22 GIUGNO: SAN GIOVANNI FISHER, martire
FIN DOVE LO CONSENTE LA LEGGE DI DIO
Erano le 5 del mattino del 22 giugno.
Dopo aver bussato delicatamente,
sospinse piano la porta della cella. Questa si aprì dolcemente.
Anche i carcerieri hanno unanima, pensava, e lui, carceriere
della Torre di Londra, non voleva disturbare più del dovuto
il prigioniero. Uno strano prigioniero quello. Più docile
degli altri. Più gentile e più calmo degli altri.
E più povero. Sapeva anche che era più importante
dei restanti inquilini della Torre. Era un vero pezzo
grosso. Un vescovo cattolico, fatto addirittura cardinale
di recente. Si chiamava John Fisher. A differenza di altri pregava
molto, anzi quasi sempre. E leggeva. Era soprattutto calmo e
sereno.
Questa sua calma e serenità
lo impressionavano in modo particolare. Non dava segni di angoscia
eppure era un condannato a morte. Non cerano segni di nervosismo
o disperazione nel suo comportamento, eppure era arrivato al
capolinea. Ultima fermata in quel 22 giugno: doveva morire alle
ore 10. Così erano gli ordini superiori. Era la brutta
notizia che era venuto a portargli. Brutta? Ma no. Per John Fisher
non era per niente brutta, anzi era bellissima. E per questo
motivo voleva arrivare allappuntamento più importante
della sua vita riposato e rilassato. E siccome in quella notte
non aveva dormito a sufficienza, a causa della sua debole salute
e dei vari disturbi di cui soffriva, chiese gentilmente al carceriere
di... lasciarlo dormire ancora due ore prima della esecuzione.
Lultimo desiderio non si nega a nessuno. E lui, che era
un carceriere che aveva unanima ed un cuore buono, lo accontentò.
Richiuse delicatamente la cella e se ne andò, pensieroso.
Che strano quel prigioniero.
Non è normale. Il pensiero della morte che a tutti gli
altri prigionieri incuteva terrore, non faceva presa su quel
John Fisher. Veramente aveva sentito dire che nella prigione
della Torre cera un altro prigioniero, un certo Thomas
More, anche lui molto importante, (addirittura ex Cancelliere
di Enrico VIII). Pure questi era un condannato a morte e in attesa
dellesecuzione, che secondo le informazioni in suo possesso
non doveva tardare. Ebbene anche questo More come il Fisher,
non aveva perso la calma e la dignità davanti alla morte
certa e imminente.
Che strani quei due condannati,
pensava, e che diversità dagli altri detenuti. Già
la morte. La grande nemica, la distruggitrice di tutti i sogni
e di tutti i progetti. La cifra suprema di ogni dolore umano.
Il compendio del fallimento umano, perché a tutto cè
rimedio (a quasi tutto) ma non alla morte. A John Fisher non
faceva paura. Non lo angosciava nemmeno in quellultimo
giorno, in quelle ultime ore. In realtà la morte non lo
paralizzava più di tanto, perché ne aveva elaborato
la presenza e il suo pungiglione quotidianamente,
durante tutta la vita. Ci aveva riflettuto spesso, laveva
meditata ed esistenzialmente accettata nella meditazione della
passione di Gesù Cristo. Era Cristo Gesù, passato
attraverso lagonia dellorto del Getsemani e poi della
morte in croce, che gli dava questo coraggio e questa calma,
condita con un po di umorismo.
Non era normale morire così,
pensava il carceriere. Infatti era il morire di un vescovo, di
un martire, di un santo.
E le ore 10 arrivarono, e John Fisher pronto al grande incontro.
Riposato e rilassato, grazie alle due ore di sonno in più.
Si era anche vestito di tutto punto. Con il meglio del suo guardaroba
(molto povero, anche se era un vescovo). A chi lo assisteva e
lo guardava un po perplesso per quel suo vestirsi con cura
quasi che andasse ad un grande appuntamento disse: Non
vedi che è il giorno delle mie nozze?.
Quando ancora era sul patibolo
gli chiesero tre volte se accettava lAtto di Supremazia
voluto da Enrico VIII. Ed egli tre volte rispose con tre affabili
no. Poi rivolgendosi verso la folla che assisteva disse a gran
voce: Popolo
cristiano, io muoio per la fede nella santa Chiesa Cattolica
di Cristo. Perdonò
prima al suo boia e cadendo in ginocchio recitò il Te
Deum e il salmo 30 con le parole:
In
te Domine speravi non confundar in aeternum. In te Signore ho
sperato, non sarò confuso in eterno.
Fu decapitato, e la sua testa
infissa in un palo, e collocato sul London Bridge, dove rimase
15 giorni. Poi fu gettata nel Tamigi, per lasciare il posto a
quella di Thomas More (San Tommaso Moro) che venne giustiziato
il 6 luglio. Così moriva martire il vescovo di Rochester,
John Fisher.
Vescovo
di una diocesi povera, a cui non rinunciò mai
John Fisher era nato a Beverly,
nello Yorkshire, nel 1469. Suo padre Robert, un prospero mercante
della città, morì quando lui aveva otto anni. Dopo
aver frequentato il locale ginnasio, John fu inviato a Cambridge
nel 1482. Qui fece tutti gli studi arrivando fino alla laurea
in teologia. Alletà di 22 anni, con una speciale
dispensa papale per la sua giovane età, fu ordinato sacerdote.
Ma già nel 1494 ricevette un importante incarico nella
università di Cambridge. Durante questo periodo conobbe
Lady Margaret Beaufort, contessa di Richmond e Derby, nonna del
re Enrico VIII (che lo farà decapitare). Una grande donna,
molto intelligente e sensibile che non tardò molto a scoprire
le grandi doti e la profondità spirituale del giovane
sacerdote John Fisher.
Anzi dopo un po di tempo
lo scelse come suo confessore e fu anche suo direttore spirituale
fino alla morte nel 1509. Sotto la guida di John Fisher Lady
Margaret fondò il Saint Johns ed il Christs
College nelluniversità di Cambridge. Diventò
anche vice cancelliere della stessa università. Come direttore
del Saint Johns College fece mettere negli statuti del
college la norma di parlare latino, greco o ebraico. Questo non
per uno sfoggio di cultura o per farsi vedere più istruiti
degli altri, ma per familiarizzare gli studenti con le lingue
della Bibbia, e avere la possibilità di capirla più
profondamente.
Nel 1504 fu consacrato vescovo
di Rochester, una delle diocesi più piccole e più
povere dellInghilterra. Era solito dire che diventando
vescovo si era come sposato e che la diocesi era la sua sposa.
Lui la chiamava la mia povera sposa. Ebbene a questa
sposa povera egli rimase fedele fino alla fine, anche
se ebbe la possibilità di cambiarla, accettando diocesi
più grandi, più famose, più belle e... più
ricche. Come vescovo fu un grande vescovo, perché si differenziò
dalla grande maggioranza dei suoi colleghi non solo in Inghilterra
ma anche sul continente europeo.
Allora essere vescovi era sinonimo
di possibilità di diventare ricchi, potenti, influenti
anche politicamente. John Fisher scelse di risiedere stabilmente
nella sua diocesi, la visitò costantemente, arrivando
così a conoscere i suoi fedeli. Fu una conoscenza ed apprezzamento
reciproco. Uno dei suoi primi biografi scrisse: Come un
buon pastore, non venne mai meno al suo gregge, ma sempre lo
nutrì con la predicazione della parola di Dio e lesempio
di una buona vita. Rimase sempre povero. Quando fu portato
nella prigione della Torre di Londra e fu fatto linventario
delle sue proprietà personali ci si accorse di quanto
fosse povero. Tra i suoi collaboratori quando arrivava la Quaresima
non se ne parlava molto, non facevano commissioni o riunioni
comunitarie per decidere sullannualmente dibattuta questione:
Che cosa fare a Quaresima?
Il motivo era molto semplice: perché questa durava tutto
lanno. John aggiungeva poi penitenze e disciplina di sua
scelta. Portava anche un cilicio sulla carne.
Lunico
lusso che si concedeva erano... i libri. Aveva un
grande amore per la cultura.
Era anche grande amico di un
grande dotto del tempo Erasmo da Rotterdam, che lo iniziò
allo studio del greco. La sua biblioteca personale era molto
fornita. John era prima di tutto un teologo, e adoperò
questa sua profonda conoscenza della teologia per scrivere vari
libri in difesa della fede cattolica contro Lutero che aveva
cominciato a predicare sul continente.
Ai suoi testi (particolarmente
a quello sulla Eucaristia) si riferirono spesso i vescovi durante
il Concilio di Trento, dimostrando così la stima e autorità
per lautore. E fin qui era accomunato dal re Enrico VIII,
amante della cultura e pure lui dichiarato difensore della
fede.
Ma il tempo della crisi cioè della scelta radicale venne
anche per John Fisher. Ad opera del re Enrico VIII e delle sue
scelte matrimoniali che non erano conformi alla legge della Chiesa.
Il re, per ragioni di stato, aveva divorziato dalla regina Caterina
dAragona (di cui il Fisher era confessore) e sposato Anna
Bolena.
Egli prese con forza e coraggio
le difese della regina Caterina e della indissolubilità
del vincolo matrimoniale e quindi si schierò contro le
nuove scelte matrimoniali di Enrico. Lo scontro si fece irreparabile
quando questi fece promulgare lAtto di Supremazia nel 1534,
che imponeva la sottomissione del clero al potere della corona.
Anche il Fisher fu invitato al giuramento. Il rifiuto veniva
considerato connivenza con i nemici del re e tradimento. John
Fisher aveva dichiarato che era disposto a giurare fedeltà
al re fin dove lo consentiva la legge di Cristo.
Fu respinta questa mediazione. Il 26 aprile fu imprigionato nella
Torre di Londra. Poco tempo prima era già stato imprigionato
Tommaso Moro, per lo stesso motivo. Durante il periodo della
sua prigionia furono aiutati e confortati da un ricco mercante
italiano di Londra, umanista e amico di ambedue. Questi portava
ai due prigionieri vari doni come dolci, insalata, del vino,
della gelatina. A Tommaso Moro regalerà anche un bel vestito.
Nello stesso anno 1534 un parlamento
intimidito dal re approvò un Atto in cui si dichiarava
che il re era il solo supremo capo in terra della Chiesa
dInghilterra. Nasceva così la Chiesa Anglicana.
Il 17 giugno 1535 John Fisher comparve davanti ad un tribunale.
Rifiutò lAtto di Supremazia dichiarando che era
contrario alla Scrittura e alla nostra fede. Arrivò
subito la condanna a morte.
Alcuni mesi prima era stato
creato cardinale dal papa Paolo III, come un ultimo tentativo
di fermare il re e di salvarlo. Enrico invece, furioso, prese
il gesto come una sfida, e dichiarò che il neo cardinale
avrebbe portato il cappello rosso, regalo del papa di Roma, sulle
spalle... perché la testa non lavrebbe avuta più.
Era la condanna alla decapitazione. Eseguita quel 22 giugno 1535,
alle ore 10.
MARIO SCUDU SDB
***
*** Questo e altri 120 santi e sante sono presenti
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MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi
campioni, Editrice Elledici, Torino
IMMAGINi:
1 Il London Bridge, vicino alla Torre di Londra
dove fu imprigionato s. G. Fisher /
2 Ritratto
di John Fisher di Hans Holbein, Royal Library London
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2002-6
VISITA Nr.