8 marzo: S. Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli:
FATE BENE FRATELLI A VOI STESSI
Qualche volta si è tentati di credere, che tutto ciò che c’è di progresso nel nostro mondo abbia avuto inizio con l’illuminismo, grosso modo, dal 1700 in poi. Che le grandi conquiste siano frutto della ragione finalmente affrancata dalle pastoie della fede religiosa. Ma non è così.
Guardate per esempio i nostri moderni ospedali. Circa duecento anni prima dell’avvento dell’illuminismo c’era stato un santo, Giovanni di Dio, che al riguardo ebbe intuizioni straordinarie, tutte dettate dalla sua intelligenza mossa dall’amore a Dio e ai malati.

Fino al 1500 (escludendo solo qualche eccezione come la famosa Basiliade) gli ospedali erano nello stesso tempo cronicario per persone anziane abbandonate, rifugio per pellegrini o persone senza fissa dimora, ricovero per malati rifiutati da tutti, persone con malattie contagiose mischiate o letteralmente ammucchiate con le altre. Possiamo immaginare le conseguenze.
Giovanni di Dio, invece, nel suo primo ospedale del 1539, a Granada in Spagna, organizzò tutto con criteri e metodologie sorprendentemente moderni. Il suo ospedale era diviso in reparti secondo le malattie, ad ogni malato veniva dato un letto pulito e ordinato (per nulla scontato fino ad allora). La pulizia era perfetta, i pasti assicurati a intervalli regolari. Il malato era una persona da amare, prima di tutto, e da curare, o meglio da curare amandolo.

Con i malati di mente poi Giovanni di Dio fu ancora più incisivo, avendolo provato sulla propria pelle. Tolse loro quella etichetta di indemoniati molto facile da appiccicare a quei tempi, rifiutò le precedenti metodologie coercitive, tipo incatenamento, fustigazione e punizioni varie. Per lui quelli erano i malati più cari perché psichicamente fragili, i più bisognosi di cure e di affetto umano: i fratelli e le sorelle più bisognosi di amore e comprensione, non di catene e punizioni.

I malati dei suoi ospedali non erano semplici corpi da curare, o persone da rispettare, erano anche anime da salvare. Da qui la sua preoccupazione per l’assistenza di tipo spirituale. Qualcuno ha scritto che “nell’assistenza ospedaliera Giovanni di Dio merita un posto che non può essere cancellato nei secoli”. E lo psichiatra italiano Cesare Lombroso aggiungerà che Giovanni di Dio è un vero riformatore, “il creatore dell’ospedale moderno”. Quindi è bene che lo conosciamo più da vicino.

Giovanni di Dio per i malati e i poveri

Juan Ciudade è vissuto solamente 55 anni, di cui ben 43 a trovare la propria vocazione, e i rimanenti a costruire la propria santità fatta di amore a Dio, tradotto nel servizio e nell’assistenza ai malati e i poveri. Nacque l’8 marzo 1495 in Portogallo. Dopo essere scomparso per motivi non chiari all’età di otto anni, lo troviamo in Spagna, vicino alla frontiera adottato dal conte di Oropeza, che gli diede una buona istruzione di base, sia scolastica che religiosa. Era un ragazzo bravo e affidabile, per questo motivo il conte gli affidò la cura del gregge e più avanti la gestione dell’intera proprietà, con la prospettiva di un matrimonio con la figlia.

Questo ci dà la misura del valore e della stima che si era conquistato Giovanni.
Ma il conte non lo conosceva fino in fondo. Infatti a 22 anni, lo spirito di libertà e di curiosità presero il sopravvento e si arruolò nell’esercito, partendo per il nord della Spagna a combattere i Francesi, contro i quali era impegnato Carlo V. In questa parentesi militare ebbe due disavventure che fanno un po’ sorridere. Nella prima fu “preso in giro” da un... cavallo. Giovanni ne aveva preso uno per andare alla ricerca di foraggio, e, ingenuamente, si lasciò guidare dal quadrupede. Questi cammina, cammina ad un certo punto si fermò. Era arrivato. Ma dove? Con orrore si accorse che era l’accampamento dei nemici. Il cavallo (catturato ai francesi) era tornato passo dopo passo a casa tra i suoi. Lui invece dovette fuggire precipitosamente.

Ancora maggiore fu il rischio quando gli fu sottratto il bottino. Egli era stato incaricato della sua custodia. Una mancanza gravissima. La pena? L’impiccagione. Per fortuna sua un ufficiale, conoscendolo e giurando sulla sua innocenza, lo salvò, ma Giovanni pagò con l’espulsione dall’esercito. Salvo poi arruolarsi di nuovo nel 1532 per combattere i Turco Musulmani che avevano assediato Vienna, al primo tentativo di conquistare l’Europa (tenteranno, invano, 40 anni dopo via mare a Lepanto, e poi di nuovo via terra nel 1683 assediando Vienna).

Servire Cristo nei malati

Negli anni seguenti lo troviamo in Andalusia, poi a Gibilterra e da qui, con una famiglia portoghese a Ceuta (Africa), poi di nuovo in Spagna, adattandosi alle circostanze, e facendo di conseguenza numerosi mestieri. Penso che Giovanni di Dio potrebbe essere nominato protettore e modello per il lavoratore post moderno dei nostri giorni. Infatti, si afferma continuamente che, oggi più che mai, c’è bisogno di creatività, di spirito di adattamento, di flessibilità operativa, di disponibilità al cambio di professione, dato il mutare continuo del panorama occupazionale.

Nella sua vita fece innumerevoli mestieri: pastore di greggi, bracciante agricolo, muratore, soldato, venditore ambulante, libraio, infermiere, manager nella gestione aziendale (ospedale), infermiere e questuante (per pagare i debiti). Non c’è male come flessibilità (e polivalenza professionale).
Ma la vera svolta o conversione arrivò nel 1538, a Granada, e lo strumento di cui si servì lo Spirito Santo fu un predicatore, un certo Giovanni d’Avila (che è anche Beato). Il Nostro lo ascoltò e fu conquistato dall’idea del soffrire per amore di Gesù Cristo, del patire con Lui. Folgorato da questa intuizione, cominciò ad assumere comportamenti strani, come battersi il petto, gridare di dolore, strapparsi i cappelli: sembrava fosse uscito fuori di senno. Dopo un po’ di tempo, alcune persone impietosite lo presero, lo aiutarono e lo condussero da Giovanni d’Avila. Questi gli promise che gli avrebbe fatto da guida spirituale.

Cessarono le stranezze ma non per molto tempo. Questa volta però fu portato in manicomio, dove subì umiliazioni, maltrattamenti, flagellazioni, celle d’isolamento... tutto secondo le metodologie terapeutiche e usanze del tempo. Finché Giovanni d’Avila gli disse che quelle sofferenze, fatte in quel modo, non servivano a niente. Giovanni ascoltò e immediatamente uscì dal quello stato di demenza. E subito dopo ci fu quella che possiamo chiamare la conversione nella conversione: si mise a servire quelli che fino a poche ore prima erano i suoi compagni di sventura. Aveva imparato quello che soffrivano i pazzi, e all’improvviso aveva capito come bisognava trattarli.

Si prodigò per quei suoi compagni malati e per gli altri presenti in altri ospedali di Granada. Andò poi pellegrino alla Madonna di Guadalupe (Spagna), per ricevere consiglio. E questo arrivò sotto forma di visione: la Madonna gli offriva dei vestiti con i quali avrebbe dovuto vestire il piccolo Gesù. Giovanni capì che la sua missione sarebbe stata quella di vestire e curare i malati e i poveri, nei quali era presente Cristo stesso.

Fate del bene fratelli a voi stessi

In una seconda visione la Madonna, tenendo in mano una corona di spine, gli disse: “È con le spine, con il lavoro e la sofferenza che devi conquistare la corona che mio Figlio ha preparato per te”. E di spine, Giovanni ne ebbe tante negli ospedali che egli fondò.
Quando il vescovo della città ed altre personalità lo chiamarono per avere informazioni sul suo lavoro, egli si presentò con addosso i vestiti di un mendicane, ai quali poco prima aveva dato i propri. Il vescovo lo incoraggiò, lo aiutò materialmente e moralmente, e gli suggerì anche di mettersi addosso un vestito come distintivo, un abito religioso, come simbolo della vita consacrata agli altri per amore di Dio. Giovanni accettò e così anche i suoi collaboratori. Era diventato Giovanni con la qualifica “di Dio”, quasi come un cognome. Nasceva così la Congregazione dei Fratelli di san Giovanni di Dio (più noti come Fatebenefratelli), così benemeriti nel campo del servizio ospedaliero. Sono chiamati così dall’espressione che usava il Santo quando chiedeva l’elemosina: “Fate bene fratelli, per amore di Dio, a voi stessi”. Voleva dire ai donatori potenziali che donare a lui era il donare a Cristo, che avrebbe compensato tutto con abbondanza.

Giovanni andò avanti tra mille difficoltà e mille debiti, confidando sempre nei benefattori e soprattutto in “Cristo che provvede”. Dopo tredici anni di duro lavoro e di penitenza era ormai alla fine. Prima della morte dovette affrontare un’altra critica, piuttosto cattiva. Fu convocato dall’arcivescovo che gli riferì l’accusa che circolava: nelle sue case Giovanni dava alloggio anche a donne di malaffare, cioè a persone indegne di ogni assistenza. Egli si gettò ai piedi del prelato dicendogli: “Il Figlio di Dio è venuto per i peccatori e noi siamo costretti a lottare per la loro conversione. Io sono infedele perché non riesco a farlo, ma vi garantisco che nel mio ospedale non c’è nessuna cattiva persona al di fuori di me, che sono indegno di mangiare il pane dei poveri”. Una risposta e una testimonianza da vero santo. E le voci malevoli finirono.

Preconoscendo l’ora della propria morte, chiese di restare solo; si alzò da letto, e si inginocchiò davanti all’altare, chiudendo la sua esperienza terrena così, pregando in ginocchio. Era l’8 marzo 1550. Giovanni di Dio moriva, ma la sua memoria e i suoi esempi continuano ancora oggi.
                                                                                  
 MARIO SCUDU ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono nel volume di :
          
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
IMMAGINE:
                   
San Giovanni di Dio (1495-1550):
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-3
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