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25 marzo: Santa Lucia FILIPPINI

S. Lucia Filippini (1672-1732), fondatrice delle Maestre Pie ***

Mio Dio, non si faccia la mia volontà perché è perversa….

Nella Lettera ai Romani l'apostolo Paolo ci ricorda una verità importante e impegnativa per tutto il popolo di Dio sia per la parte dirigente con responsabilità pastorali sia per gli altri fedeli, anche se a diversi livelli: "Come potranno credere in Cristo se non ne hanno sentito parlare? E come ne sentiranno parlare se nessuno lo annuncia? E chi lo annuncerà se nessuno è inviato a questo scopo?... La fede nasce dall'ascolto della predicazione…"(Rm 10,17).
La fede cristiana nasce e si irrobustisce nel credente mediante un serio impegno o ascesi dell'ascolto. Questo implica un continuo e faticoso discernimento fra la Parola di Dio e le parole umane e, lungo il corso della vita, l'accettazione della sua volontà negli eventi storici. Ma non basta. Ci deve essere, e la storia della Chiese lo dimostra, anche una serie ascesi dell'annuncio, perché tutti, nel popolo di Dio, sono chiamati ad affinare la propria capacità di annunciare il vangelo, naturalmente secondo la propria scelta di vita. Si tenga sempre presente un detto attribuito al filosofo Eraclito, che descrive gli uomini come "incapaci di ascoltare e di parlare". Per quanto riguarda la fede dobbiamo migliorare sia la nostra 'arte di ascoltare' sia quella di annunciare. In questa maniera accoglieremo nella pratica quello che raccomanda S. Pietro: "Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi" ( 1 Pt 3, 15).
Lucia Filippini fu tutto questo. Ebbe capacità di ascolto della Parola di Dio che la guidava e le dava forza nella sua molteplice attività e sofferenze patite, e possedette egregiamente il dono efficace dell'annuncio della fede. Fu infatti lei stessa un'eccellente catechista delle fanciulle ed una saggia guida di catechiste e maestre negli Istituti da lei fondati.
Fu proprio una lezione di catechismo (lei appena sedicenne) ad impressionare il card. Marco Antonio Barbarico (un bravo e santo vescovo) che era presente. Quella ragazza aveva il dono eccellente di 'farsi ascoltare' da tutti, sapeva trasmettere con simpatia le verità che annunciava, infondeva coraggio ed entusiasmo per accogliere il Vangelo di Gesù Cristo, che lei aveva già profondamente impresso nel cuore. In seguito il prelato diventerà suo confidente, suo consigliere e sostenitore delle opere da lei fondate.
Lucia Filippini, grande educatrice del 1600, può essere di esempio e di sprone a tantissime catechiste che con coraggio e impegno ammirevoli fanno catechismo nelle parrocchie, convinte che ciò che loro dicono (e fanno come cristiane) sia un'opera buona per far crescere la fede nei bambini che istruiscono con tanta dedizione.
Un particolare importante. In una nicchia della Basilica di S. Pietro in Roma c'è una statua raffigurante la nostra con la croce levata in mano mentre con la sinistra accarezza il capo di una fanciulla inginocchiata e…. con un libro in mano. Una bella sintesi della sua vita. La croce di Cristo con la compartecipazione al suo sacrificio sul Calvario e l'educazione delle fanciulle furono le sue due grandi 'passioni'.
Incontro con il card. Marco Antonio Barbarigo, buon pastore
Lucia è nata a Tarquinia nel 1672 da Maddalena e Filippo Filippini: lei di famiglia ricca e nobile , lui benestante economicamente. Aveva solo un anno di età quando perse la mamma, e diventerà orfana di padre a sette anni. Sembrava un inizio brutto per il suo futuro, ma per fortuna fu allevata dai suoi parenti, che le volevano bene e solleciti per la sua educazione. Si distinse subito in parrocchia per le sue doti di bontà e intelligenza, tanto è vero che il parroco le affidò l'incarico di insegnare il catechismo alle bambine.
Ed ecco la svolta, propiziata da un incontro provvidenziale. Nel 1688 arrivò il vescovo, card. Barbarigo, un veneziano di origini nobili, che si rivelerà un ottimo vescovo oltre che un buon riorganizzatore della diocesi di Montefiascone. Era un vero pastore di anime che voleva implementare i documenti e raccomandazioni del Concilio di Trento, di cento anni prima. E ce n'era bisogno. Un piccolo episodio ci dice qualcosa della sua personalità. Nel 1685 quando era vescovo a Corfù ebbe un duro scontro con l'ammiraglio della flotta veneziana, Francesco Morosini, il quale pretendeva di occupare in cattedrale il posto tradizionalmente destinato al vescovo, umiliando così la Chiesa. Lui rifiutò, dimostrandosi così un buon pastore di anime dalla personalità decisa.
Il Barbarigo giunse come vescovo a Montefiascone nel 1687, e il suo arrivo, in carne o ossa, era già qualcosa di inusuale. In quegli anni infatti c'erano vescovi che facevano i pastori delle loro diocesi… rimanendo lontani, naturalmente a Roma, dove la vita era più confortevole, pastoralmente molto meno 'stressante' e soprattutto vicini al potere ecclesiale. Al 'lavoro' mandavano… i loro vicari. E tutto sembrava a posto. In realtà era un disastro per il popolo di Dio. Immaginiamo come 'crescevano' spiritualmente i fedeli, guidati da sacerdoti molto spesso ignoranti, moralmente non secondo il vangelo e senza un vero pastore.
Il buon vescovo volle conoscere quella catechista così giovane e così brava, di cui si parlava tanto. Fu un l'incontro provvidenziale per ambedue. Lucia trovò in lui un padre spirituale che l'aiuterà nel discernimento per la propria vocazione, che in seguito un valido aiuto per le sue Scuole. Il vescovo conobbe un ragazza buona, intelligente, saggia che religiosamente incideva con il suo modo di fare catechismo. Lo sarà anche in seguito nella capacità di preparare le future catechiste e maestre nelle sue scuole. Il buon vescovo le consigliò subito di completare la formazione entrando nel monastero di S. Chiara di Montefiascone, senza l'obiettivo di diventare monaca. Tre anni di silenzio, preghiera e di formazione non solo spirituale che le furono molto utili.
In quegli anni fece anche la conoscenza di Rosa Venerini (proclamata santa nel 2006), un maestra anche lei molto capace, e per un po' di tempo le due collaborarono perché gli obiettivi pastorali del card. Barbarigo si assomigliavano con i loro. Fonderà anche lei una congregazione religiosa chiamate Maestre Pie Venerini (e Lucia le Maestre Pie Filippini).

Maestre con il permesso di spiegare la dottrina cristiana

Nel 1694, quando Rosa tornò a Viterbo, il cardinale riuscì a convincere la riluttante Lucia ad assumere la direzione dell'Istituto. Aveva solo 22 anni, ma il buon vescovo non si pentì. E con il suo aiuto e sostegno morale e materiale (morirà nel 1706) Lucia a poco a poco diede origine alla sua famiglia religiosa di Maestre Pie, radicate e operanti particolarmente nel Lazio, Umbria e Toscana. Era una famiglia religiosa che portavano una ventata di novità. "la notevole mobilità geografica delle Maestre, il permesso di spiegare la dottrina cristiana e quello, fino ad allora negato alle donne, di far fare gli esercizi spirituali alle altre e persino di predicare… non solo esaltava la pastorale degli istituti, ma ne evidenziavano la perfetta analogia con l'opera missionaria maschile. Si tratta perciò di un modello di donna "religiosa" assolutamente nuovo, coinvolto nell'apostolato sociale" (M. Caffiero, in Il Grande Libro dei Santi, S. Paolo 1998, voce Lucia Filippini).
Nel 1700 si celebrò l'Anno Santo con l'arrivo di moltissimi pellegrini che da nord scendevano verso Roma percorrendo la Via Francigena, passando quindi per Montefiascone (Via rivitalizzata anche nell'Anno Santo del 2000!). D'accordo con il vescovo Lucia organizzò egregiamente l'accoglienza dei pellegrini, dando non solo vitto e alloggio, ma, ecco l'idea originale, curando anche qualche forma di catechismo adatto a loro, secondo le diverse categorie di persone. Lo fece mobilitando non solo sue Maestre Pie, ma anche il clero della città. Il suo obiettivo, era di far riscoprire ai pellegrini la centralità di Gesù Cristo e le altre verità eterne, in modo che era che ritornassero a casa non solo stanchi ma con la loro fede più salda.
La morte, nel 1706, del card. Barbarigo, suo padre spirituale, ispiratore e sostenitore dell'Istituto religioso fu per lei una perdita grave ma la sua fiducia in Dio era salda e non si scoraggiò. Lavorava per Dio e per la sua gloria quindi non doveva temere: la sua assistenza non sarebbe mancata. Intanto la sua fama era giunta a Roma e il papa stesso Clemente XI la invitò nella Città Eterna per istituire scuole per le ragazze. Molte furono le persone impressionate non solo dalla sua opera ma anche dalla sua nuova metodologia nell'insegnamento, oltrechè dalla sua bontà, pazienza e santità. Proprio in quegli anni qualcuno cominciò a parlare della "Maestra santa", per il suo amore ardente a Gesù e al Crocifisso che teneva in mano quando 'predicava'. Per lei Cristo era il centro assoluto di tutto quello che progettava e realizzava. Dalla sua unione con lui lei attingeva la mitezza, la bontà, la pazienza e l'entusiasmo che trasmetteva nell'insegnamento della religione. Lei in tutti i modi voleva servire e insegnare la Verità che è Cristo.
Metodologia nuova al catechismo

Lucia, con le sue Maestre Pie, mirava soprattutto alla formazione religiosa, ma non solo, insegnava alle "figlie del popolo" anche un lavoro manuale, si voleva che tutte le ragazze imparassero a leggere e far di conto (ma a leggere non tutte!). Cose allora per niente scontate. "Quanto al metodo d'insegnamento era straordinariamente in anticipo sui tempi perché si educavano le fanciulle secondo la loro capacità, età e condizione, alternando il metodo individuale esplicito a quello collettivo o simultaneo. Altra innovazione importante era il metodo dialogico… (in A. Cattabiani, Santi d'Italia, vol. II, Lucia Filippini, BUR Milano, 1999). In questo metodo "le prime domande erano semplicissime: esigevano però viva attenzione ed intelligenza; portavano all'auto scoperta graduale della verità In tal modo si aveva il senso della conquista personale. Il suo dialogo si dispiegava con domande di controllo e alla fine, trattandosi di religione, faceva riassumere il tutto con formula catechistica" (M. Rocca, 1969, in A. Cattabiani).
Ma il successo ottenuto dalle sue scuole, anche a Roma, Lucia lo pagò caro. Ci furono non solo invidie ma anche maldicenze contro la sua persona. E un'accusa pesante: qualcuno rintracciava in lei, e nella sua congregazione, una certa deriva dottrinale verso il quietismo (condannato da Innocenzo XI (1687), ben diverso dalla "santa indifferenza" di cui aveva parlato anche S. Francesco di Sales. Ma il S. Uffizio non prese sul serio la denuncia lasciandola decadere, segno della stima che c'era per Lucia, per la sua santità e per tutta la sua opera. Tuttavia la sofferenza fu grande e profonda. Fu anche accusata di aver male gestito i beni lasciati alle sue Scuole dal card. Barbarigo e, secondo qualcuno di volersene impossessare. Accusa dovuta ad errori fatti da lei stessa in assoluta buona fede, come poi fu dimostrato (e conseguente scoperta dei truffatori). Anche questa volta fu scagionata completamente. Lei comunque si sentì derisa, addolorata e umiliata.
Nel 1729 Lucia si trasferì a Roma quando era già gravemente malata di un tumore al seno che la fece soffrire moltissimo. Sofferenze accettate come volontà di Dio, offerte per le sue figlie spirituali e per il loro apostolato, sempre in unione al Cristo sofferente.
Si spense il 25 marzo del 1732. C'è una frase che ci dà la misura di questa grande donna: "Vorrei moltiplicarmi in ogni angolo della terra per gridare a tutti: Amate Dio"…. O mio Dio! e perché non fai tu che io diventi tante Lucie, sicché moltiplicandomi possa altresì dappertutto dilatare la tua gloria?". Lei Dio lo aveva amato e annunciato tutta la vita, e aveva anche insegnato a fare lo stesso con la parola convincente e soprattutto con le opere. La Chiesa attraverso il papa Pio XI ne riconoscerà la santità nel 1930, proponendola come modello di impegno apostolico e di evangelizzazione a tutto il popolo di Dio.

Mario SCUDU sdb - Torino

*** Testi
"Mio Dio, ti amo tanto che vorrei che le mie ossa fossero lampade, il mio sangue olio e la mia carne stoppino, e vorrei come una lampada accesa abbruciare e consumarmi tutta nel tuo amore.
"Vorrei che tutte le mie vene e arterie fossero tante catene d'oro, e con esse vorrei legarmi talmente a te da non potermi affatto disciogliere per tutta l'eternità".
"Mio Dio, non si faccia mai la mia volontà perché è sempre perversa, e solo cerca il comodo suo, ma si faccia la tua in me, che è solamente la buona, la santa, e che cerca il mio vero bene. Volentieri accetto questo poco patire dalle mani di Dio, mi metterei persino in croce e mi lascerei crocifiggere per Gesù Cristo, come tanto volentieri fece Lui per me, non essendo conveniente che goda la sposa, quando lo sposo sta fra le spine e i tormenti.
Accetto volentieri tutte le aridità di spirito, tutte le tribolazioni interne ed esterne, l'essere privata di qualsiasi consolazione celeste e umana, perché non è degna d'essere consolata quella creatura, che tante volte amareggiò il suo Creatore coi suoi peccati.
Se sapessi che fosse volontà di Dio che io stessi eternamente nell'inferno, volentieri eleggerei luogo, mi ci butterei persino da me stessa per fare la divina volontà, e benché patissi, non vorrei uscire da quel luogo di tormenti, per compiacere al mio Dio, purché però ci dovessi andare senza peccati, né ivi avessi da odiarlo, ma benedirlo e ringraziarlo".


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino


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