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12 aprile: Santa Teresa De Los ANDES
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S. Teresa de Los Andes (1900-1920), monaca carmelitana ***

Andiamo in cielo?

Il Dio dei cristiani non è un solitario dei cieli, chiuso in se stesso perché infinitamente e felicemente autosufficiente. No, infatti ama la compagnia dei propri simili (la Trinità), ma anche la nostra compagnia che non è sempre gratificante. Chiede perfino la collaborazione di noi umani che, per definizione e purtroppo in realtà, siamo peccatori e propensi a dimenticarci di lui. Ad attestarci tutto questo basta il famoso incipit della Lettera agli Ebrei, sintetico quanto significativo: "Nei tempi passati Dio parlò molte volte e in molti modi ai nostri padri….". Ma anche oggi Dio parla a noi ogni giorno e in molti modi… se vogliamo ascoltarlo e lo fa perché ci ama. Sono stati i santi quelli che più lo hanno ascoltato e hanno saputo decifrare le modalità con cui parlava loro.
S. Francesco di Sales ha espresso lo stesso pensiero scrivendo: "S. Antonio, S. Francesco, S. Anselmo e mille altri ricevevano spesso ispirazioni tramite la vista delle creature. Il mezzo ordinario è la predicazione, ma talvolta coloro a cui non porta profitto la parola, sono istruiti dalla tribolazione… S. Antonio ascoltando il vangelo che si legge nella messa; S. Agostino udendo il racconto della vita di S. Antonio… S. Pacomio osservando un esempio di carità; il beato Ignazio di Loyola leggendo la vita dei santi" (in Trattato dell'Amor di Dio, VIII,10).
Anche nella vita di S. Teresa de Los Andes troviamo molte "parole" o "input" da parte di Dio che l'aiutarono nella strada della santità, raggiunta in appena vent'anni. Uno dei primi è stato il suo cappellano. A Teresa bambina che, mentre guardava con occhi pieni di meraviglia le alte montagne delle Ande, chiedeva: "Andiamo in cielo?", rispondeva: "Quando saremo arrivati lassù mancherà ancora molto, moltissimo per arrivare al cielo". E le faceva capire che c'era una strada più breve nel Tabernacolo della cappella, davanti a Gesù. Il cielo era già là. E lei, capito il messaggio, correva a rifugiarsi proprio lì dentro… per un po' di cielo.
Anche durante i mesi estivi che Juanita passava correndo e andando a cavallo nella "hacienda" del nonno, ebbe l'occasione molte volte di osservarlo mentre recitava il rosario per ore intere, parlando quindi con la Madonna.
Messaggi, ispirazioni, buoni esempi, begli incontri che uniti alla sua buona volontà (e naturalmente alla grazia di Dio) l'hanno aiutata nel suo cammino spirituale fino alla vetta altissima della santità.

La dura battaglia contro il proprio io orgoglioso

Juana Fernandez Solar è nata a Santiago del Cile il 13 luglio 1900, crebbe insieme a tre fratelli e due sorelle, in una famiglia agiata economicamente e religiosamente praticante. Era di carattere un po' difficile: egoista, orgogliosa, ostinata, vanitosa, con tutto ciò che questo può significare nel quotidiano famigliare. Ma era anche intelligente, simpatica, sportiva e generosa. Lei stessa fa una breve presentazione di se stessa nel suo Diario: "Gesù non volle che io nascessi povera come Lui. Io nacqui in mezzo alle ricchezze, vezzeggiata da tutti… Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io non ci badavo. Tuttavia queste stesse parole me le ripetevano quando ero già grande di nascosto dalla mamma, che non avrebbe voluto. Solo Dio sa quello che mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che si impadronì del mio cuore, quando fui più grande…". Quindi Juanita, come veniva chiamata, non è nata santa, lo è diventata anche con la lotta su se stessa, contro i propri difetti che tutti abbiamo, scegliendo il bene ed evitando il male giorno dopo giorno e vincendo, con pazienza, qualche difetto che anche lei aveva. Per esempio: la capacità di perdonare. Preparandosi alla Prima Comunione fece il proposito di non lasciar passare la giornata senza chiedere perdono alle persone eventualmente offese dal proprio comportamento, specialmente in famiglia con i tre fratellini molto vivaci.
Fece anche il proposito di non perdere la pazienza. "Mamma era felice di vedermi preparare così bene alla Prima Comunione… Non bisticciavo più con gli altri bambini, e a volte mi mordevo le labbra… Nessuno riusciva a farmi perdere la pazienza, anche se i miei fratellini mi provocavano di proposito e mi dicevano mille cose per farmi arrabbiare". Test di pazienza superato e non è poco all'età di sette anni e con 'esaminatori' così creativi come i fratellini. Anche così si preparava al grande incontro con Gesù nell'Eucarestia.
Altra piccola cosa ma grande per lei: per vincere la vanità che sentiva crescere aveva promesso a Lui di non guardarsi allo specchio! Piccole cose, ma fatte per amore che aiutano nel cammino verso la santità. La Prima Comunione fu per lei e per il suo cammino spirituale una tappa fondamentale e decisiva. In quell'occasione ricevette grazie mistiche di locuzioni interiori che durarono tutta la vita. Scrisse nel Diario: "Non riuscirei ad esprimere quello che passò tra Gesù e la mia anima. Gli chiesi mille volte di prendermi e sentivo per la prima volta la sua voce amata. Ah, Gesù, io ti amo e ti adoro". Qui sta la radice della sua santità: l'amore a Gesù, vissuto da autentica innamorata, anche se ancora bambina.

"Gesù ha preso il comando della mia barchetta"

Gesù cominciava ad essere il suo grande e unico Amore. E lo fu fino sempre più intensamente fino alla fine. Quando un giorno era triste e piangeva per la mancata visita della sorella, guardando l'immagine del S. Cuore, così scrisse nel Diario, "Sentii una voce molto dolce che mi diceva: "Come, Juanita, io me ne sto solo nel tabernacolo per amore tuo, e tu non riesci a stare sola un momento con me?". Ed Egli cominciò a parlarmi. E io stavo ore intere ad ascoltarlo, tanto che mi piaceva molto stare sola. E Lui mi insegnava come dovevo soffrire, senza lamentarmi, e come restare intimamente unita a Lui. Mi disse anzi che mi voleva per Lui e che desiderava che io mi facessi carmelitana. Ah, è inimmaginabile quello che Dio faceva alla mia anima. In quel tempo io non vivevo in me stessa. Era Lui che viveva in me… Facevo tutto per Gesù e con Gesù. Nostro Signore mi indicò come fine la santità, spiegandomi che l'avrei raggiunta facendo il meglio che potevo".
Interessante anche il piccolo particolare delle orchidee 'regalate' da lei a Gesù. Le aveva ricevute da un dottore che l'aveva operata e che era rimasto colpito dal suo atteggiamento (lei aveva perfino baciato il Crocifisso dicendo "Tra poco ci vedremo faccia a faccia. Addio"!). Scrisse: "Era la prima volta che mi regalavano dei fiori. E li mandai a Gesù. Questo sacrificio mi costò molto. Però lo feci".
Durante la convalescenza un giorno incontrò un bambino mal vestito ed affamato. Lei se ne prese cura, gli procurò vestiti (adattando quelli dei fratellini) e gli diede da mangiare ospitandolo a casa. Finchè conobbe anche la madre, povera e abbandonata dal marito. Per aiutarlo, mise all'asta anche il suo orologio. Ma fece di più: lo preparò insegnandogli il catechismo a ricevere i Sacramenti. In pratica lo adottò. Questo ci mostra il suo animo sensibile e generoso.
Arrivata all'età fatidica dei quindici anni scrisse nel Diario: "Quindici anni sono per una ragazza l'età più pericolosa: l'ingresso nel mare tempestoso del mondo. Ma Gesù ha preso il comando della mia barchetta". Ed intanto maturava in lei l'idea del Carmelo, anche se prevedeva molte difficoltà nel realizzarla. Ma non si scoraggiò.
Anche S. Teresa di Lisieux le diede una mano… con la sua "Storia di un'anima" che Juanita cominciò a leggere con attenzione: l'idea della 'piccola via' alla santità fatta di tante piccole cose, azioni, pensieri, sacrifici per amore di Dio fece presa su di lei. Una grande decisione per lei fu il voto di verginità. Così scrisse nel Diario: "Oggi all'età di quindici anni, alla presenza della Ss. Trinità, della Vergine Maria e di tutti i santi del cielo, faccio voto di non volere altro Sposo se non il mio Signore Gesù Cristo, che io amo con tutto il cuore e che voglio servire fino all'ultimo giorno della mia vita". Fu per lei una tappa molto importante: non era più una bambina e sapeva bene quello che faceva, ma soprattutto perché e per chi lo faceva: Gesù Cristo. Per nessun'altro si poteva fare quel dono e sacrificio della propria vita.

Tormento e desiderio d'infinito

Juanita intanto cresceva e ringraziava Dio per i tanti benefici che aveva come la vicinanza della propria famiglia, le vacanze, le gite al mare e in montagna, le galoppate a cavallo, le scampagnate con le amiche più care, la contemplazione delle alte vette della Cordigliera che la invitavano a salire verso Dio, e la meditazione davanti all'immensità del mare che risvegliava in lei un "tormento d'infinito" e uno struggente desiderio di Dio. Sapeva anche affidarsi a lui nelle difficoltà che incontravano i propri cari e sopportando con amore anche le sofferenze che lei stessa aveva: stanchezza crescente nonostante la giovane età, dolori alla spalla, dolori al petto che non riuscivano a spiegare. Non fu fatta una diagnosi approfondita (morirà infatti di tifo). Nonostante queste difficoltà e anche attraverso di esse, Juanita cresceva spiritualmente mentre si rafforzava in lei il desiderio di entrare nel Carmelo. Aveva già offerto a Gesù come compartecipazione alla sua Passione, non solo le proprie sofferenze ma anche la morte che ormai intuiva non lontana, come leggiamo nel Diario: "Accetterò con gioia la morte che Ti piacerà inviarmi: sia che avvenga nell'abbandono del Calvario o nel Paradiso di Nazaret".
Juanita sopportò con amore anche tutte le sofferenze spirituali che ebbe in quel periodo, quelle che i grandi mistici chiamano 'purificazioni' e 'notte oscura'. Molto spesso, scriverà, lottò con forza per vincere la tristezza interiore e mostrare un volto gioioso e allegro. Soffriva molto ma ebbe il coraggio di scrivere: "Questi due mesi di sofferenza sono stati due mesi di Cielo… Ho offerto tutto a Gesù e gli ho chiesto di darmi la sua croce… Ho preso la risoluzione di vivere molto allegra esternamente".
Il permesso del padre per il Carmelo non arrivava. Ma lei sapeva attendere, con pazienza e con "santa indifferenza": voleva fare solo la volontà di Dio accettando anche i suoi tempi di realizzazione.
Scriverà nel Diario: "Ho scritto a papà sollecitando il suo permesso e ancora non ho avuto risposta. L'anima mia soffre l'indicibile… Io mi rimetto indifferente alla volontà di Dio. Per me è lo stesso che mio padre mi dia o no il permesso di partire a maggio, che mi lasci o no abbracciare il Carmelo. Certamente ci soffrirei, ma, poiché cerco lui solo, purché lo faccia contento, che mi può importare il resto? Se Egli lo permette, io mi sottometto alla sua volontà, giacché ho fatto quanto Egli mi ha ordinato ". Ed il permesso arrivò. Scrisse: "Molto presto salirò la montagna del Carmelo, per vivere crocifissa". E al padre: "Papà mio bello, che Dio ti ricompensi mille volte… per la prima volta ero io la causa delle tue lacrime. E' Dio che dà l'energia ai nostri cuori per fare il sacrificio più doloroso in questa vita". Lacrime non solo del padre ma anche di dei parenti ed amiche.

L'Innamorata esclamò: "Il mio Sposo"

Ed il grande giorno fu il 7 maggio 1919. Juanita entrò nel monastero di Los Andes, dove non c'era né luce elettrica né acqua corrente, ma lei dirà di "aver trovato il cielo sulla terra". Alla vestizione religiosa il nome scelto fu Teresa di Gesù, per ricordare la grande Teresa D'Avila, riformatrice del Carmelo. In una delle sue lettere scrisse: "Molti giudicano inutile la vita della carmelitana, ma la carmelitana rassomiglia all'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Ella quindi sentì questa vocazione di compartecipare alla passione e morte del Cristo per la salvezza del mondo. La sua missione fu quella dell'espiazione per i peccati del mondo. Indubbiamente una missione difficile. Lei dimostrò che anche la sofferenza accettata e vissuta per amore di Dio, in unione a Cristo sofferente, può diventare redentiva e salvifica per gli altri, perché solo l'amore salva, come quello di Cristo sulla croce. Al fratello Lucho, in difficoltà spirituale, scrisse: "Nella mia anima c'è un cielo, perché c'è Dio, e Dio è il cielo… Ama per possedere eternamente il Bene immutabile, il Bene infinito, l'unico che può riempire e soddisfare la tua volontà…C'è un abisso immenso tra le opere fatte per le creature e quelle fatte per Dio. Fai come me, Lucho e lavora per Lui". E alle amiche scriverà: "La nostra vocazione ha per oggetto l'amore, l'amore più grande che possieda il cuore dell'uomo".
Teresa non finì neppure il noviziato, anzi presagendo la propria fine imminente ottenne dalla Priora di poter emettere i voti religiosi e diventare così carmelitana. Morì il 12 aprile 1920, non ancora ventenne. Chi l'assistette negli ultimi momenti la sentì esclamare: "Il mio Sposo", come una vera innamorata. Era Cristo, il suo amore, che veniva a prenderla con sé in Paradiso.
La Chiesa con Giovanni Paolo II ne ha riconosciuto la santità nel 1993, indicandola specialmente ai giovani come un modello di santità coraggiosa e paziente. E' stata la prima santa cilena e la prima santa carmelitana extra Europa.
Se c'è una parola che meglio caratterizza tutta la sua giovane vita e il timbro particolare della sua santità, è proprio quella messa ai piedi della statua (in S. Pietro a Roma), opera del pronipote Juan Fernadez Cox: "L'Innamorata". Parola semplice ma vera.

Mario SCUDU sdb - Torino

*** Testi
1 - Da una lettera alla sorella Rebecca, con cui aveva più confidenza, e che diventerà anche lei carmelitana.
"Credimi, Rebecca, a quattordici quindici anni una capisce la sua vocazione!... Il Divino Maestro si è avvicinato a me e mi ha detto: "Lascia tuo padre, tua madre e tutto quello che hai e seguimi"… E come potevo rifiutare la mano dell'Onnipotente che si abbassava verso una creatura misera come me?... Mi sono data a Lui! Giorno 8 dicembre, mi sono 'promessa'. Non riesco a dirti quanto Lo amo. Il mio pensiero non si occupa che di Lui. E' il mio ideale. E' un ideale infinito. Sospiro il giorno in cui potrò andare al Carmelo per occuparmi soltanto di Lui…". Ed in una lettera seguente, come per tranquillizzarla, le scrisse ancora: "Sorellina mia, non aver paura. Non ci sarà mai separazione tra le nostre anime. Io vivrò in Lui. Tu cercherai Gesù e in Lui mi troverai".
2 - Preghiera del 17 ottobre 1917.
"Gesù mio, ti amo. Sono tutta tua. Mi abbandono interamente alla tua divina volontà. Dammi la tua croce, ma dammi anche la forza di portarla. Non mi importa se mi dai l'abbandono del Calvario o la gioia di Nazaret. Mi importa solo di vedere contento Te. Non mi importa di non sentire niente, di essere insensibile come una pietra, perché, o mio piccolo Gesù, so che tu sai che io ti amo. Dammi la Croce. Voglio soffrire per Te, ma insegnami a soffrire con amore, con gioia, con umiltà… Non desidero di essere felice io, ma che Tu sia felice".
3 - 14 ottobre, durante la prova delle tenebre interiori (la 'notte oscura').
"Non provo gusto né nella preghiera, né nel fare la Comunione. Senza dubbio i desideri che ho nell'anima di unirmi a Dio, sono desideri sconsiderati. Non sento la sua voce. Niente. Tenebre. Non posso meditare. Non posso fare niente. Nostro Signore mi ha chiesto di offrirmi vittima per espiare gli abbandoni e le ingratitudini che Lui soffre nel tabernacolo".


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino


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