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Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012
| 2013...
25 marzo: Santa Lucia FILIPPINI
S.
Lucia Filippini (1672-1732), fondatrice delle Maestre Pie ***
Mio
Dio, non si faccia la mia volontà perché è perversa
.
Nella Lettera ai Romani
l'apostolo Paolo ci ricorda una verità importante e impegnativa
per tutto il popolo di Dio sia per la parte dirigente con responsabilità
pastorali sia per gli altri fedeli, anche se a diversi livelli: "Come
potranno credere in Cristo se non ne hanno sentito parlare? E come ne
sentiranno parlare se nessuno lo annuncia? E chi lo annuncerà
se nessuno è inviato a questo scopo?... La fede nasce dall'ascolto
della predicazione
"(Rm 10,17).
La fede cristiana nasce e si irrobustisce nel credente mediante un serio
impegno o ascesi dell'ascolto. Questo implica un continuo e faticoso
discernimento fra la Parola di Dio e le parole umane e, lungo il corso
della vita, l'accettazione della sua volontà negli eventi storici.
Ma non basta. Ci deve essere, e la storia della Chiese lo dimostra,
anche una serie ascesi dell'annuncio, perché tutti, nel popolo
di Dio, sono chiamati ad affinare la propria capacità di annunciare
il vangelo, naturalmente secondo la propria scelta di vita. Si tenga
sempre presente un detto attribuito al filosofo Eraclito, che descrive
gli uomini come "incapaci di ascoltare e di parlare". Per
quanto riguarda la fede dobbiamo migliorare sia la nostra 'arte di ascoltare'
sia quella di annunciare. In questa maniera accoglieremo nella pratica
quello che raccomanda S. Pietro: "Siate sempre pronti a rispondere
a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi"
( 1 Pt 3, 15).
Lucia Filippini fu tutto questo. Ebbe capacità di ascolto della
Parola di Dio che la guidava e le dava forza nella sua molteplice attività
e sofferenze patite, e possedette egregiamente il dono efficace dell'annuncio
della fede. Fu infatti lei stessa un'eccellente catechista delle fanciulle
ed una saggia guida di catechiste e maestre negli Istituti da lei fondati.
Fu proprio una lezione di catechismo (lei appena sedicenne) ad impressionare
il card. Marco Antonio Barbarico (un bravo e santo vescovo) che era
presente. Quella ragazza aveva il dono eccellente di 'farsi ascoltare'
da tutti, sapeva trasmettere con simpatia le verità che annunciava,
infondeva coraggio ed entusiasmo per accogliere il Vangelo di Gesù
Cristo, che lei aveva già profondamente impresso nel cuore. In
seguito il prelato diventerà suo confidente, suo consigliere
e sostenitore delle opere da lei fondate.
Lucia Filippini, grande educatrice del 1600, può essere di esempio
e di sprone a tantissime catechiste che con coraggio e impegno ammirevoli
fanno catechismo nelle parrocchie, convinte che ciò che loro
dicono (e fanno come cristiane) sia un'opera buona per far crescere
la fede nei bambini che istruiscono con tanta dedizione.
Un particolare importante. In una nicchia della Basilica di S. Pietro
in Roma c'è una statua raffigurante la nostra con la croce levata
in mano mentre con la sinistra accarezza il capo di una fanciulla inginocchiata
e
. con un libro in mano. Una bella sintesi della sua vita. La
croce di Cristo con la compartecipazione al suo sacrificio sul Calvario
e l'educazione delle fanciulle furono le sue due grandi 'passioni'.
Incontro con il card. Marco Antonio Barbarigo, buon pastore
Lucia è nata a Tarquinia nel 1672 da Maddalena e Filippo Filippini:
lei di famiglia ricca e nobile , lui benestante economicamente. Aveva
solo un anno di età quando perse la mamma, e diventerà
orfana di padre a sette anni. Sembrava un inizio brutto per il suo futuro,
ma per fortuna fu allevata dai suoi parenti, che le volevano bene e
solleciti per la sua educazione. Si distinse subito in parrocchia per
le sue doti di bontà e intelligenza, tanto è vero che
il parroco le affidò l'incarico di insegnare il catechismo alle
bambine.
Ed ecco la svolta, propiziata da un incontro provvidenziale. Nel 1688
arrivò il vescovo, card. Barbarigo, un veneziano di origini nobili,
che si rivelerà un ottimo vescovo oltre che un buon riorganizzatore
della diocesi di Montefiascone. Era un vero pastore di anime che voleva
implementare i documenti e raccomandazioni del Concilio di Trento, di
cento anni prima. E ce n'era bisogno. Un piccolo episodio ci dice qualcosa
della sua personalità. Nel 1685 quando era vescovo a Corfù
ebbe un duro scontro con l'ammiraglio della flotta veneziana, Francesco
Morosini, il quale pretendeva di occupare in cattedrale il posto tradizionalmente
destinato al vescovo, umiliando così la Chiesa. Lui rifiutò,
dimostrandosi così un buon pastore di anime dalla personalità
decisa.
Il Barbarigo giunse come vescovo a Montefiascone nel 1687, e il suo
arrivo, in carne o ossa, era già qualcosa di inusuale. In quegli
anni infatti c'erano vescovi che facevano i pastori delle loro diocesi
rimanendo lontani, naturalmente a Roma, dove la vita era più
confortevole, pastoralmente molto meno 'stressante' e soprattutto vicini
al potere ecclesiale. Al 'lavoro' mandavano
i loro vicari. E tutto
sembrava a posto. In realtà era un disastro per il popolo di
Dio. Immaginiamo come 'crescevano' spiritualmente i fedeli, guidati
da sacerdoti molto spesso ignoranti, moralmente non secondo il vangelo
e senza un vero pastore.
Il buon vescovo volle conoscere quella catechista così giovane
e così brava, di cui si parlava tanto. Fu un l'incontro provvidenziale
per ambedue. Lucia trovò in lui un padre spirituale che l'aiuterà
nel discernimento per la propria vocazione, che in seguito un valido
aiuto per le sue Scuole. Il vescovo conobbe un ragazza buona, intelligente,
saggia che religiosamente incideva con il suo modo di fare catechismo.
Lo sarà anche in seguito nella capacità di preparare le
future catechiste e maestre nelle sue scuole. Il buon vescovo le consigliò
subito di completare la formazione entrando nel monastero di S. Chiara
di Montefiascone, senza l'obiettivo di diventare monaca. Tre anni di
silenzio, preghiera e di formazione non solo spirituale che le furono
molto utili.
In quegli anni fece anche la conoscenza di Rosa Venerini (proclamata
santa nel 2006), un maestra anche lei molto capace, e per un po' di
tempo le due collaborarono perché gli obiettivi pastorali del
card. Barbarigo si assomigliavano con i loro. Fonderà anche lei
una congregazione religiosa chiamate Maestre Pie Venerini (e Lucia le
Maestre Pie Filippini).
Maestre con il permesso di spiegare la
dottrina cristiana
Nel 1694, quando Rosa tornò a
Viterbo, il cardinale riuscì a convincere la riluttante Lucia
ad assumere la direzione dell'Istituto. Aveva solo 22 anni, ma il buon
vescovo non si pentì. E con il suo aiuto e sostegno morale e
materiale (morirà nel 1706) Lucia a poco a poco diede origine
alla sua famiglia religiosa di Maestre Pie, radicate e operanti particolarmente
nel Lazio, Umbria e Toscana. Era una famiglia religiosa che portavano
una ventata di novità. "la notevole mobilità geografica
delle Maestre, il permesso di spiegare la dottrina cristiana e quello,
fino ad allora negato alle donne, di far fare gli esercizi spirituali
alle altre e persino di predicare
non solo esaltava la pastorale
degli istituti, ma ne evidenziavano la perfetta analogia con l'opera
missionaria maschile. Si tratta perciò di un modello di donna
"religiosa" assolutamente nuovo, coinvolto nell'apostolato
sociale" (M. Caffiero, in Il Grande Libro dei Santi, S. Paolo 1998,
voce Lucia Filippini).
Nel 1700 si celebrò l'Anno Santo con l'arrivo di moltissimi pellegrini
che da nord scendevano verso Roma percorrendo la Via Francigena, passando
quindi per Montefiascone (Via rivitalizzata anche nell'Anno Santo del
2000!). D'accordo con il vescovo Lucia organizzò egregiamente
l'accoglienza dei pellegrini, dando non solo vitto e alloggio, ma, ecco
l'idea originale, curando anche qualche forma di catechismo adatto a
loro, secondo le diverse categorie di persone. Lo fece mobilitando non
solo sue Maestre Pie, ma anche il clero della città. Il suo obiettivo,
era di far riscoprire ai pellegrini la centralità di Gesù
Cristo e le altre verità eterne, in modo che era che ritornassero
a casa non solo stanchi ma con la loro fede più salda.
La morte, nel 1706, del card. Barbarigo, suo padre spirituale, ispiratore
e sostenitore dell'Istituto religioso fu per lei una perdita grave ma
la sua fiducia in Dio era salda e non si scoraggiò. Lavorava
per Dio e per la sua gloria quindi non doveva temere: la sua assistenza
non sarebbe mancata. Intanto la sua fama era giunta a Roma e il papa
stesso Clemente XI la invitò nella Città Eterna per istituire
scuole per le ragazze. Molte furono le persone impressionate non solo
dalla sua opera ma anche dalla sua nuova metodologia nell'insegnamento,
oltrechè dalla sua bontà, pazienza e santità. Proprio
in quegli anni qualcuno cominciò a parlare della "Maestra
santa", per il suo amore ardente a Gesù e al Crocifisso
che teneva in mano quando 'predicava'. Per lei Cristo era il centro
assoluto di tutto quello che progettava e realizzava. Dalla sua unione
con lui lei attingeva la mitezza, la bontà, la pazienza e l'entusiasmo
che trasmetteva nell'insegnamento della religione. Lei in tutti i modi
voleva servire e insegnare la Verità che è Cristo.
Metodologia nuova al catechismo
Lucia, con le sue Maestre Pie, mirava
soprattutto alla formazione religiosa, ma non solo, insegnava alle "figlie
del popolo" anche un lavoro manuale, si voleva che tutte le ragazze
imparassero a leggere e far di conto (ma a leggere non tutte!). Cose
allora per niente scontate. "Quanto al metodo d'insegnamento era
straordinariamente in anticipo sui tempi perché si educavano
le fanciulle secondo la loro capacità, età e condizione,
alternando il metodo individuale esplicito a quello collettivo o simultaneo.
Altra innovazione importante era il metodo dialogico
(in A. Cattabiani,
Santi d'Italia, vol. II, Lucia Filippini, BUR Milano, 1999). In questo
metodo "le prime domande erano semplicissime: esigevano però
viva attenzione ed intelligenza; portavano all'auto scoperta graduale
della verità In tal modo si aveva il senso della conquista personale.
Il suo dialogo si dispiegava con domande di controllo e alla fine, trattandosi
di religione, faceva riassumere il tutto con formula catechistica"
(M. Rocca, 1969, in A. Cattabiani).
Ma il successo ottenuto dalle sue scuole, anche a Roma, Lucia lo pagò
caro. Ci furono non solo invidie ma anche maldicenze contro la sua persona.
E un'accusa pesante: qualcuno rintracciava in lei, e nella sua congregazione,
una certa deriva dottrinale verso il quietismo (condannato da Innocenzo
XI (1687), ben diverso dalla "santa indifferenza" di cui aveva
parlato anche S. Francesco di Sales. Ma il S. Uffizio non prese sul
serio la denuncia lasciandola decadere, segno della stima che c'era
per Lucia, per la sua santità e per tutta la sua opera. Tuttavia
la sofferenza fu grande e profonda. Fu anche accusata di aver male gestito
i beni lasciati alle sue Scuole dal card. Barbarigo e, secondo qualcuno
di volersene impossessare. Accusa dovuta ad errori fatti da lei stessa
in assoluta buona fede, come poi fu dimostrato (e conseguente scoperta
dei truffatori). Anche questa volta fu scagionata completamente. Lei
comunque si sentì derisa, addolorata e umiliata.
Nel 1729 Lucia si trasferì a Roma quando era già gravemente
malata di un tumore al seno che la fece soffrire moltissimo. Sofferenze
accettate come volontà di Dio, offerte per le sue figlie spirituali
e per il loro apostolato, sempre in unione al Cristo sofferente.
Si spense il 25 marzo del 1732. C'è una frase che ci dà
la misura di questa grande donna: "Vorrei moltiplicarmi in ogni
angolo della terra per gridare a tutti: Amate Dio"
. O mio
Dio! e perché non fai tu che io diventi tante Lucie, sicché
moltiplicandomi possa altresì dappertutto dilatare la tua gloria?".
Lei Dio lo aveva amato e annunciato tutta la vita, e aveva anche insegnato
a fare lo stesso con la parola convincente e soprattutto con le opere.
La Chiesa attraverso il papa Pio XI ne riconoscerà la santità
nel 1930, proponendola come modello di impegno apostolico e di evangelizzazione
a tutto il popolo di Dio.
Mario
SCUDU sdb - Torino
*** Testi
"Mio Dio, ti amo tanto che vorrei che le mie ossa fossero lampade,
il mio sangue olio e la mia carne stoppino, e vorrei come una lampada
accesa abbruciare e consumarmi tutta nel tuo amore.
"Vorrei che tutte le mie vene e arterie fossero tante catene d'oro,
e con esse vorrei legarmi talmente a te da non potermi affatto disciogliere
per tutta l'eternità".
"Mio Dio, non si faccia mai la mia volontà perché
è sempre perversa, e solo cerca il comodo suo, ma si faccia la
tua in me, che è solamente la buona, la santa, e che cerca il
mio vero bene. Volentieri accetto questo poco patire dalle mani di Dio,
mi metterei persino in croce e mi lascerei crocifiggere per Gesù
Cristo, come tanto volentieri fece Lui per me, non essendo conveniente
che goda la sposa, quando lo sposo sta fra le spine e i tormenti.
Accetto volentieri tutte le aridità di spirito, tutte le tribolazioni
interne ed esterne, l'essere privata di qualsiasi consolazione celeste
e umana, perché non è degna d'essere consolata quella
creatura, che tante volte amareggiò il suo Creatore coi suoi
peccati.
Se sapessi che fosse volontà di Dio che io stessi eternamente
nell'inferno, volentieri eleggerei luogo, mi ci butterei persino da
me stessa per fare la divina volontà, e benché patissi,
non vorrei uscire da quel luogo di tormenti, per compiacere al mio Dio,
purché però ci dovessi andare senza peccati, né
ivi avessi da odiarlo, ma benedirlo e ringraziarlo".
***
Tratto dal volume:
MARIO
SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.
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