scoperta
la debolezza della ragione con leredità del XX secolo,
bisogna rivalutare o riscoprire altre forme diverse e complementari
di conoscenza. Si dice anche che bisogna superare il puro logo
centrismo riaffermando così che luomo non comunica
solo con la ragione perché non è solo ragione,
ma che cè anche il linguaggio del cuore da non sottovalutare
e dimenticare. Pascal diceva che si può (o si deve?) conoscere
se stessi e Dio anche attraverso il cuore, perché questo
ha delle ragioni che la ragione non conosce.
Sembra proprio che le ragioni della ragione, da sole, non bastino
per vivere umanamente.
Anche larte, come linguaggio comunicativo, non fa appello
alla pura logica e razionalità, ma è tuttavia una
delle vie per conoscere la realtà. Il linguaggio
dellarte è una via di conoscenza, è un ambito
in cui si può attingere alla sorgente della vita e al
vero, percepito come bello.
La modernità aveva riservato allarte uno spazio
marginale, una specie di «seconda classe», in cui
era stata relegata insieme ai sentimenti, poco considerati dalla
gnoseologia. Oggi si riconosce che larte ha un approccio
alla verità meno violento dellargomentazione e della
logica, un approccio nel segno del simbolo, del fascino, dellattenzione
e della libera adesione (Ignazio Sanna, in Lantropologia
cristiana tra modernità e post modernità, Queriniana
2001, pag. 218).
Tra le grandi religioni, è solo il cristianesimo che ha
sviluppato una vera cultura dellimmagine, e quindi dellarte.
Cè un vincolo stretto tra arte e religione cristiana,
tra fede e bellezza, tanto da ipotizzare che in Occidente difficilmente
avremmo avuto uno sviluppo dellarte e una disciplina chiamata
estetica senza il cristianesimo, e in special modo
senza il concilio di Nicea del 787 che sanciva lapprovazione
del culto delle immagini, contro liconoclasticismo che
cera stato in precedenza nel concilio di Hiereia del 754.
Nicea quindi ha sancito la differenza tra le tre religioni monoteiste:
mentre lebraismo e lislamismo sono chiamate religioni
del libro o della parola, il cristianesimo in forza dellincarnazione
è la religione dellimmagine, perché Dio in
Cristo Gesù si è mostrato, si è fatto visibile,
conoscibile attraverso la sua presenza incarnata e attraverso
la sua Parola (importanza della Bibbia).
Nel cristianesimo non solo un bel discorso mi può parlare
e portare a Dio, ma anche un fiore, un paesaggio, un bel tramonto
o un bel quadro di qualche artista. Anche larte, cioè
il linguaggio della bellezza, mi può aiutare a conoscere
Dio, a riflettere su di Lui e a ricordarmi di Lui. Questi sono
stati i sentimenti che hanno guidato il cuore, la mente e la
mano di un famoso pittore passato alla storia come il Beato Angelico.
È un grande della pittura italiana, universalmente noto
e presente in prestigiosi musei del mondo. Ma per la Chiesa è
anche un personaggio da pregare e imitare perché è
stato dichiarato Beato da Giovanni Paolo II.
La sua, in verità, è stata una canonizzazione atipica.
Infatti perché si intraprenda tutto il complesso iter
ci vogliono il processo canonico, la segnalazione di miracoli,
il culto presso la tomba del candidato ecc. Di fra Giovanni sono
sempre esistite le folle di visitatori che rimangono ammirati
davanti ai suoi quadri, traendone certamente un influsso positivo
di gioia e di serenità estasiante. Anche questo è
un miracolo. Comunque Giovanni Paolo II ha dribblato tutti questi
paletti centenari e rispettosi della tradizione, e ha deciso
di sua autorità che il Nostro era degno del titolo di
Beato. Era già chiamato così da secoli, ma adesso
cera il sigillo ufficiale. E così fu nel 1994.
Un bravo frate
che predicava... col pennello
Guido di Pietro
era nato a Fiesole, presso Firenze, verso il 1400. Non si sa
molto della sua vita. Ma si è certi che studiò
pittura e fu ammesso in una delle numerose gilde di pittori presenti
nella città. Probabilmente conobbe Masaccio, ma con certezza
egli subì linfluenza di Lorenzo Monaco, un pittore
e monaco camaldolese di Siena.
Verso il 1420 quando entrò nellordine domenicano,
col nome di Fra Giovanni da Fiesole, aveva già una discreta
fama di pittore. In convento continuò a dipingere, sostenendo
così con i suoi diritti dautore i suoi confratelli.
Come pittore egli rappresenta il passaggio dal Medio Evo al Rinascimento,
sintetizzando nelle sue opere il fervore religioso del primo
con lamore puramente estetico del bello in sé del
secondo. Fu anche il primo italiano a dipingere paesaggi riconoscibili
e il primo a guardare alla natura come ambiente bello e gradevole,
in cui vivono e agiscono le creature di Dio. Non solo conosceva
le leggi della prospettiva ma era anche abile nellutilizzarla.
Insomma è un grande artista (E. H. Gombrich).
A partire dal 1441 cominciò a dipingere una scena sacra
nella cella di ogni frate del convento di San Marco in Firenze.
Lobiettivo era religioso e catechistico: aiutare la meditazione,
la devozione e la preghiera dei frati. Per il Beato Angelico
larte era un modo di meditare e di predicare: le sue opere
mostravano alla gente che cosa si doveva adorare, in perfetto
accordo con la tradizione catechetica domenicana
(A. Butler).
Al di fuori del convento di San Marco dipinse numerosi affreschi,
per lo più rappresentanti la Madonna col Bambino in compagnia
di santi. Dipinse anche due cappelle in Vaticano su commissione
del papa Eugenio IV, e cominciò a lavorare anche ad un
grande ciclo di affreschi sul Giudizio Finale della cattedrale
di Orvieto. La Cronaca di Orvieto di allora lo definisce: un
fratello magnifico, un grande pittore, famoso più di tutti
i pittori italiani. Prima della morte lavorò ancora
a Roma per la Basilica di San Pietro.
Un elemento caratteristico dei suoi dipinti è la presenza
degli angeli: angeli belli nelle forme, immersi nella più
profonda beatitudine, sprizzanti gioia di vivere, pieni di luce
indicanti così la vicinanza al Dio della gioia e della
luce. Chi li vedeva era rapito come in Paradiso e sollecitato
a pensieri soprannaturali.
Girolamo Borselli già nel 1517 gli attribuì il
titolo di Beato, e per sottolineare questa numerosa
presenza angelica nei dipinti il Vasari nella prima biografia
del 1550 lo chiamò fra Giovanni Angelico.
Proprio per questo motivo, narra una leggenda molto carina, che
quando il celebre frate pittore morì, agli angeli da lui
dipinti spuntò una lacrima di dolore per il loro amico.
Si sa che ogni pittore dipinge basandosi o ispirandosi a determinati
modelli o modelle viventi, questo lo faceva anche il sommo Michelangelo.
Ebbene questi, vedendo i dipinti dellAngelico, scrisse
di lui: Si deve credere che questo buon monaco abbia visitato
il Paradiso e abbia avuto il permesso di scegliere là
i suoi modelli. Non ci poteva essere complimento più
bello e più centrato.
È proprio vero. Contemplare i suoi dipinti è regalarsi
un po di aria di Paradiso, concedersi un piccolo saggio
e assaggio della Realtà Ultima Futura che è Dio
nella sua gloria e beatitudine (che sarà anche nostra),
significa elevare i propri pensieri e credere che, dopo tutto,
questa terra con le sue gioie e dolori (talvolta, più
numerosi) non è tutto. Simili pensieri non ci faranno
certamente male e, Dio sa, quanto ne abbiamo bisogno.
MARIO
SCUDU sdb ***
*** Questo e altri 120 santi e sante sono
nel volume di :
MARIO SCUDU,
Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
Chiunque vuole
dipingere Cristo, deve essere su questa terra molto vicino a
Cristo. (Beato Angelico). E fra Giovanni da Fiesole lo
fu sempre.
Fra Giovanni:
di virtù ornato molto
Fra Giovanni decto da Fiesole anghielicho, vezoso, et divoto
et di virtù ornato molto, con grande facilità dipinse
in Firenze, in Roma et altrove (A. Billi, Il Libro, 1516-30).
La compunzione
del cuore, i suoi slanci verso Dio, il rapimento estatico, il
gusto anticipato della beatitudine celeste, tutto questo genere
di emozioni profonde e esaltate che nessun artista può
rendere senza averle prima provate, ecco quale fu il misterioso
ciclo che il genio di Fra Angelico amava percorrere e che rifece
daccapo dopo averlo terminato... (A. F. Rio).
IMMAGINI:
1 Annunciazione, Museo del Prado,
Madrid /
2 Annunciazione, Museo di San Marco,
Firenze /
3 Annunciazione, Muso Diocesano di Cortona
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2004-2
VISITA Nr.