6 feb. : S. Paolo Miki e Compagni, martiri a Nagasaki, 5 feb. 1597
SARETE MIEI TESTIMONI

Dopo due secoli e mezzo di “splendido isolamento”, verso la metà del 1800 il Giappone si aprì di nuovo al mondo occidentale ed europeo, alla sua cultura e alle sue tradizioni, alla tecnologia e ai valori. Era infatti dal 1825 che le varie potenze occidentali premevano sulle autorità di quel grande paese dell’Estremo Oriente perché si aprisse di nuovo al commercio. Ma non solo. Esse chiedevano in particolare un trattamento umano per i loro naufraghi, la concessione di stazioni di rifornimento (carbone) nei porti e la libertà di operare sul suolo dell’arcipelago per i loro mercanti (ma anche per i missionari). Chiedevano insomma una svolta importante alla storia giapponese. E per iniziarla o per facilitarla gli americani pensarono che occorresse un piccolo “shock”. Nel 1854 infatti, violando tutti i divieti, ecco comparire nella baia di Tokyo una flotta di 9 navi guidate dall’ammiraglio Matthew Perry. Non ci fu bisogno di altri discorsi. Quella mossa, più che eloquente, costrinse lo “shogun” al potere ad aprire un certo numero di porti alle navi occidentali. Yokohama (non lontano da Tokyo) fu uno dei primi porti prescelti. Nel 1856 arrivò il primo ambasciatore americano e due anni dopo era pronto il primo trattato commerciale, sul quale poi si baseranno gli altri delle potenze europee.

Dopo l’accordo franco-giapponese del 1859 furono i Missionari delle Missioni Estere di Parigi, tra i primi, ad arrivare in Giappone e riprendere l’evangelizzazione, godendo di maggiore libertà, anche se le leggi anticristiane erano ancora vigenti. Anche se in un primo momento il loro apostolato si svolgeva principalmente tra gli europei dei porti. Alcuni anni più tardi i missionari si stabilirono a Nagasaki edificando una chiesa dedicata ai martiri del Giappone (del 1597) che erano stati canonizzati l’8 giugno del 1862 dal Papa Pio IX.

Fu il Venerdì Santo del 1865 che si presentò in chiesa un gruppetto di giapponesi che rivelarono agli stupiti missionari che c’erano circa 10.000 cristiani rimasti fedeli e sparsi nei villaggi dell’isola di Goto e nella valle di Urakami. Li chiamavano “kakure kirishitan” cioè “cristiani nascosti”. Per più di due secoli i cristiani giapponesi furono sottoposti ad una persecuzione costante e a varie umiliazioni. Ma non cedettero. Certo il numero di fedeli diminuì sensibilmente (si calcola che all’inizio del 1600 erano circa 400.000) e i missionari occidentali lentamente scomparvero. Ma il vero miracolo, date le circostanze, fu che la fede cristiana venne trasmessa dai genitori ai figli senza l’aiuto e la guida di nessuna struttura ecclesiastica. E questo per più di due secoli. Fino a quell’incontro del 1865 con i missionari. Incoraggiati da questa testimonianza l’opera di evangelizzazione ripartì con entusiasmo, anche se solamente nel 1889 furono abolite le leggi anticristiane, che concedevano di nuovo la libertà religiosa.

Continuando l’opera di Francesco Saverio

Verso la metà del 1547, nell’isola di Malacca, Francesco Saverio, missionario gesuita, fece la conoscenza di un indomito lupo di mare, di nome Yajiro, un ex pirata dei mari della Cina. Particolare fondamentale: era giapponese. Questi gli fece una bellissima descrizione del Cipangu, cioè del Giappone. Yajiro parlava dei propri connazionali come di un popolo di buona cultura, animato dal desiderio di imparare e dell’interesse anche per le cose religiose. Francesco ascoltava tutte queste cose, sognando già il suo nuovo campo di apostolato. Voleva presto rispondere a questo desiderio dei Giapponesi di conoscere “cose nuove su Dio”. Non fu il primo missionario occidentale in Giappone, ma rimase certamente il più originale e il più famoso.

Rimase solo pochi anni in Giappone ma pose le solide basi per il futuro lavoro di evangelizzazione, che fu continuato da altri missionari gesuiti e francescani (ai quali si aggiunsero in seguito anche i domenicani e gli agostiniani). A quarant’anni dalla predicazione di Francesco Saverio, nel 1590, i cristiani arrivarono ad essere circa 200.000. E la comunità dei convertiti di Nagasaki era diventata il centro di questo piccolo Popolo di Dio giapponese. Tra questi si distinse Paolo Miki, un giovane predicatore.

Paolo era nato nel 1556 da una famiglia nobile e benestante di Kyoto, importante città d’arte e di cultura. Era figlio di un nobile samurai, convertito al Cristianesimo assieme ad alcuni monaci buddisti. Fu battezzato a 5 anni e da ragazzo entrò nel seminario dei gesuiti. Proseguendo gli studi di teologia fino a diventare sacerdote. Il giovane religioso riusciva bene in tutto (eccetto che in latino!). I suoi superiori perciò gli chiesero di approfondire la cultura del suo popolo, a tutti i livelli, per essere in grado di dialogare con i vari strati sociali della società giapponese: con la gente colta come i monaci buddisti e shintoisti e con quella povera di cultura e di altri mezzi materiali, spesso oppressi dai loro padroni. Paolo riusciva a dialogare con ogni tipo di persona, colta o senza cultura, ricca e nobile o povera ed umile. E sempre con efficacia. Con il suo modo di fare e di dialogare si guadagnò la stima ed il rispetto di tutti. Era inoltre un predicatore valente e convincente sia con la parola sia con la testimonianza di vita.

Morire cantando i salmi e perdonando

Il lavoro di evangelizzazione tra la sua gente sembrava avere un sicuro avvenire, ricco di soddisfazioni apostoliche e di risultati di conversioni. Ma all’orizzonte si intravedono nubi foriere non di pace ma di dolore e di persecuzione (il motivo, dal punto di vista storico, non è ancora del tutto chiaro).
Nel 1587, infatti, lo shogun al potere, Hideyoshi Toyotomi, promulgò un editto di espulsione di tutti i predicatori cristiani. Cominciava così la persecuzione: minacce di morte sul rogo a famiglie di giapponesi convertiti, chiese bruciate nei villaggi, proprietà confiscate di autorità. Missionari costretti a lavorare in semi clandestinità. Finché lo shogun dittatore ordinò l’arresto dei missionari e dei loro collaboratori catechisti specialmente nelle città di Kyoto, Osaka e Nagasaki. Paolo Miki fu arrestato nel 1596. E quando fu trasferito in carcere vi trovò altri missionari (alcuni francescani con Pietro Battista), catechisti laici, ragazzi chierichetti giovanissimi (15 anni circa).

Anche in questa circostanza difficile, Paolo emerse con la sua personalità e con la sua santità: diventando per tutti un punto di riferimento, di esempio e di coraggio, di pazienza e di costanza nella sofferenza per la propria fede.
Furono invitati tutti a rinnegare la propria religione ma nessuno lo fece. Furono minacciati a morte, mutilati (taglio di un orecchio), esposti al ludibrio e alla vergogna durante il viaggio di trasferimento, ma nessuno cedette. L’esecuzione doveva avvenire per crocifissione, a Nagasaki. Così erano gli ordini, che furono eseguiti il giorno 5 febbraio. Erano 26 cristiani. E morirono qualcuno pregando in silenzio, qualche altro cantando i salmi, tutti perdonando ad alta voce il loro persecutore e i carnefici che eseguivano gli ordini di morte. Erano i primi martiri cristiani in terra di Giappone. Correva l’anno 1597.

                                                                                           MARIO SCUDU ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono nel volume di :
          
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
Pieni di consolazione e di gioia nel Signore

Dei frati che ci troviamo qui, sei siamo stati presi e per molti giorni tenuti in carcere. La stessa sorte è toccata a 17 nostri terziari giapponesi, a un sacerdote della Compagnia di Gesù (il giapponese padre Paolo Miki) e a due suoi catechisti.
Siamo ora in viaggio in questi freddi mesi invernali... Ciò nonostante, ripieni di consolazione e di gioia nel Signore, andiamo avanti, poiché nella sentenza emessa contro di noi è stato detto che saremo crocifissi per aver predicato il santo Vangelo. Gli altri, perché seguaci del Vangelo.
Per coloro che desiderano morire per Cristo, ora si presenta una buona occasione. Sono persuaso che i fedeli di questo luogo si sentirebbero molto confortati se qui ci fossero i religiosi del nostro Ordine...
Sapevamo che eravamo stati condannati a morte, ma solo a Osaka siamo stati informati che ci dirigevamo a Nagasaki per esservi crocifissi.
La vostra carità ci raccomandi molto al Signore, perché il nostro sacrificio sia a lui gradito...
Fratelli carissimi, aiutateci con le vostre preghiere perché la nostra morte sia accetta alla divina Maestà.
Nel cielo, dove a Dio piacendo speriamo di arrivare, ci ricorderemo di voi...

                 Da Le Lettere, del missionario francescano spagnolo San Pietro Battista Blasquez, dei giorni 4 gennaio e 2 febbraio 1597, l’ultima scritta tre giorni prima di morire


Passione di Paolo Miki e compagni

Piantate le croci, fu meraviglioso vedere in tutti quella fortezza alla quale li esortava sia Padre Pasio, sia Padre Rodriguez. Il Padre commissario si mantenne sempre in piedi, quasi senza muoversi, con gli occhi rivolti al cielo. Fratel Martino cantava alcuni salmi per ringraziare la bontà divina, aggiungendo il versetto: «Mi affido alle tue mani» (Sal 30,6). Anche Fratel Francesco Blanco rendeva grazie a Dio ad alta voce. Fratel Gonsalvo a voce altissima recitava il Padre Nostro e l’Ave Maria.
Il nostro fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso. Quindi soggiunse: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Si rivolse quindi ai compagni, giunti ormai all’estrema battaglia, e cominciò a dir loro parole di incoraggiamento.
Sui volti di tutti appariva una certa letizia, ma in Ludovico era particolare. A lui gridava un altro cristiano che presto sarebbe stato in Paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori. Antonio, che stava di fianco a Ludovico, con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l’istruzione catechista; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo.
Altri infine ripetevano: «Gesù! Maria!», con volto sereno. Alcuni esortavano anche i circostanti ad una degna vita cristiana; con questi e altri gesti simili dimostravano la loro prontezza di fronte alla morte.
Allora quattro carnefici cominciarono ad estrarre dal fodero le spade in uso presso i giapponesi. Alla loro orribile vista tutti i fedeli gridarono: «Gesù! Maria!» e quel che è più, seguì un compassionevole lamento di più persone, che salì fino al cielo. I loro carnefici con un primo e un secondo colpo, in brevissimo tempo, li uccisero.

Dalla Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni scritta da un autore contemporaneo
(Cap. 14, pp. 109-110; Acta Sanctorum Febr. 1, 769)


Il cristianesimo in Giappone oggi

Il cristianesimo e, in particolare, il cattolicesimo non sono più considerati una religione che «puzza di burro». D’altronde i cattolici giapponesi si sentono parte essenziale della comunità giapponese e, allo stesso tempo, si sentono parte integrale della comunità universale della Chiesa cattolica.
Sono soprattutto le scuole cattoliche (559 materne, 54 elementari, 98 medie inferiori, 113 medie superiori, 26 università con corsi di due anni e 18 università a ciclo prolungato) che fanno della Chiesa cattolica una realtà molto visibile e molto rispettata. I rapporti tra scuola e studenti, tra scuola e genitori, tra scuola ed ex alunni è molto intenso e dura tutta la vita. Nelle scuole cattoliche, poi, non c’è nessuna imposizione religiosa. Gran parte degli studenti non diventa cattolica, ma in grande maggioranza diventa «simpatizzante» del cattolicesimo. Per di più, il 90% degli adulti che si convertono e ricevono il Battesimo hanno avuto il primo contatto con Cristo e la sua Chiesa attraverso la scuola.
La Chiesa è anche molto presente nel settore sociale: in Giappone i cattolici gestiscono 234 nidi d’infanzia, 192 case per anziani, 80 centri sociali per i senzatetto o per altri servizi, soprattutto nelle zone più abbandonate nelle periferie delle grandi metropoli.
Il numero totale dei cattolici giapponesi è di circa 500 mila. Si tratta di una realtà numericamente esigua: 500 mila su 126 milioni di abitanti. Ma questi 500 mila formano un gruppo di persone profondamente radicato nella fede cattolica e nella propria cultura giapponese...
                                         
                   Giuseppe Pittau S.I. - Da Agenzia Fides


IMMAGINI:
1  
Reliquie del braccio di San Francesco Saverio, conservate nella Chiesa del Gesù a Roma.  2 San Paolo Miki (Kyoto 1556 - Nagasaki 1597). 3  Un giapponese convertito al cristianesimo, come indica la croce che porta intorno al collo.  4  Una Pagoda di Kyoto.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2006-2
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