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MARZO : San Nicola di Flue:
DAMMI TUTTO CIO' CHE
MI CONDUCE A TE
Santi, santità, santificazione.
Tre semplici parole, molto usate naturalmente in ambito ecclesiale
ma non solo. Parole bollate come desuete, non moderne (o post
moderne), dal significato molto vario, ma che comunque non lasciano
nessuno tranquillo nelle proprie abitudini e convinzioni. Il
parlare di santi e di santità non è molto in,
per non dire fastidioso o addirittura tabù. Ve lo immaginate
un talk show alla nostra TV, pubblica o commerciale
in questo non fa differenza, che in prima serata parlasse di
santi, di come essere santi, dellimportanza di esserlo...
I grandi programmatori della nostre serate davanti alla Tv non
ci pensano nemmeno. Motivo: non farebbe audience.
Purtroppo. Il sentire parlare o leggere la vita di un santo dei
primi secoli o anche di questo secolo appena trascorso (pensiamo
a San Padre Pio di Pietrelcina o alla prossima beata Madre Teresa
di Calcutta) ci fa fare un involontario esame di coscienza dal
punto di vista cristiano o anche semplicemente umano. Sì
perché i santi o le sante erano veri uomini e vere donne,
che proprio perché hanno vissuto il loro essere discepoli
di Cristo fino in fondo e con totalità, sono diventate
allo stesso tempo uomini e donne in pienezza (almeno dal punto
di vista dellantropologia cristiana). Non sono quindi uomini
e donne per una sola stagione. Il loro ricordo sfida lusura
del tempo.
Chi sono i santi? A questa domanda così impegnativa ha
risposto, nelle pagine di Famiglia Cristiana, anche la famosa
scrittrice italiana Susanna Tamaro. Ecco le sue riflessioni:
«Ma chi sono davvero i santi?
Domanda spaventosamente enorme, che
ci rimanda ad una ancora più grande: Che cosè
la santità?
Innanzitutto chiariamo una cosa. Nei santi non cè
niente di molle o di svenevolo, perché il santo, prima
di ogni altra cosa, è una persona che va contro,
e dunque non può assolutamente essere un debole.
Le immagini della devozione popolare, purtroppo, ne danno spesso
unidea fuorviante. Bisogna leggere le loro vite. Solo così
possiamo renderci conto della loro vitalità, del loro
anticonformismo, della totale solitudine e della profonda disperazione
che li può attanagliare. I santi non sono i primi della
classe, persone baciate da una specie di superiorità,
grazie alla quale riescono a vivere protetti dal mondo, senza
sforzi. Al contrario i santi vivono con il massimo sforzo e,
al tempo stesso, con il massimo abbandono. Sforzo e abbandono
sembrano contraddirsi, ma non è così. Lo sforzo
è nella lotta contro il male, labbandono è
alla carità, allAmore che li ha generati».
Da padre
di famiglia a monaco
La definizione
di santità di Susanna Tamaro appena citata sembra riferirsi
in special modo al santo che vi propongo per il mese di marzo:
San Nicola di Flue. Un santo svizzero, uno dei pochi in verità.
Ma molto significativo non solo per i contemporanei del XV secolo
ma anche per noi oggi. Nicola di Flue non fu certamente un debole,
uno remissivo, un rinunciatario della vita, uno a rimorchio dellambiente
socio culturale. Non si è lasciato vivere, ma ha vissuto.
Non si è lasciato condizionare ma ha condizionato gli
altri per cause giuste e coraggiose. Ha costruito con coscienza
e responsabilità la propria esistenza ed il proprio essere
al mondo situato nella Svizzera di quel secolo. Ha saputo andare
contro il pensare e fare della massa, pensando in
proprio ed esponendosi con coraggio per affermare i propri ideali
cristiani di pace e di riconciliazione. Ha sperato e optato più
per il dialogo, quando lopinione più comune era
di lasciare parlare le armi. Meno dialogo e più azione,
dicevano gli altri. Ma lui ribadiva che se cera il vero
e paziente dialogo non cera bisogno dellazione (armata).
Ha saputo vivere la propria solitudine, senza la decostruzione
mentale che ci può essere quando questa non è sorretta
da forti convinzioni e da una intenzionalità limpida radicata
in Dio. Sforzo e abbandono, scrive Susanna Tamaro. Due elementi
presenti in modo significativo nella vita di Nicola di Flue.
Particolarmente negli ultimi ventanni della vita (che coincidono
con la sua vita in solitudine) coniugò in maniera egregia
il suo abbandono a Dio e allAmore di Cristo, fino a vivere
solo in Lui e di Lui, cioè solo di Eucarestia, che rimane
anche oggi il segno e il sacramento vertice dellamore di
Cristo per noi e per tutto il mondo.
Nicola era nato in Svizzera, a Flue nellObwald, nel 1417,
lo stesso anno del Concilio di Costanza, che aveva posto fine
al grande scisma dellOccidente, suscitando speranze di
riforma nella cristianità. Speranze, ahimè effimere,
perché nella cristianità del tempo, legata
ad un ordine feudale ormai in declino, si stava allargando il
solco fra istituzioni ecclesiastiche attaccate ai loro poteri
e una società civile sempre più consapevole della
sua autonomia; fra le autorità indegne o incapaci e il
popolo dei fedeli; fra una teologia scolastica fossilizzata e
una nuova corrente spirituale che poneva laccento sulla
pietà personale (Ph. Baud).
Sul versante politico la piccola Confederazione elvetica era
alla ricerca di una propria identità, politica e commerciale.
In questo ambiente politico ed ecclesiale, attraversato da grave
crisi, maturò la vocazione di Nicola, mediante un cammino
per lo meno sconcertante. A 50 anni smise di fare il contadino
e il padre di famiglia e si ritirò in solitudine, come
un monaco. Prima aveva vissuto lesperienza matrimoniale
e familiare, sposando Dorotea dalla quale ebbe ben 10 figli.
Tutto bene in questa esperienza, ma dentro di lui cera
una lotta interiore. Sentiva che Dio lo chiamava, e lo invitava
a lasciare tutto: famiglia, campi e
sicurezze terrene. Certo della chiamata, chiese il permesso alla
moglie e ai figli più grandi di ritirarsi in solitudine.
Ebbene la sua carissima sposa (come egli la chiamerà
sempre) e i figli maggiori glielo accordarono. Era libero di
seguire questa chiamata interiore alla preghiera e alla penitenza.
Destinazione? LAlsazia, per unirsi agli Amici di Dio (Gottesfreunde)
ivi fiorenti. Era questa la volontà di Dio? Lo seppe da
Dio stesso, ma indirettamente. Non dalla voce di qualche illustre
teologo o esegeta, ma... dalla voce di un contadino al quale
aveva esposto i propri progetti di vita ritirata. Nel Vangelo
si dice che lo Spirito soffia dove e quando e su chi vuole. Anche
su un contadino, non certo istruito. Come avvenne nel 1467 per
il Nostro. Questi disse a Nicola che in nessun luogo poteva servire
Dio che non fosse in mezzo al suo popolo. Nicola lo accolse come
un segno. Non pensò più allAlsazia, e ritornò
con discrezione tra la sua gente, in una valle solitaria non
lontano da casa sua. Viveva così in solitudine, nella
preghiera e nella povertà e penitenza. La sua fama di
santità si sparse subito in tutta la Confederazione. Questa
era dovuto anche al fatto straordinario che Nicola viveva solo
di Eucarestia. Nessun altro cibo come venne naturalmente verificato.
Era una grazia di Dio oltre a varie visioni di cui Egli gli fece
dono. In solitudine sì, ma non estraneo e indifferente
alle sorti dei suoi concittadini. Questi infatti lo chiamarono
come arbitro per evitare una guerra fratricida nel 1481. E Bruder
Klaus (fratello Nicola) come veniva ormai chiamato portò
il suo messaggio di pace, di dialogo, di ricerca del bene comune.
Per Nicola la misericordia in tutte le cose vale più
della giustizia e la saggezza è il più
amabile dei beni. La pace è sempre in Dio,
perché Dio è la pace e la pace non può essere
distrutta. E poi incitava i suoi connazionali dicendo con
forza: Cercate dunque di mantenere la pace. Per questa
sua mediazione riuscita e la sua testimonianza di pace e di concordia,
Bruder Klaus è considerato come il Padre della patria,
oggi si direbbe in modo bipartisan, cioè da cattolici
e da protestanti. Interessante per questo motivo è il
giudizio che di lui diede Zwingli (1484-1531) uno dei fondatori
del protestantesimo svizzero (insieme a Calvino). Anni dopo la
sua morte affermò di Nicola: Dovete sapere senzaltro
ciò che il pio Fratello Nicola di Flue ha detto a proposito
della Confederazione. Questultima non ha altro oppressore
da respingere che legoismo, ovvero linteresse personale.
Legoismo: ecco il nemico.
Nicola, il santo eremita, che viveva solo di Eucarestia e del
ricordo della Passione di Cristo, morì nel 1487. Aveva
70 anni, e 20 di essi li aveva passati in solitudine dal mondo,
ma pregando per il mondo contribuendo così alla sua salvezza.
MARIO SCUDU ***
*** Questo
e altri 120 santi e sante sono nel volume di :
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i
suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
Dammi ciò che mi conduce a Te
O Signore mio Dio,
dammi tutto ciò che conduce a Te.
O Signore mio Dio,
prendimi tutto ciò
che distoglie da Te.
O Signore mio Dio,
strappami anche a me stesso,
e dammi tutto a Te.
La preghiera può essere
dolce come andare a... ballare
Nicola è
considerato anche un mistico, che si aggancia ai grandi mistici
della Scuola Renana, come Meister Eckart, Taulero, Ruysbroeck.
A Nicola accorrevano visitatori per consiglio. Ad uno di essi
che gli chiedeva su come doveva meditare la Passione del Signore,
Nicola rispose: È buona qualunque via tu voglia
scegliere precisando subito dopo che Dio sa rendere
la preghiera così dolce per luomo che questi vi
si immerge come se andasse a ballare. Ma Dio sa far sì
che essa diventi per lui una lotta. Il visitatore rimase,
come dire, un po disorientato o per lo meno perplesso.
Nicola riprese: Sì, come se andasse a ballare.
IMMAGINE:
Anonimo: San Nicola
di Flue in preghiera, Cappella di san JOst, Cantone di Schwyz,
Svizzera
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-3
VISITA Nr.