Dolore, sofferenza, morte:
vivere o anche solo parlare di queste realtà così
universali e così inevitabili, significa fare unesperienza
anzi lesperienza umana per eccellenza di fronte alla quale
non è più possibile eludere lurgenza della
serietà e della consistenza personale. Realtà universali:
tutti, prima o poi, da giovani, meno giovani o da vecchi, ci
passiamo.
Anche se per
qualcuno il dolore e la sofferenza sembrano essere il pane quotidiano
della propria esistenza, a differenza di altri. È proprio
vero però che davanti a questa realtà, e nel momento
in cui bussa alla nostra porta siamo chiamati a dare il meglio
di noi stessi. E a riflettere più profondamente. A interrogarci
più spesso.
A pregare di più. Perché
il dolore è una realtà enigmatica, che angoscia
e inquieta, che può portare alla solitudine esistenziale
e alla disperazione, alla rivolta contro Dio e alla sua negazione.
È soprattutto la presenza del dolore innocente che lascia
perplessi e invita alla ribellione.
Come conciliare
i termini apparenti inconciliabili di un bambino innocente (o
di 27 bambini innocenti e della loro maestra
che perirono nel crollo della scuola durante il terremoto del
novembre 2002 nel Molise?) e la presenza di un Dio Amore, di
un Padre nei cieli che veste anche i gigli dei campi
ma che sembra sordo e muto davanti al dolore degli innocenti?
È leterno interrogativo di Giobbe, il giusto per
eccellenza nella morsa del dolore. È da 2000 anni che
anche il Cristianesimo dà la risposta già contenuta
nel Vangelo.
Ha scritto Paul
Claudel:
A questo
terribile problema, il più antico dellumanità
ed al quale Giobbe ha dato la sua forma ufficiale e liturgica,
solo Dio, direttamente richiesto e sollecitato era in grado di
rispondere. E linterrogativo era così enorme che
solo il Verbo poteva soddisfarlo dando non una spiegazione, ma
una presenza....
Dio davanti al dolore non ci
ha inviato un bel volume, con i suoi aspetti filosofici o psicologici,
non un trattato di sociologia della sofferenza ma una presenza,
anzi la Presenza: Se Stesso, nella Persona del Figlio Gesù
Cristo, lInnocente per eccellenza. Egli affrontò
il dolore e la morte nellassoluta dedizione e affidamento
al Padre e al suo disegno e mistero di amore.
Per il Cristianesimo, il dolore e la sofferenza del giusto accettata
per amore e vissuti nellamore, hanno il valore di prova,
di purificazione, di buon esempio per gli altri e di compartecipazione
al dolore salvifico della Croce di Gesù Cristo.
La povertà
della croce manifesta, infatti, la vera natura del Dio cristiano:
la pro-esistenza, il suo essere puro dono. La sofferenza acquista
in tal modo un senso non per se stessa, ma in quanto è
atto di amore: è il segno di un amore tanto grande da
trasformare colui che ama in un essere-totalmente-per-gli-altri.
Passando «dentro» la sofferenza umana, assumendola
su di sé fino allatto supremo della morte, Gesù
ha inaugurato una speranza che non muore (G. Piana).
Conoscenza
amorosa di Gesù Crocifisso
Nella breve vita di Gemma Galgani
abbiamo tutti questi elementi: tanti lutti e malattie, tanta
sofferenza psicologica e fisica, ma anche tanto amore e tanta
unione e compartecipazione al dolore salvifico del Cristo Crocifisso,
fino alle stigmate stesse, come segno visibile di accettazione
amorosa della Passione. Gemma nacque il 12 marzo 1878 a Borgonuovo
di Camigliano (Lucca) in una famiglia numerosa. Ben presto la
piccola conobbe il dolore per la morte della mamma Aurelia, donna
di grande fede, nel settembre del 1886.
Ricevette la Prima Comunione
alletà di 9 anni (inusuale per quei tempi) e per
lei fu unesperienza sconvolgente e determinante. Aveva
capito che la sua esistenza sarebbe stata segnata dalla profonda
unione
con Gesù, e questi Crocifisso. Ma dopo il dolore della
perdita della cara mamma arrivò la morte del fratello
Gino, seminarista, di 18 anni e anche lei si ammalò gravemente.
A 16 anni cominciò ad avere le prime visioni di Gesù
e del suo angelo custode. Scrisse:
Cominciò in me anche un altro
desiderio: sentivo crescere in me la brama di patire e aiutare
Gesù Crocifisso.
Questo aiutare Gesù
Crocifisso lo fece nei restanti 9 anni di vita con innumerevoli
malattie fisiche, incomprensioni familiari, prese in giro dei
benpensanti (e ignoranti), diffidenza e dubbi presso molte persone
(anche del clero), e lutti familiari. Nel 1897, perdeva il padre,
uomo buono e caritatevole, ingannato nella sua attività
di farmacista e ridotto in povertà. Moriva lasciando una
numerosa famiglia, prontamente aiutata dalle zie. Gemma dovette
andare a Camaiore da una di queste, Carolina Lancioni.
Aveva ormai 20 anni e non passava
certo inosservata. Era infatti un ragazza bella, dagli occhi
dolci e penetranti (come si vede dalle foto conservate). Ci fu
anche un bravo giovane che se ne innamorò. Non ci fu un
seguito, perché ormai pensava ad un altro matrimonio,
quello mistico. Intanto soffriva di forti dolori alla schiena
e ai reni. Lasciò la zia e tornò a casa, a Lucca,
sperando in un miglioramento ma invano. Anzi ci fu un peggioramento.
Arrivò lincurvamento della colonna vertebrale e
la meningite, ma anche se il suo corpo diventava sempre più
debole, il suo spirito era sempre più forte. Nonostante
queste sofferenze continuò normalmente nelle faccende
di casa. Ma la malattia non le davano alcuna tregua.
Anzi ad un certo punto, il
2 febbraio 1899, i medici la dettero per spacciata. Solo pochi
giorni di vita. Invece guarì miracolosamente per intercessione
di Santa Margherita Alacoque. L8 giugno ebbe
una visione di Gesù, di Maria e dellangelo custode.
Maria le disse:
Gesù,
mio Figlio, ti ama tanto e vuol farti una grazia. Infatti
dalle ferite di Gesù raccontò ella
stessa non usciva più sangue ma come fiamme di
fuoco che... vennero a toccare le mie mani, i miei piedi, e il
mio cuore.
Era la grazia delle stigmate.
La visione del Cristo sofferente e lesperienza delle stigmate
si ripeterono anche in seguito dal giovedì fino al venerdì
alle 3 del pomeriggio. I dolori erano fortissimi, il suo amore
di compartecipazione alla Passione era totale e la gioia e la
pace perfetta che ne seguivano, indicibili e indescrivibili.
Il 17 luglio 1900, arrivò anche il dolore per la coronazione
di spine ed il 7 febbraio 1901 anche quello della flagellazione.
Grazie,
amica mia
Intanto, i rapporti di Gemma
con i familiari diventavano sempre più difficili. Non
le credevano affatto, anzi la spiavano addirittura (credendo
che si procurasse le ferite da sola) e la maltrattavano. Venne
anche chiamato un famoso psichiatra per esaminarla. La conclusione
fu: isterismo. (Anche lo psicologo che esaminò Padre Pio...
alla fine concluse: isterismo! E sono ambedue santi). Cera
molta diffidenza attorno a lei, la povera Gemma.
Anche il clero della città (subito dopo la morte) non
credeva alla sua santità e ai fenomeni soprannaturali.
Per alcuni suoi concittadini era la ragazza della grazia. Per tanti altri, increduli (avevano
parlato gli psicologi, dunque...) era solo una povera ragazza.
Gli ultimi tre anni della sua vita Gemma li passò in casa
di Cecilia Giannini.
Questa donna straordinaria,
madre di una numerosa famiglia che soleva ospitare i Padri Passionisti
di passaggio a Lucca la invitò alcune volte a casa sua,
finché propose al fratello e sorella di ospitarla stabilmente.
Disse loro:
Iddio
mi ha posto nelle mani questangelo che voi vedete qui.
Or non potrebbe rimanere con noi? Abbiamo undici figli in casa;
che vorrà essere uno di più?.
Parole dettate dalla grande
fede e dalla sua grande generosità. E Gemma rimase, accolta
con amore e ben voluta da tutti. Aiutava
nelle faccende di casa, irradiando sempre intorno a sé
unaria di gioia e di serenità.
La signora Cecilia addirittura
volle che dormisse nella sua camera diventando così testimone
delle conversazioni di Gemma con il suo angelo custode, nonché
della dolcissima fragranza che si spandeva nella camera per la
presenza angelica (in un primo tempo Cecilia credeva che fosse
del profumo comprato da Gemma...).
Nel maggio del 1902 si ammalò
di nuovo gravemente. Intanto nello stesso anno le morirono la
sorella Giulia e il fratello Tonino. Finché nel gennaio
del 1903 per ordine del medico (che aveva paura di contagio)
fu trasferita in un appartamento preso in affitto dalla zia Elisa.
Gemma sperimentava così
anche lesperienza dellabbandono e del silenzio di
Dio. Fortemente tentata dal demonio, non smarrì mai né
la fede, né la serenità... né la pazienza.
Rimase sempre piena di amore e di riconoscenza verso chi lassisteva.
Si addormentò nel Signore il Sabato Santo, nel pomeriggio,
quando le campane di Lucca annunciavano la Risurrezione del Signore,
di cui lei aveva condiviso il dolore della Passione. Fu canonizzata
da Pio XII il 2 maggio 1940.
Un grande scrittore e filosofo,
Soeren
Kierkegaard, nellopera
Linquietudine della Fede ha scritto:
Quando
il testimone della verità arriva alla morte, egli dice
a Dio:Grazie, grazie per
tutte le sofferenze. Grazie a Te, o infinito Amore. E Dio
a sua volta gli risponde: Grazie, amico mio, per quelluso
che ho potuto fare di te.
Possiamo immaginare che Gesù
avrà detto a Gemma queste stesse parole, appena in Paradiso:
Grazie, amica mia, per la tua compartecipazione ai miei
dolori per la salvezza di tutti.
MARIO SCUDU sdb
***
Creatura fragile ma
eroica
Ho amato teneramente
questa creatura fragile, offesa e che raggiunse, come trascinandosi
di trincea in trincea, senza sapere dove arrivava, nel mistero
della sofferenza secondo il Signore, il più alto eroismo
della santità e lesperienza mistica, perché
essa ripete sempre a me che la mia vita non ha senso se non è
data, e che quello che io ho non ha senso se non è degli
altri (Mons. Giuliano Agresti, già vescovo di Lucca).
*** Questo e altri 120 santi e sante sono
nel volume di :
MARIO
SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-5
VISITA Nr.