BEATO ARTEMIDE
ZATTI SDB (1880-1951):
DAL
PO A BAHIA BLANCA
Da Albina Vecchi e da Luigi
Zatti, nacque il 12 ottobre 1880 Artemide, che entrò a
far parte di una delle tante numerose famiglie di Boretto, dedite
allagricoltura e al duro lavoro dei campi.
Luigi Zatti lavorava dallalba al tramonto in un fondo di
via Goleto con laiuto della moglie. Nel frattempo, del
piccolo Artemide si prendeva cura la sorellina.
Alletà di quattro anni era già in campagna
a lavorare. Le entrate erano poche e le bocche da sfamare tante.
Frequentò qualche anno di scuola elementare, poi, alletà
di nove anni andò sotto padrone, come si diceva
quando si andava a lavorare alle dipendenze di altri. Si alzava
alle tre del mattino, mangiava in fretta una fetta di polenta
con un po di latte e partiva per i campi. La paga era di
25 lire allanno, ma alla fine di ogni settimana, quando
tornava a casa, portava qualche dolce che la padrona preparava
per lui per il servizio prestato. Li donava ai suoi sette fratelli
ed era per lui gioia immensa vederli divorare tutto in un batter
docchio. Così, fino a sedici anni. Poi arrivò
una delle tante crisi economiche. In agricoltura andava sempre
peggio: mancavano le macchine, i braccianti erano disoccupati
e denutriti, le malattie aumentavano. La pellagra
dominava la valle padana. LEuropa intera era sotto lincubo
della depressione. Il fascino dellAmerica si faceva irresistibile.
Gli Zatti avevano uno zio in Argentina che faceva il caposquadra
degli operai municipali di Bahia Blanca. Nel 1897 la famiglia
lo raggiungerà. Bahia Blanca è una delle grandi
città argentine situate più a sud della favolosa
Patagonia.
A Bahia Blanca il padre mise su una bancarella al mercato. Artemide
lavorò prima in un albergo, poi preferì una fabbrica
di mattoni e piastrelle. Vicino al luogo dove lavorava cera
una chiesa tenuta dai salesiani di Don Bosco, giunti in missione
nel 1875, tutti di origine italiana. Artemide nel tempo libero
aiutava il parroco e leggeva i libri della biblioteca. Era particolarmente
attratto dalla vita di Don Bosco: cominciava a nascere in lui
la vocazione al sacerdozio. Padre Carlo Cavalli ne parlò
al papà che, da buon fedele praticante, permise al diciannovenne
Zatti di entrare nellaspirantato salesiano di Bernal, vicino
a Buenos Aires. Era il più grande detà fra
tutti gli aspiranti al sacerdozio. Trovava qualche difficoltà
negli studi; dovette cimentarsi con il latino, lui, che parlava
un po di spagnolo e un po ditaliano, ma soprattutto
il dialetto. Incaricato di assistere un sacerdote malato di tisi
ne venne contagiato e il giorno in cui i compagni ricevettero
labito talare, lui era a letto con tosse e febbre. Il medico
consigliò lallontanamento da quella zona umida e
venne trasferito in capo al mondo. La volontà divina era
diversa da quella di Zatti. Artemide imparò il valore
supremo della ubbidienza, in nome di Dio. Andrò
a Viedma, pensava Artemide, a morire se Dio vorrà.
A quei tempi, la tubercolosi, il mal sottile, non
perdonava e mieteva vittime.
Viedma, sulla riva sinistra del Rio Negro, è toccata dalla
ferrovia che da Bahia Blanca giunge sulle rive del lago Nahnel-Huapi.
Allo sbocco del Rio Negro sullOceano Atlantico, oltre allaria
buona, cera una farmacia e un ospedale nella casa salesiana.
Era un avamposto missionario popolato da operai abbandonati a
se stessi, e da soldati avventurieri: gli indigeni morivano per
mancanza della più comune assistenza medica. Un ospedale
ricavato da una stalla e un unico medico: padre Garrone. Questi
promise ad Artemide la guarigione. E Artemide promise alla Madonna
di dedicare la vita intera a curare i poveri.
Farmacista
e infermiere fuorilegge
Non sarebbe mai diventato sacerdote.
Ormai era indispensabile nella farmacia. Era un infermiere così
bravo che lospedale non poteva fare a meno di lui.
Alla morte di padre Garrone, cadde tutto sulle sue spalle, sia
lospedale San Giuseppe che la farmacia S.
Francesco. Oltre tutto bisognava fare i conti con la legge.
Lo Stato non era in grado di provvedere alle esigenze sanitarie
di Viedma, ma doveva far rispettare la legge ed era costretto
ad intralciare chi tentava di fare qualche cosa per i malati
poveri del S. Giuseppe. Padre Garrone aveva fatto una gran praticaccia
come infermiere nellEsercito italiano: tutti si rivolgevano
a lui e lo chiamavano dottore.
I superiori salesiani assunsero un medico vero per rientrare
nella legalità e assicurare lavvenire dellistituzione.
Ma il responsabile rimaneva Zatti con tutti i grattacapi connessi.
Dirigeva lospedale, sorvegliava e lavorava provvedendo
personalmente anche alle pulizie. Gli ammalati aumentavano; pochi
erano coloro che pagavano, e le spese crescevano. In bicicletta
girava in lungo e in largo per racimolare fondi; tutti lo conoscevano
e lo distinguevano da lontano con la sua lunga pedalata e col
camice bianco indosso, perché andava a curare i malati
casa per casa. Quando lo vedevano con il cappellone in testa,
sapevano che doveva far visita alle banche o a qualche ricco
caritatevole.
Il diploma
di farmacista
Nel 1914 (a 17 anni da quando
aveva lasciato lItalia), ottenne la cittadinanza argentina
e ne fu felice perché amava il Rio Negro non meno del
Po, il suo primo fiume.
Allospedale San Giuseppe mandavano anche
i galeotti del carcere di Viedma, perché linfermeria
delle prigioni di Stato era insufficiente e fu a causa di ciò
che Zatti conobbe egli stesso il carcere sotto laccusa
di infedeltà nella custodia dei prigionieri.
Infatti un prigioniero era evaso durante la notte. Alla gente
incredula si presentò la scena di Artemide condotto in
prigione. I confratelli, gli infermieri, i ragazzi del collegio,
i convalescenti e tutti i beneficati lo seguirono con la banda
in testa. In tribunale era sereno, sorridente e pregava. Dopo
cinque giorni lo rilasciarono e il suo ritorno fu trionfale.
Il suo solo commento: Avevo bisogno di un po di riposo.
Era il 1915, in Europa infuriava la guerra, quando nelle vicinanze
venne aperta una vera farmacia con farmacista regolarmente abilitato,
per cui non restava che chiudere la Farmacia San Francesco.
Ma allora i poveri dove troveranno
i medicinali gratuiti o a poco prezzo?, pensava Artemide.
Mancavano i titoli legali per gestirla e nonostante la lotta
ingaggiata, fra minacce e multe pagate, giunse il momento del
rispetto della legge e della chiusura definitiva.
Ma Zatti non si diede per vinto, ritornò a La Plata, sostenne
gli esami e si presentò con un ineccepibile diploma di
idoneo in farmacia.
Si alzava ogni mattina alle 4,30; accendeva il fuoco e si recava
in Chiesa ove si prostrava a terra con la fronte sul pavimento
a pregare. Partecipava alla Messa, poi andava dai suoi ammalati
dove tutti lo salutavano don Zatti.
In refettorio prendeva il caffelatte in fretta e subito dopo
inforcava la bicicletta con il suo lungo piedone e con le sue
mani, più simili a due badili, piuttosto inadatte a manovrare
siringhe per fare iniezioni agli ammalati sparsi in tutta la
città...
A mezzogiorno era pronto a suonare la campana e con la comunità
recitava lAngelus. Dopo pranzo insieme agli ammalati giocava
a bocce con entusiasmo. Alle due era di nuovo in bicicletta e
riprendeva le visite ai malati. Prima di cena, sbrigava la corrispondenza,
contattava il personale dellospedale, distribuiva consigli,
dava disposizioni con garbo, tanto che i suoi stessi collaboratori
si trasformavano e maturavano nella carità cristiana.
Consumava la sua cena con la comunità, unultima
occhiata ai degenti e, se non aveva impegni fuori, si dava alla
lettura di testi religiosi e di libri di medicina; così,
fino alle dieci o undici di sera. Spesso veniva chiamato al capezzale
di un ammalato in piena notte e a chi si scusava per il disturbo
diceva: Vostro dovere è chiamarmi, mio dovere è
venire.
La gioia
del bene
Da grande malato, Zatti era
diventato il grande curatore. La richiesta fatta alla Madonna,
allinizio della sua malattia, era stata esaudita. Abbracciando
il dolore e la miseria altrui, era diventato lui stesso una medicina.
Bastava la sua presenza per sollevare dalle sofferenze; curava
gli ammalati canticchiando, li distraeva dal dolore con mille
trovate e con battute di spirito: era la gioia che provava a
fare del bene.
Le malattie più pericolose e più ripugnanti le
voleva per sé, le piaghe più virulente voleva medicarle
lui. Quando visitava i malati più poveri gratuitamente,
lasciava loro anche qualche spicciolo. Quando
lospedale era pieno zeppo, sistemava gli ammalati nella
sua camera da letto o nel suo stesso letto. Lui dormiva sulla
sedia. Quando si trattava di un malato che russava e non lasciava
dormire, era ugualmente felice. A ogni russatina, pensava: Deo
gratias, è ancora vivo.... Piangeva solo quando
non poteva essere daiuto al suo prossimo.
Chi moriva fra le mani di Artemide lo faceva con un sorriso sulle
labbra. Era sempre sorridente, con la battuta scherzosa, anche
con i malati più gravi.
Zatti era intellettualmente ben dotato e se avesse potuto studiare
sarebbe diventato un grande medico, ma i medici del suo ospedale
lo ritenevano tale anche senza titolo. Lo stimavano e avvertivano
lascendente che aveva su di loro. Durante una medicazione
particolarmente dolorosa, una povera paziente sbottò:
Perdio, Don Zatti. Rispose sereno: Io faccio
sempre e tutto per Dio. Anche i suoi medici, a volte impazienti,
si lasciavano scappare qualche imprecazione e Zatti con il solito
sorriso: Dottore, Dio non lascolta, sa, quando bestemmia.
Un medico, completamente ateo ebbe a dire: Davanti a Zatti
la mia incredulità vacilla. Se mai ci sono dei Santi sulla
terra, questo è uno. Quando mi trovo con il bisturi in
mano, guardando lui, lo vedo con il rosario in mano, e sento
che la sala si riempie di qualcosa di soprannaturale.
Un giorno qualcuno lo vide piangere e corse dal Vescovo di Viedma
ad avvertirlo che Zatti stava nei pasticci. Doveva pagare una
grossa cambiale e nessuno aveva voluto aiutarlo. Era appoggiato
allo sportello della banca, piangeva e pregava. Questa
volta è il fallimento e la prigione, dissero al
Vescovo. Monsignore brontolò: Sempre lo stesso,
questo Zatti!. Chiese al Vicario quanto denaro stesse in
cassa e lo inviò velocemente a quel povero uomo. Dieci
minuti dopo piangeva ancora, ma di gioia.
I suoi superiori sinquietavano spesso con lui a causa del
suo modo di gestire i soldi e gli diedero dei suggerimenti sulla
partita doppia e gli misero a fianco un contabile tedesco tutto
preciso, tanto che non resistette un anno. Altri tentativi non
ebbero miglior fortuna. Per Zatti la partita doppia erano due
tasche: una dove metteva il denaro che riceveva, laltra
dove metteva i debiti da pagare. Manovrava migliaia di pesos
ed era povero e vestiva da povero. Dal 1907 portava lo stesso
cappellaccio a larga tesa che gli faceva da parasole e da parapioggia.
La bicicletta era il suo unico mezzo di trasporto; più
volte gli venne offerto un mezzo più veloce: un motorino,
unautomobile topolino, ma rifiutò sempre.
Avrebbe avuto limpressione di essere ricco e in quelle
vesti non ci si vedeva, non si sarebbe trovato a suo agio. Soleva
dire: Il denaro, se non serve a fare del bene, non serve
a niente.
Un Gesù
di dieci anni
Nel 1894, prima che Zatti arrivasse
a Viedma, padre Bonacina aveva condotto in ospedale una donna
muta, che aveva trovato abbandonata nelle campagne; camminava
a quattro zampe come le pecore che seguiva e di umano in lei
era rimasto ben poco. Nata in una famiglia disastrata, nessuno
la voleva. Un giorno cadde in un pozzo: lo spavento la rese muta.
La rieducazione fu lunga, e Don Zatti vi contribuì; ma
anche dopo fu un piccolo flagello, perché ne combinava
di tutti i colori. Tutti pretendevano che la sgridasse o addirittura
che la picchiasse, ma lui no, diceva che delle disgrazie ne aveva
già tante per conto suo e non era giusto che chi aveva
luso della ragione aumentasse le sue pene. Ella visse in
quellospedale 48 anni, esprimendosi a grugniti.
Oltre alla muta, tenne per molti anni un povero ragazzo macrocefalo.
Le disgrazie peggiori trovavano in Zatti laccoglienza migliore;
nelle miserie più nere vedeva la presenza di Dio. Come
un giorno quando si presentò un povero indio sciancato,
un ragazzino venuto da chissà dove, coperto di stracci:
Veda un po sorella, disse rivolto alla suora,
se cè un vestito per un Gesù di 10
anni. Per Zatti, il peggio era il meglio. Era il peggio
che, secondo lui, attirava la benedizione di Dio. Applicava il
Vangelo alla lettera. Chiedete e vi sarà dato, cercate
e troverete, bussate e vi sarà aperto. I suoi debiti
erano proverbiali in tutta la zona, ma più essi aumentavano,
più aumentava la fiducia nella Provvidenza. Diceva: Io
non chiedo a Dio di mandarmi il denaro, gli chiedo solo di farmi
sapere dove ce nè.
Zatti era un uomo felice; non rimproverava mai nessuno né
parlava male di alcuno e neppure voleva sentire parlare male
degli altri perché la sua gioia interiore era troppo grande per poter muovere qualche
rimprovero.
Il trasloco
Nel 1934 Viedma diventò
sede vescovile e nel luogo dove cera lospedale di
Zatti avrebbe dovuto sorgere la nuova sede del vescovado; quindi
fu deciso lo sfratto e la demolizione del fabbricato. Il dispiacere
di Artemide fu inenarrabile. I salesiani misero a disposizione
una tenuta agricola fuori città. Ebbe inizio la demolizione
dei vecchi muri innalzati nel lontano 1913, delle sale aggiunte
nel 1933, della bella sala operatoria, frutto di tanti sacrifici.
Organizzò il trasloco con una piega amara sulla bocca
ma riuscendo a sorridere. Giunto sul posto, il sorriso diventò
più aperto e vero. Cera tutto da rifare per i suoi
parenti più poveri ma ne valeva la pena. Rimboccatesi
le maniche e inforcata la bicicletta, riprese lattività.
Piano piano, le cose si sistemarono, la gente gli volle più
bene di prima e gli portarono i bambini per una benedizione.
Nel vederlo circondato da tanta simpatia, un giorno un pezzo
grosso esclamò: Volesse il cielo che anche noi politici
avessimo tanta influenza!.
Un giorno, nel fare una riparazione ad un tetto mentre pioveva,
scivolò dalla scala e fece una brutta caduta. Un mese
dopo questo incidente, riprese nuovamente a usare la bicicletta,
ma si cominciò a notare sul suo volto una strana colorazione
verdognola e glielo fecero notare. Lui ci scherzava e diceva
di voler cambiare colore come il limone che non serve finché
da verde non è diventato giallo, e sorrideva. Una
battuta che era anche una diagnosi: tumore al pancreas. Gli rimanevano
cinque mesi di vita. Cinquantanni fa sono venuto
qui per morire e ora, che è arrivato il momento, che cosa
voglio di più? È tutta la vita che mi sto preparando!....
Quando il medico gli chiedeva: Come va? lui rispondeva:
Allinsù, dottore, allinsù...,
e alzava gli occhi al cielo. Dei suoi ultimi cinque mesi esiste
una ricca aneddotica; ricordiamo solo che rimproverava coloro
che piangevano per lui e li rimandava consolati come se gli ammalati
fossero loro. Lotto marzo scrisse su un foglio le cure
che dovevano impartirgli nei sette giorni successivi. Fu la sua
ultima ricetta e, come sempre, la sottopose al medico perché
lapprovasse. Lultima cura che prescrisse a se stesso
fu del 14 marzo: morì il mattino seguente. Il medico accorse
e trovò il certificato di avvenuto decesso, già
compilato dallo stesso Zatti con lo spazio per aggiungere il
giorno e lora.
La camera ardente si riempì di fiori, non di belle ghirlande
con nastri e scritte dorate, ma fiori di campo raccolti dai suoi
poveri.
Per i funerali, il 16 marzo 1951, le autorità disposero
la chiusura degli edifici pubblici; i negozi chiusero i battenti
in segno di lutto, le fabbriche concessero ai dipendenti di partecipare
ai funerali. In tutta la città di Viedma, accompagnavano
il suono delle campane, le parole di Zatti: Il dolore ci
viene dato in sovrappiù; perciò non possiamo lamentarcene.
Solo i suoi malati si lamentavano, perché ora non cera
più chi li teneva allegri.
Galliano Cagnolati ***
*** Questo e altri 120 santi e sante sono
nel volume di :
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i
suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
IMMAGINI:
1 Fotografia
di Artemide Zatti a Viedma (1930) /
2 Il Beato
Artemide Zatti (dichiarato beato il 14 aprile 2002) Disegno di
COSIMO MUSIO, 2000 /
3 Artemide Zatti usava molto
la bicicletta per spostarsi in città
RIVISTA
MARIA AUSILIATRICE 2002-5
VISITA Nr.