SAN POLICARPO, martire: (80-125)
FRUTTI ABBONDANTI PER DIO


1° ottobre 2000: Roma, Piazza San Pietro. Non è una bella giornata. L’aria è fresca, sa già di autunnale. Il cielo è grigio, il sole è assente. Anzi ad un certo punto cade abbondante la pioggia. Per i pellegrini radunati nella grande piazza, sotto gli ombrelli è lo stesso una bella giornata. Per la Chiesa Cattolica intera è un giorno splendido e memorabile, da segnare negli annali bimillenari della sua storia. Giovanni Paolo II dichiara infatti santi più di cento martiri “cinesi” (di nazionalità cinese e i missionari di varie nazioni). Anch’essi fanno parte di quella schiera di uomini e donne, discepoli di Cristo, che “hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello” e sono passati attraverso la “grande tribolazione” dando a Lui la testimonianza della loro vita.
Non a caso questo nostro secolo appena trascorso è stato definito “un secolo di martiri”. I discepoli e le discepole di Cristo sono morti a migliaia testimoniando la loro fede cristiana fino a donare la propria vita. Sono caduti testimoni della Verità, che è Cristo, uccisi dai dittatori di turno. Questi, nella loro breve comparsa sul palcoscenico della storia, volevano innalzarsi al di sopra di tutti e di tutto proponendo se stessi e la loro ideologia, come la verità ultima (vedi nazismo e comunismo, e vari nazionalismi). Sono caduti anche vittime della persecuzioni dei Turchi (mussulmani), che all’inizio del XX secolo hanno sterminato, si calcola, circa due milioni di Armeni cristiani, perché, per loro, erano “infedeli” e nemici di Allah (la storia ha fatto giustizia anche di questo orrendo “buco nero”). Oggi l’Islamismo violento dei suoi fanatici integralisti, continua questa persecuzione (ricordiamo Algeria, Sudan, Indonesia, Timor, Pakistan, Nigeria, nelle isole Molucche e in altri paesi mussulmani).
Il XX secolo quindi un “secolo di martiri”. Certamente. E gli altri no? Penso che ogni periodo storico e quindi ogni secolo, sia stato un secolo di martiri. La differenza è che oggi con tutti i sistemi di informazione, di calcolo, di registrazione siamo più aggiornati sui numeri delle persone che muoiono per la loro fede in Cristo Gesù. Ma la missione cristiana, la evangelizzazione, il semplice vivere da cristiani non sono mai stati una piacevole passeggiata. L’ambente circostante molto spesso è stato indifferente, altre volte ostile ma non aggressivo, di tanto in tanto non solo aggressivo ma anche distruttivo. Ecco i martiri. La loro presenza è segno di questa lotta e della presenza delle forze antagoniste del male, guidate dal Diavolo, l’antico e moderno “Avversario” di Dio, e dai suoi seguaci. Del resto perché meravigliarci? I cristiani si ispirano a Cristo e vogliono seguirlo? Ma che fine ha fatto Lui? L’ambiente del suo tempo non l’ha sopportato, lo a perseguitato e ucciso su una croce. È lui il primo martire dell’era cristiana. Anzi l’aveva perfino predetto per sé e per il suoi discepoli di tutti i tempi, anche del secolo XX. Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù annuncia ai suoi discepoli che anch’essi saranno consegnati ai tribunali e condotti davanti ai governatori e ai re “per causa sua” per dare testimonianza: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt 10,22). E nel Vangelo di Giovanni Gesù afferma: “Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è da più del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome” (Gv 15,20).
Quindi la persecuzione ed il martirio sono realtà non eliminabili dall’orizzonte della vita dei discepoli di Cristo. Anzi, come ha scritto la Civiltà Cattolica, “la presenza del martirio nella vita della Chiesa significa allora, nonostante tutte le miserie e debolezze, che la Chiesa è la Chiesa di Gesù Cristo: il martirio cioè è un argomento a favore della perennità storica della Chiesa. Significa ancora che la Chiesa continua nella storia umana la missione di Gesù...”. In tutti i secoli i martiri hanno sempre avuto la coscienza di seguire Gesù Cristo, di portare la croce come Lui e dietro di Lui, di continuare la sua passione per la salvezza del mondo. In tutti i secoli essi hanno sentito e pensato al martirio come ad un privilegio, perché esso li metteva in comunione intima con il loro Signore Gesù Crocifisso.

Ma chi è il martire?

Il XX un secolo di martiri, certamente, ma anche il primo e il secondo secolo, quando è vissuto San Policarpo, sono stati secoli di grandi persecuzioni e di martiri.
Ma chi è il martire? La risposta a questo interrogativo è importante, per capire tutti i martiri, e in particolare San Policarpo, che è il santo che vogliamo ricordare in questo mese.
Proprio nei giorni in cui avevo deciso di scegliere San Policarpo come santo di febbraio, ho letto questo bel pensiero di Bernanos: “La maggior parte degli uomini impegnano nella vita soltanto una piccola parte, una parte ridicolmente piccola del loro essere, come quei ricchi avari che un tempo se ne morivano perché spendevano soltanto l’utile dei loro utili. Un santo non vive nell’utile dei suoi utili e neanche vive soltanto dei suoi utili, vive del suo capitale, impegna tutta quanta la sua vita. Impegnare la propria anima...”. Ecco una prima e bella definizione di martire: uno (o una) che ha “impegnato la propria anima” per qualcosa, meglio nel nostro caso per Qualcuno, che è poi Gesù Cristo. Il martire nel martirio “impegna tutta la vita”. Non lascia niente per sé, ma tutto è per Dio e per Cristo. Quando uno offre la vita morendo non ha più niente per sé.
Però questo non basta. Ecco una seconda definizione (ufficiale) tratta dal Catechismo Universale della Chiesa Cattolica,
n. 2473): “Il martirio è la suprema testimonianza resa al-
la verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza”. “Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio” (Sant’Ignazio di Antiochia).
E nel numero 2474: “Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto i ricordi di coloro che per testimoniare la fede sono giunti fino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della Verità scritti a lettere di sangue: “Non mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco Colui che morì per noi; io voglio Colui che per noi resuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente” (Sant’Ignazio di Antiochia).
Ancora Bernanos ha scritto che certi uomini vogliono per vivere “delle verità rassicuranti. Ma la verità non rassicura nessuno: la verità impegna”. I martiri, e anche San Policarpo, hanno sentito forte questo desiderio di morire piuttosto che rinnegare la verità di Cristo, o meglio la Verità che è Cristo. Tutti i martiri sono stati uomini e donne che hanno cercato tutta la vita Dio e la sua verità rappresentata in Cristo Gesù. E una volta trovata questa Verità non hanno esitato, anzi qualche volta sollecitato i loro persecutori (come nel caso di Sant’Ignazio di Antiochia, di San Policarpo, di San Lorenzo e altri), a non privarli della possibilità della suprema testimonianza del proprio sangue, versato per Gesù Cristo. Hanno fatto proprio come ha scritto uno dei grandi profeti del XX secolo, il Mahatma Gandhi: “Alla Verità si arriva con un ossequio totale, e con un’indifferenza assoluta per ogni altro vantaggio che può offrire le vita. Chi cerca la Verità dev’essere pronto a sacrificare tutto per la Verità”.
Leggendo la vita dei santi martiri ci si accorge che sono santi non per le sofferenze sofferte, ma per l’eroicità delle loro virtù della fede, speranza e amore a Cristo e al prossimo. L’amore totale a Lui era sempre la “causa fondante” o motivazione di base della loro vita e morte. Come ha scritto il grande Agostino: “Martires non poena facit sed causa”, cioè non sono le sofferenze patite che fanno il martire, ma la causa per cui esse sono sopportate. Questo è vero anche nel caso di San Policarpo.

Policarpo, “istruito da quelli che avevano visto il Signore”

Sant’Ireneo scrisse di lui che “Policarpo fu istruito nella fede da quelli che avevano visto il Signore” e “fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne”. Lo sponsor per questo incarico così prestigioso sembra che sia stato addirittura l’apostolo ed evangelista Giovanni. Diventato capo e guida dei cristiani di Smirne verso l’anno 100, Policarpo fu spettatore di un evento straordinario. Nel 107 passò nella città e fu suo ospite il vescovo di Antiochia, Ignazio, in viaggio per Roma dove avrebbe subito il martirio. Ignazio poi gli scrisse una lettera nella quale sono contenute notizie interessanti su Policarpo. Lo loda anzitutto “per il suo zelo instancabile per la verità”, riconosce che il giovane vescovo è un buon pastore e un forte combattente per la causa di Cristo. Gli raccomanda perfino la sua chiesa di Antiochia, e gli suggerisce di entrare in relazione con le altre chiese dell’Asia minore. Da questo si deduce che Policarpo era considerato una figura importante nel panorama della chiesa del I e II secolo.
Altre notizie preziose ci vengono ancora da Ireneo di Lione (proveniva però dall’Asia Minore anche lui). Il giovane Ireneo aveva visto l’anziano vescovo predicare alle sue pecorelle, con molta pazienza e dolcezza, e mostrare grande sollecitudine per le vedove e gli schiavi. Queste alcune caratteristiche peculiari della sua personalità. Qualità però che non gli impedirono di essere giustamente duro contro coloro che attentavano all’unità della chiesa e all’integrità della verità trasmessa dagli Apostoli. Questo suo coraggio e determinazione Policarpo li dimostrò contro gli eretici del tempo, e specialmente contro Marcione che lui definì pubblicamente come “primogenito di Satana”.
Policarpo è importante nella storia della Chiesa dei primi secoli proprio perché agì da cerniera tra gli Apostoli e gli altri vescovi delle varie chiese di allora, anche se non li conobbe personalmente. Scrive ancora Ireneo nel suo libro “Contro le eresie” mettendo in risalto questo ruolo del vescovo di Smirne: “Egli non solo fu ammaestrato dagli Apostoli... ma appunto dagli Apostoli fu stabilito come vescovo per l’Asia nella chiesa di Smirne... Ora, egli insegnò sempre quello che aveva appreso dagli Apostoli, le cose appunto che la Chiesa trasmette e che solo sono vere”.
Altre notizie importanti, particolarmente sul suo martirio, ci provengono dal “Martyrium Policarpi”. Un’opera molto importante per la storia della Chiesa dei primi secoli. Fu scritto da un testimone oculare nello stesso anno della morte del santo. È la prima opera cristiana dedicata al racconto del supplizio di un martire. C’è di più: è la prima volta che viene chiamato “martire” (testimone) uno che moriva per la sua fede in Gesù Cristo. Al governatore romano Quadrato che voleva salvare l’anziano vescovo, Policarpo disse: “Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene ascolta francamente: io sono cristiano”. E subì con estremo coraggio il martirio. Ignazio anni prima gli aveva scritto esortandolo sempre alla fermezza e al coraggio per Cristo: “Sii saldo come l’incudine sotto il martello. È proprio del grande atleta soffrire molto e vincere”.
Non c’è dubbio. Policarpo è stato un grande discepolo degli Apostoli e di Cristo. Come scriveva di se stesso San Paolo, anche il vescovo di Smirne ha combattuto la buona battaglia della fede, terminando la corsa e vincendo la medaglia d’oro del martirio. È stato un grande atleta del cristianesimo. Infatti lo ricordiamo ancora oggi dopo tanti secoli tra i primi posti nella classifica dei martiri per amore di Cristo.
                                                             
                                  Mario Scudu SDB ***


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MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
IMMAGINI:
Mosaico bizantino del VI msecolo - Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-2
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