12 Giugno 1954-2004 / 50° anniversario Canonizzazione
di
DOMENICO
SAVIO:
IL RAGAZZO SANTO
«Presto, venga con me»
Dicembre 1856. Laria
è fredda perché è già scesa la notte.
Don Bosco, nel suo ufficio, sta rispondendo alle lettere arrivate
in giornata, di benefattori, di gente che chiede preghiere, di
ragazzi che sono stati suoi amici allOratorio e vogliono
continuare a parlare con lui.
Qualcuno bussa alla porta.
Avanti, chi è?
Sono io dice Domenico Savio entrando rapido. Ha
il volto serio e pensieroso . Presto, venga con me. Cè
una cosa importante da fare. Faccia presto, Don Bosco, faccia
presto.
Don Bosco esita. Ma guardando Domenico vede che il suo volto,
di solito così sereno, è molto serio. Anche le
sue parole sono decise come un comando. Don Bosco («avendo
già provato altre volte limportanza di questi inviti»,
scrive) si alza, prende il cappello e lo segue.
Domenico scende velocemente
le scale. Scrive Don Bosco: «Lo seguo. Esce di casa, passa
per una via, poi unaltra, ed unaltra ancora, non
si arresta né fa parola; prende infine unaltra via,
io laccompagno di porta in porta, finché si ferma.
Sale una scala, raggiunge il terzo piano e suona una forte scampanellata.
È qua che deve entrare mi dice. E subito
se ne va».
La porta si apre. Si affaccia
una donna scarmigliata. Vede Don Bosco e alza le braccia al cielo:
È il Signore che la manda. Presto, presto, altrimenti
non fa più in tempo. Mio marito ha avuto la disgrazia
tanti anni fa di abbandonare la fede e di iscriversi a una setta
anti-cristiana. Adesso sta morendo, e chiede per pietà
di potersi confessare, perché ha paura di presentarsi
al tribunale di Dio.
Don Bosco si reca al letto dellammalato, e trova un poveruomo
spaventato e sullorlo della disperazione. Lo confessa.
Gli dà lassoluzione a nome di Dio. Poche ore dopo
quelluomo muore.
Il giorno dopo, Don Bosco è impressionato da ciò
che è accaduto. Come ha potuto sapere quel ragazzo di
14 anni di quel malato e della sua urgenza di mettersi in pace
con Dio? Avvicina Domenico in un momento in cui nessuno li ascolta.
Ieri sera, quando sei
venuto a chiamarmi, chi ti aveva parlato di quella povera persona?
Allora succede una cosa che Don Bosco non si aspettava. Domenico
lo guarda con aria mesta e si mette a piangere. «Non ho
più osato fargli altre domande» scrive. Don Bosco
capisce che nel suo Oratorio cè un ragazzo a cui
Dio par
La stufa
di Don Cugliero
Lincontro di Don Bosco
con Domenico Savio era stato provocato (oltre che dal Signore)
da una grossa stufa: una di quelle stufe di campagna che ingoiano
legna e in cambio diffondono un calore onesto e buono.
Don Giuseppe Cugliero era linsegnante della scuola elementare
di Mondonio. Domenico, da Morialdo, era arrivato in quel paese
con la sua famiglia nel febbraio 1853, e si era subito iscritto
alla scuola per finire le elementari.
Allinizio dellinverno
1853-1854, Don Cugliero aveva detto ai suoi trenta scolaretti:
Venire a scuola al freddo è impossibile. Quindi
dora innanzi ogni mattina, porterete un pezzo di legno.
Li metteremo nella stufa, e così staremo al caldo fino
a mezzogiorno.
Una mattina del febbraio 1854 nevicava forte. Due alunni arrivarono
senza il pezzo di legno. Don Cugliero non cera ancora,
e uno osò dire: E voi, perché non avete
portato la legna?
Quei due ridacchiarono, parlottarono tra loro, e uscirono. Pigiarono
della neve fino a farne due grosse pallottole, poi rientrarono
portandole sulle braccia. Dissero: Ecco la nostra legna!
Aprirono il coperchio della stufa e buttarono dentro la neve
e se la ridevano, mentre quasi tutti gli altri guardavano in
silenzio. La stufa fumò, lasciò filtrare un po
dacqua e si spense. Quando arrivò, Don Cugliero
domandò inviperito: Chi è stato?
Nessuno fiatò, perché i due colpevoli avrebbero
picchiato chi parlava. Alla ripetizione della domanda, si alzarono
proprio quei due e dissero: È stato Domenico.
Domenico, si alzò stupito. Si guardò intorno come
per dire: «Ditegli che non è vero». Ma nessuno
alzò gli occhi dai libri. Tanti piccoli vigliacchi. Don
Cugliero disse stupito a Domenico: Proprio tu! Non me
lo sarei mai aspettato. E adesso prendi il libro e vieni a inginocchiarti
in mezzo alla classe, vicino alla stufa. Sentirai come si sta
bene accanto a una stufa spenta!
Domenico singinocchiò
dove diceva il maestro e la lezione fu chiusa prima del solito,
perché faceva troppo freddo nella scuola.
Uscendo dalla scuola, però, qualcuno fu preso dal rimorso,
e sussurrò a Don Cugliero: Guardi che non è
stato Domenico. Sono stati quei due là.
Don Cugliero cadde dalle nuvole. Richiamò a gran voce
Domenico, che era appena partito con i suoi libri.
Ma perché sei stato zitto? Così ho compiuto
uningiustizia davanti a tutta la classe. Bastava che mi
dicessi: «Non sono stato io!».
Domenico rispose tranquillo:
Anche il Signore è stato calunniato ingiustamente.
E non si è mica ribellato.
Don Cugliero rimase così colpito da quelle parole, che
pensò tra sé: «Questo è un ragazzo
buono sul serio. Gli farò un grosso regalo».
Alcuni mesi dopo prese la carrozza,
e si recò a Torino, dove abitava il suo compagno di seminario
Don Giovanni Bosco. Lo trovò in un cortile affollato da
centinaia di ragazzi.
Tu di ragazzi ne hai davvero più di me sorrise
Don Cugliero guardando quella splendida baraonda . Ma io
ne ho uno che vale tutti i tuoi messi in fila. E sono venuto
per regalarlo al tuo Oratorio. Si chiama Domenico Savio, e noi
lo chiamiamo «Minot». Se sai tirarlo su come si deve,
ne verrà fuori un sacerdote di primordine!
Anche tra questi che vedi correre e giocare come diavoletti
scatenati, ci sono dei veri angeli, sai? Comunque, per me va
bene. Io verrò ai Becchi per la festa del Rosario. Fammi
incontrare questo tuo piccolo campione con suo padre.
Il figlio
della sarta
2 ottobre 1854. Nel cortile,
davanti alla sua casetta dei Becchi, Don Bosco vide arrivare
Minot con suo papà. Quellincontro (uno dei più
importanti della sua vita) Don Bosco lo narrò come se
lavesse filmato con una cinepresa.
«Era... di buon mattino, allorché vedo un fanciullo
accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. Il volto
era ridente, laria rispettosa. Conobbi in quel giovane
un animo tutto secondo lo spirito del Signore».
Al termine dellincontro, Don Bosco, sapendo che la mamma
di Domenico era sarta, disse: Mi pare che in te ci sia della
buona stoffa.
A che può servire questa stoffa?
A fare un bellabito da regalare al Signore.
Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto; dunque
mi prenda con lei e farà un bellabito per il Signore.
5 parole
misteriose
Domenico e suo padre arrivarono
a Torino il 29 ottobre 1854. Scesero allOratorio attraversando
il quartiere di Borgo Dora. Entrarono in un cortile dove giocavano
molti ragazzi, e salirono allufficio di Don Bosco. Domenico
notò subito un grosso cartello alla parete, con cinque
parole misteriose: Da mihi animas, coetera tolle.
Quando suo padre ripartì,
superata la prima esitazione, Domenico domandò a Don Bosco
cosa significassero quelle parole. E Don Bosco, sorridendo, lo
aiutò a fare la sua prima traduzione dal latino: «Dammi
le anime e prenditi tutto il resto». Era la parola dordine
che Don Bosco aveva preso diventando sacerdote.
«Quandebbe capito, Domenico è Don Bosco
che lo racconta si fece per un istante pensieroso. Poi
disse: Ho compreso. Qui non si cerca denaro. Qui si cercano
anime per il Signore. Spero che anche la mia anima sarà
del Signore».
Un biglietto
per la Madonna
Alla domenica e nel pomeriggio
dei giorni feriali, i prati dellOratorio erano invasi da
centinaia di ragazzi di ogni genere: venivano a giocare, a imparare
qualcosa, a stare con Don Bosco, pronti a divorare la pagnotta
della merenda e magari a scappare quando era lora di andare
in chiesa. Tra quei ragazzi, sovente sporchi e maleducati, Domenico
fu subito un amico. Ricordava Giovanni Bonetti: «Faceva
il catechismo ai più piccoli nella chiesa dellOratorio,
e tutti lo ascoltavano volentieri».
8 dicembre 1854, una giornata di grande entusiasmo: il Papa proclama
il dogma dellImmacolata Concezione di Maria.
Domenico, nel pomeriggio di quel giorno, andò in chiesa,
si inginocchiò allaltare della Madonna e si consacrò
a Lei con queste parole che aveva scritto sopra un biglietto:
«Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro.
Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei; ma per
pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia
di commettere un solo peccato».
La ricetta
della santità
Il 24 giugno allOratorio
si faceva festa: era lonomastico di Don Bosco. Ognuno cercava
di manifestargli il suo affetto, e Don Bosco ricambiava con cuore
grande. La sera del 23 giugno 1855 disse ai suoi ragazzi: «Domani
volete farmi la festa, e io vi ringrazio. Da parte mia, voglio
farvi il regalo che più desiderate. Perciò ognuno
prenda un biglietto e vi scriva sopra il regalo che desidera.
Non sono ricco, ma se non mi chiederete il Palazzo Reale, farò
di tutto per accontentarvi».
Quando lesse i biglietti, trovò domande serie e bizzarre.
Chi gli chiedeva «cento chili di torrone per averne per
tutto lanno», chi un cucciolo «al posto di
quello che ho lasciato a casa».
Giovanni Roda, un amico di Domenico, gli chiese «una tromba
come quella dei bersaglieri, perché voglio entrare nella
banda musicale». Sul biglietto di Domenico trovò
5 parole: «Mi aiuti a farmi santo».
Don Bosco chiamò Domenico e gli disse: «Quando tua
mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti
da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito...
Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio
regalare. È formata da tre ingredienti che bisogna mescolare
insieme.
Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace
non piace al Signore. Caccialo via.
Secondo: i tuoi doveri di studio e di preghiera. Attenzione a
scuola, impegno nello studio, pregare volentieri quando sei invitato
a farlo.
Terzo: far del bene agli altri.
Aiuta i tuoi compagni quando ne hanno bisogno, anche se ti costa
un po di disturbo e di fatica. La ricetta della santità
è tutta qui».
Domenico ci pensò su. I primi due «ingredienti»,
gli pareva di averli. Nel far del bene agli altri, invece, qualcosa
di più poteva fare, pensare, inventare. E da quel giorno
ci provò.
«Conti
su di me»
Le classi, in quel tempo, non
erano composte da 25 scolari, ma da 70. Era facile, per i più
timidi, smarrirsi, non riuscire a seguire la lezione. Il professore
ripeteva, ma non poteva ripetere dieci volte mentre gli altri
si agitavano, sbuffavano. Finiva per dire: «Voi due dopo
studierete con Domenico». Domenico gli aveva detto: «Se
posso aiutare qualcuno, conti su di me».
Poco per volta Domenico si accorse che per fare del bene, bisogna
anche impedire il male, e che questo era meno simpatico e più
pericoloso. Ma ci provò lo stesso.
Un ragazzo aveva portato allOratorio un giornale con figure
poco pulite, che non avrebbe guardato alla presenza di sua madre.
Gli si radunarono intorno tre o quattro. Guardavano, ridacchiavano.
Domenico si avvicinò anche lui, vide il giornale e divenne
triste. Lo prese di scatto dalle mani del proprietario e lo strappò.
Il ragazzo si mise a protestare, ma protestò anche Domenico,
a voce più alta: «Ma bravo! Don Bosco ti tiene in
casa sua, e tu gli porti in casa questa roba! I giornali che
offendono il Signore non devono entrare qui dentro».
Le litanie
del carrettiere
Nel maggio del 1855 Torino
formicolava di eccitazione. Cavour aveva deciso che il Piemonte
mandasse un «corpo di spedizione militare» contro
la Russia, a fianco di Francesi e Inglesi. Si radunavano in Piazza
Castello e sfilavano per via Dora Grossa i battaglioni in partenza
per la Crimea.
Anche i ragazzi dellOratorio andarono a vedere la sfilata.
Domenico vide passare di corsa i bersaglieri con le piume al
vento, tra il grandinare degli applausi. Vide rotolare sul selciato
i cannoni affiancati dagli artiglieri in uniforme campale. Ma
vide anche altro. Il traffico da via Dora Grossa era stato deviato
nelle strette vie laterali.
Un cavallo che tirava un carro
con cestoni di mele, era scivolato sulle pietre, e cadendo aveva
rovesciato il carro. Le mele rosse e gialle rotolavano tra i
piedi dei passanti. Il carrettiere, imbestialito, percuoteva
il cavallo con il manico della frusta, e bestemmiava. Il cavallo
si tirò su, le ceste di mele furono rimesse in ordine,
ma il carrettiere continuava la sua litania di bestemmie. Allora
Domenico gli andò vicino: «Scusi, mi potrebbe dire
dovè lOratorio di Don Bosco?». Davanti
a quella faccetta pulita, lomone smise di bestemmiare,
e rispose: «Non conosco nessun Oratorio». A Domenico
il cuore batteva forte mentre disse: «Allora, potreste
farmi un altro favore?». «Sicuro. Vuoi due mele?».
«No. Vorrei che quando siete arrabbiato non diceste bestemmie».
Lomone lo guardò sorpreso, poi scoppiò a
ridere: «Bravo! Hai ragione. Quando mi arrabbio sono più
bestia del mio cavallo. Devo mordermi la lingua».
Venti passi
e le pietre
Un giorno due compagni di scuola
di Domenico si scambiarono titoli pesanti, si pestarono. Poi
uno gridò: «Ti sfido a duello!».
In quel tempo, il duello era una triste abitudine tra i militari.
Una grave offesa veniva «lavata» con la sciabola,
o con la pistola a venti passi. I ragazzi, affascinati come sempre
dalla violenza, li imitavano con il «duello delle pietre».
Anche quella volta fu così. In un prato vicino alla scuola,
due amici misurarono venti passi, tracciarono due cerchi, collocarono
5 pietre in ognuno dei cerchi. I duellanti si prepararono
al lancio. Domenico passava di lì per tornare allOratorio,
vide una piccola folla di spettatori e capì. Si trattava
di una faccenda pericolosa: una pietra ben mirata poteva spaccare
una testa. L Oratorio era lontano.
Non sapeva cosa fare. Quei
due erano suoi amici, ma come farli smettere quella sfida stupida
e pericolosa? Entrò nello spazio lasciato libero per i
duellanti, si tolse dal collo il piccolo Crocifisso che portava
sempre, si avvicinò ai due sfidanti. «Guardate il
Crocifisso! ordinò con fermezza . E adesso
ripetete queste parole: Gesù
è morto perdonando i suoi crocifissori. Io invece non
voglio perdonare, voglio fare una tremenda vendetta!».
Erano due bravi ragazzi, e rimasero senza fiato. Allora Domenico
con voce triste continuò: «Perché volete
farvi del male? Perché volete dare un dispiacere al Signore
e alle vostre famiglie? Gesù ha perdonato chi lo uccideva,
e voi non siete capaci di perdonarvi un insulto, uno schiaffo
dato in un momento di rabbia».
Il duello non si fece.
Al «processo di beatificazione», cinque testimoni
hanno giurato di aver assistito a quella scena drammatica.
Il capolavoro
di Domenico
Allinizio del 1856 i
ragazzi che vivevano giorno e notte allOratorio erano 153:
63 studenti e 90 giovani lavoratori.
Nella primavera di quellanno, Domenico ebbe unidea.
Perché non unirsi, tutti i giovani più volenterosi,
in una «società segreta» per diventare un
gruppo compatto di piccoli apostoli nella massa degli altri?
Ne parlò con alcuni. Lidea piacque. Si decise di
chiamare la società «Compagnia dellImmacolata».
Don Bosco lapprovò. Nella prima «adunanza»
si decise chi invitare a iscriversi: pochi, fidati, capaci di
tenere il segreto. I soci si impegnavano a diventare migliori
con laiuto della Madonna e di Gesù; ad aiutare Don
Bosco diventando con prudenza e delicatezza dei piccoli apostoli
tra i compagni; a diffondere la gioia e la serenità attorno
a sé.
La Compagnia fu inaugurata
l8 giugno 1856, davanti allaltare della Madonna nella
chiesa di San Francesco. Don Bosco ricorda che lentrata
in azione della Compagnia migliorò decisamente la vita
dellOratorio. La sua attività principale fu quella
di «curare i clienti». I ragazzi indisciplinati,
dallo schiaffo e dallinsulto facile, venivano assegnati
ai singoli soci perché funzionassero nei loro riguardi
come «angeli custodi».
Una seconda categoria di «clienti» che la Compagnia
adottò furono i nuovi arrivati. Venivano aiutati a trascorrere
in allegria i primi giorni, quando non conoscevano nessuno, non
sapevano giocare, parlavano solo il dialetto del loro paese,
e avevano tanta nostalgia.
Con la «Compagnia dellImmacolata», Domenico
aveva realizzato il suo capolavoro. Gli rimanevano da vivere
soltanto 9 mesi, ma la sua «Compagnia» sarebbe durata
più di centanni. In tutte le opere fondate dai Salesiani
sarebbe diventata un manipolo di ragazzi impegnati e di vocazioni
salesiane.
Dio premiò Domenico anche con delle grazie speciali.
Un giorno tutti notarono la
sua assenza a scuola e allora del pranzo. Anche Don Bosco
si mise a cercarlo. Entrato in chiesa, lo trovò davanti
al tabernacolo, in estasi. Una mano appoggiata al leggìo,
laltra sul petto, gli occhi rivolti al tabernacolo. Don
Bosco lo chiamò, lo scosse e, finalmente, Domenico lo
guardò e gli chiese: È già finita
la Messa?
Guarda che sono le due del pomeriggio!
Quellattimo, per Domenico era durato sette ore!
«Cosa
posso fare per il Signore?»
La salute di Domenico deteriorò
rapidamente.
Domenico riprese lanno scolastico regolare nellottobre
1856. Ma presto comparve una febbre ostinata, e uno sfinimento
di forze che gli faceva passare frequenti giornate nel lettuccio
dellinfermeria.
Nel febbraio del 1857 la tosse cominciò a tormentare Domenico,
e Don Bosco decise di mandarlo dai suoi.
Domenico lo fissò con quegli occhi grandi e scosse la
testa: Io me ne vado e non tornerò più.
Don Bosco, è lultima volta che possiamo parlarci.
Mi dica: cosa posso fare per il Signore?
Offrigli le tue sofferenze.
E cosaltro ancora?
Offrigli anche la tua vita. Il tono di Don Bosco si era
fatto grave: sapeva che quellofferta sarebbe stata accettata.
Il saluto più accorato, Domenico lo diede agli amici della
«Compagnia». Poi arrivò papà, e insieme
si avviarono verso Porta Palazzo, dove partiva la carrozza per
Mondonio. Allangolo della via agitò ancora la mano
a salutare il suo Oratorio, gli amici. Don Bosco rimase a guardare,
con un dolore profondo, quel ragazzo che partiva. Era stato il
suo alunno migliore, il santino che la Madonna aveva regalato
allOratorio per tre anni.
Il sangue
dieci volte
A Mondonio, il medico diagnosticò
«infiammazione polmonare» (= polmonite). Ricorse
al rimedio allora universale: levare sangue dalle vene. Per dieci
volte, da quel corpo fragile, la lancetta del chirurgo fece sgorgare
sangue. Domenico fu letteralmente dissanguato.
Si spense quasi allimprovviso il 9 marzo 1857.
Don Bosco scrive che morì dicendo: «Che bella cosa
io vedo». La signora Anastasia Molino, vicina di casa dei
Savio, afferma: «Ho veduto sovente il giovanetto durante
la sua ultima malattia. Negli ultimi giorni, aggravandosi il
male e vedendo sua madre afflitta, egli le faceva coraggio dicendole:
Mamma, non piangere, io vado in Paradiso. Diceva
ancora di vedere la Madonna e i Santi. Io fui presente agli ultimi
momenti, e ricordo che mentre un buon vecchio gli raccomandava
lanima, egli lo fissava e accompagnava col cuore le sue
preghiere. Erano pure presenti suo padre e sua madre. Spirò
placidamente».
Don Bosco scrisse e ristampò tante volte la vita di Domenico,
e ogni volta che rileggeva quelle pagine non riusciva a frenare
le lacrime.
Papa Pio XII lo dichiarò «Santo» il 12 giugno
1954. Il primo santo di 15 anni.
Teresio Bosco SDB ***
DATE DELLA VITA DI
DOMENICO SAVIO
2 aprile
1842. Domenico nasce a San Giovanni di Riva presso Chieri (TO)
da Carlo e Brigida Gaiato. In casa viene chiamato Minòt.
Novembre 1843. La famiglia Savio, per ragioni di lavoro,
si trasferisce a Morialdo, a 20 minuti di cammino dalla casa
di Don Bosco.
3 novembre 1848. Domenico comincia le scuole elementari
avendo come insegnante don Giovanni Zucca, cappellano di Morialdo.
8 aprile 1849. Domenico fa la sua Prima Comunione a Castelnuovo
dAsti.
Ultimi mesi del 1852 - primi mesi del 1853. Domenico tenta
di proseguire le scuole elementari a Castelnuovo, nella scuola
di don Alessandro Allora. La debole salute gli impedisce di continuare.
Febbraio 1853. La famiglia Savio si trasferisce a Mondonio.
Qui Domenico frequenta la scuola dal febbraio 1853 al giugno
1854, e finisce le elementari. Suo maestro è don Cugliero.
13 febbraio 1853. Domenico riceve la Cresima a Castelnuovo
dAsti da Mons. Moreno, vescovo dIvrea.
2 ottobre 1854. Primo incontro tra Don Bosco e Domenico
Savio ai Becchi. Don Bosco laccetta tra gli studenti dellOratorio.
29 ottobre 1854. Domenico arriva allOratorio di
Valdocco accompagnato da suo papà.
8 giugno 1856. Domenico, insieme ad altri amici, fonda
la Compagnia dellImmacolata.
1° marzo 1857. Su consiglio di Don Bosco, preoccupato
della sua salute in rapido declino, Domenico torna in famiglia.
9 marzo 1857. Dopo aver subìto 10 salassi dal medico
Cafassi, che tenta invano di far calare la febbre, Domenico muore.
Don Bosco annuncerà così questa morte ai ragazzi
dellOratorio: «La sera del 9 marzo eravi un angelo
di meno in terra e uno di più in cielo».
12 giugno 1954. Papa Pio XII proclama Domenico Savio «Santo».
«Mi fai fare
brutta figura»
Amedeo Conti,
geometra e Cavaliere della Corona dItalia, fu compagno
e intimo amico di Domenico Savio dallaprile del 1855 al
1° marzo 1857, quando Domenico partì per andare a
morire a Mondonio. Amedeo rese questa testimonianza, sotto giuramento,
su Domenico.
«Dovendo frequentare le scuole presso i professori Bonzanino
e Don Picco che risiedevano fuori dellOratorio, vi andavo
in compagnia di Domenico Savio e di altri ragazzi ogni mattina.
Domenico era sempre il più pronto a trovarsi al cancello
di uscita per recarsi alla scuola, e di qui chiamava ad alta
voce i ritardatari. Tra di essi cero sovente anchio,
e appena gli ero vicino, di sorpresa gli battevo un colpo sulle
spalle dicendo: Cattivo! Mi fai fare brutta figura.
Ma Domenico non perse mai la pazienza... Era il vero portatore
di pace tra di noi... È mia opinione che studiasse in
modo superiore alle sue forze. È pure mia convinzione
che abbia sempre osservato scrupolosamente i suoi doveri di cristiano,
di buon figliolo e di studente. Nei giorni festivi insegnava
anche il catechismo ai ragazzi più piccoli dellOratorio...
Quando uscivamo da scuola, avevamo lordine di tornare a
casa per la via più breve. Ma dovendo passare vicino a
Porta Palazzo, col mercato pubblico e i divertimenti popolari,
qualcuno di noi scappava. Andava a comprarsi qualche dolce e
a dare uno sguardo ai baracconi. Domenico non lo fece mai, e
a volte tornava allOratorio tutto solo...
Era amico di tutti, e non diede mai alcun dispiacere a nessuno».
(PS. 54-83).
IMMAGINI:
1-2-3 Nino MUSIO
: Disegni sulla vita di Domenico Savio - Elle Di Ci Torino-Leumann
4-5 CAFFARO RORE (1910-2001):
Scene della vita di San Domenico Savio - Chiesa di San Francesco
di Sales, Torino-Valdocco.
*** Questo e altri 120 santi e sante sono
nel volume di :
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice
Elledici, Torino
RIVISTA
MARIA AUSILIATRICE 2003-5
VISITA Nr.