1° giugno - San Giustino, filosofo e martire († Roma 166)
“Ho provato tutte le filosofie, poi…”
Negli “Atti del Martirio”, di San Giustino, al capitolo 1, troviamo queste parole autobiografiche che sono un ottimo biglietto da visita per descrivere la sua personalità e la vita intera. Non una esistenza trascinata in nome del quieto vivere, saturo delle certezze raggiunte, ma una continua ricerca non di verità ma della Verità, per la quale valesse la pena anche di morire. Leggiamo insieme: “Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina...

Quella di adorare il Dio dei Cristiani, che riteniamo unico creatore e artefice, fin da principio, di tutto l’universo, delle cose visibili e invisibili; e inoltre il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, che fu preannunciato dai profeti come colui che doveva venire tra gli uomini di salvezza e Maestro di buona dottrina”. Sono queste parole (assieme alle altre “Io sono Cristiano”) la sua professione di fede: la sintesi delle cose che lo avevano sostenuto nel vivere e gli davano la forza di morire. Parole dette negli ultimi istanti della sua vita, davanti al prefetto di Roma Rustico che lo condannerà a morte.

Per questo suo aspetto di instancabile cercatore della verità intera, non possiamo definire Giustino un uomo “post moderno”. Oggi spesso si dice che una verità vale l’altra, una religione vale l’altra, che non c’è bisogno di “scannarsi”, dialetticamente parlando. Tanto tutto è relativo: ai tempi che ognuno vive, ai parametri culturali, al carattere della personalità del credente, alle proprie paure e desideri inconsci, alla pressione del gruppo, ai condizionamenti sociali, al contesto familiare ecc. ecc. Si afferma inoltre anche che il processo di globalizzazione, irreversibile e irresistibile, toccherà e trasformerà il concetto di religione.

La verità religiosa generata da questo processo, secondo alcuni sociologi e politologi, non sarà certo monolitica: si avrà una specie di sincretismo religioso, teorico e pratico, un cocktail ben miscelato di credenze e valori presi dalle varie religioni. Si arriverà così ad una “verità globale”, sintesi di tutte le verità necessariamente parziali. Gesù Cristo, per esempio, in questa miscela religiosa perderà i connotati della divinità, e diventerà semplicemente uno dei grandi dell’umanità, un maestro di verità, non la Verità, e il portatore del messaggio definitivo e insuperabile da parte di Dio all’umanità. Senza dimenticare che il regista ultimo della scelta di quali elementi religiosi o filosofici e del loro grado di miscelazione spetterà fondamentalmente all’uomo post moderno, al singolo individuo, “misura di tutte le cose”.

San Giustino sarebbe così irriso non solo da questi “religiosi post moderni”, ma anche da tutto quella vasta tipologia di religiosi indifferenti alla... religione. Questi gli direbbero di lasciar perdere, di non affannarsi, di vivere la propria vita, giorno per giorno, lasciandosi guidare dalle piccole verità quotidiane, senza grandi risposte (che non ci sono) e senza grandi sogni. Accontentarsi insomma delle piccole verità “deboli” sì (ma le uniche possibili) senza inseguire le grandi verità delle religioni di salvazione (o anche delle grandi narrazioni onnicomprensive o ideologie) dell’età moderna. La vita di Giustino è la sconfitta di questa post modernità strisciante, e dell’ipotesi neo religiosa portata dal vento inarrestabile della globalizzazione.

Si dice anche che l’uomo post moderno deve vivere la sua vita e progettare la sua esistenza senza certezze. Perché non ci sono più (erano infatti il retaggio della modernità). Del resto sembra che le stesse religioni di salvazione, per definizione portatrici di certezze metafisiche, sono in crisi. Sembrano non più certe delle proprie certezze. Ed inoltre, per un profeta della post modernità Nietzsche, la realtà ultima non è accessibile (“Dio è morto” aveva gridato uno dei suoi personaggi). Se Dio, che è il garante della realtà ultima, anzi la Realtà Ultima per eccellenza, non c’è più, allora l’uomo rimane nella sua limitatezza, nella sua solitudine, nella morsa della morte, preludio del niente. Da questo l’ineluttabilità del nichilismo come sistema di vita: cioè la negazione di ogni certezza, e di ogni possibilità di raggiungerla. Si annuncia il naufragio della filosofia come via di ricerca e conoscenza di Dio. Proprio la sconfessione di ciò in cui credeva Giustino. Tra i suoi colleghi filosofi post moderni, si troverebbe a disagio.

Cercare una verità di cui vivere e per cui morire

Giustino nacque all’inizio del II secolo nella Samaria, non lontano dall’antica Sichem. Era, sembra, di famiglia romana, sicuramente agiata. La prova viene dai suoi viaggi e dagli studi o scuole di filosofie frequentate. Quella di Giustino, filosofo cristiano e martire, è una figura complessa e difficile da definirsi, anche perché vissuto in un’epoca caratterizzata dal primo vero impatto culturale del cristianesimo col mondo circostante, greco e romano (oggi si direbbe il primo tentativo di vera inculturazione).

Giustino è un giovane filosofo impegnato nella ricerca ardente della verità, dotato di una intelligenza pronta, acuta e sufficientemente critica da percepire i punti deboli dei sistemi filosofici allora per la maggiore. Ce li descrive lui stesso nella sua opera Dialogo con l’ebreo Trifone: “Dopo aver frequentato abbastanza a lungo un maestro stoico senza arricchire le mie conoscenze su Dio – egli stesso non lo conosceva e non riteneva necessario conoscerlo – mi allontanai da lui e mi recai presso un altro uomo, un cosiddetto peripatetico (cioè un seguace di Aristotele) che si considerava ricco d’ingegno.

Costui fu paziente con me solo un giorno, poi pretese che fissassi il pagamento, perché il nostro rapporto non fosse privo di utilità. Fu questo il motivo per cui abbandonai anche lui, che a mio parere non era affatto un filosofo”. Già due delusioni. Ma la sua ricerca continuò. Avvicinò un famoso filosofo pitagorico “un uomo che si vantava molto della sua sapienza”. E puntuale arrivò la terza delusione. Prima di fare filosofia, costui pretendeva da Giustino che studiasse musica, astronomia, geometria (e certamente anche la “tabella pitagorica”). Lo abbandonò perché ciò che lo assillava era il problema teologico, cioè la verità su Dio, non le altre scienze interessanti ma periferiche a questo, per lui, il problema dei problemi.

Quarto tentativo con i platonici: “Nella mia sconsideratezza decisi di ascoltare anche i platonici; anch’essi infatti avevano una buona fama. Dato che nella nostra città dimorava un dotto che godeva di grande considerazione tra i platonici, lo frequentai più che potei. Feci progressi e mi andai perfezionando giorno per giorno. Mi interessava molto la spiritualità dell’incorporeo e la visione delle idee diede ali al mio pensiero. In breve tempo credetti di essere sapiente e nella mia limitatezza nutrivo la speranza di vedere direttamente Dio. Questo infatti è il fine della filosofia di Platone”. La sua ricerca sembrava terminata, la sua navicella sembrava essere in vista del porto della tranquillità e della verità definitiva. Proprio perché non fosse disturbato da niente, si ritirò in un luogo solitario presso Efeso, in riva al mare. E qui gli capitò un incontro casuale: un vecchio saggio gli aprì gli occhi sulla verità cristiana.

Dopo averlo ascoltato a lungo il vecchio saggio gli disse: “Ma tu sei un amante del bel parlare, non certo un amico di chi vuol agire secondo verità”. Parole profonde e fulminanti. Seguì il consiglio del vecchio e cominciò a leggere i profeti che preparavano la venuta del salvatore Gesù Cristo. Scrive ancora nel Dialogo che seguendo questo consiglio e ammirando la coerenza dei cristiani che sapevano affrontare persino il martirio per testimoniare la verità, ben presto si convinse che il cristianesimo era “la sola vera e utile filosofia”. Ecco la sua conversione culturale ed esistenziale: avrebbe difeso con le armi della ragione e dello studio quella fede che spesso era calunniata e disprezzata dalle persone colte.

La parabola di questa vita fatta di ricerca della verità gli ha fatto guadagnare una citazione nell’Enciclica “Fides et Ratio” di Giovanni Paolo II (1998). Ha scritto il Papa: “Quale pioniere di un incontro positivo col pensiero filosofico, anche se nel segno di un cauto discernimento, va ricordato San Giustino: questi pur conservando anche dopo la conversione grande stima per la filosofia greca, asseriva con forza e chiarezza di aver trovato nel Cristianesimo «l’unica sicura e proficua filosofia»” (n. 38).

Dopo la ricerca, la difesa della verità fino al martirio

Arrivato alla verità trovata nel Cristianesimo e in particolare in Gesù Cristo, il Logos supremo, Giustino ha vissuto il resto dei suoi giorni di questa Verità e per questa Verità. Non gli bastava averla trovata, sentiva la missione ed il compito di farla conoscere agli altri. Da qui la sua opera di apologeta e di insegnante in una scuola che egli stesso fondò a Roma. In questo egli si atteneva alle norme della legge. Lo stesso Marco Aurelio non seguiva una filosofia, quella di Epicuro? Perché ai cristiani doveva essere impedito di seguire e di predicare il Cristo? Proprio per rivendicare questo diritto egli aveva diretto agli ultimi due imperatori e alle persone più ragguardevoli di Roma due Apologie in favore del Cristianesimo.

La dottrina di Giustino si concentra sul progetto unitario di Dio (l’economia di Dio): articolato storicamente nei due testamenti dell’unica Rivelazione, ma compresente a tutta la storia degli uomini. Perno centrale di tutta questa economia divina è la figura di Gesù Cristo, Verbo incarnato e Redentore. Cristo è per Giustino il Logos eterno (ricordiamo il famoso prologo del Vangelo di Giovanni), la ragione prima ed ultima di tutto l’esistente, la Luce dalla quale deriva ogni piccola luce presente nei filosofi e anche nei semplici uomini di ogni tempo. Non c’è verità se non fondata su questa Verità del Logos, non c’è il più piccolo gesto di bontà in questo mondo che non abbia in lui il suo oggetto e finalità e spiegazione totali. La storia dell’umanità si può descrivere come “la storia di Cristo”, schierata pro o contro Cristo, cioè secondo ragione o contro ragione. La presenza di Cristo nella storia non è quindi incominciata in una data storica, per cui si può dire che il Cristianesimo non è un sistema recente. C’erano cristiani già prima di Cristo (“Semina Verbi”) e sono quelli che sono vissuti istruiti per vie misteriose a Cristo, e sono vissuti seguendolo. Giustino affermò con forza che solo in Cristo l’Antico Testamento ha il suo senso compiuto, perché in esso sono adombrate tutte le tappe del suo evento storico-salvifico.

In questa grande prospettiva dell’Incarnazione, egli ha dato anche grande rilievo a Maria di Nazaret. Essa è vista come protagonista nel momento centrale della storia salvifica: l’incarnazione del Logos eterno, il Cristo. Tra le profezie si concentrò particolarmente su quella di Isaia (7,14). La Vergine che partorisce il Figlio. Giustino, attraverso Maria, la “donna –vergine-che-partorisce”, enunciò il principio della riconciliazione dell’umanità con Dio: da una donna era arrivata la disobbedienza e la morte (Eva) attraverso un’altra donna era arrivata la vita, Maria. L’Annunciazione quindi diventava così l’inizio della salvezza, antitetico alle scene della caduta dell’Eden della Genesi. È il famoso parallelo antitetico Eva-Maria, che appare per la prima volta nei suoi scritti, e che avrà tanta fortuna negli altri Padri della Chiesa. Si intuisce da questi piccoli cenni l’influsso sulla mariologia futura da parte di questo filosofo convertito.

Ma si sa che la verità ha avuto sempre dei nemici. Non dimentichiamo che il Diavolo è definito nella Bibbia il “padre di ogni menzogna”. Anche l’apostolato della verità, attraverso la sua scuola, incontrava delle difficoltà e anche ostilità aperte. I nemici c’erano e si fecero ben presto sentire. E in maniera decisiva. Giustino fu denunciato ufficialmente come cristiano. Dovette presentarsi davanti al giudice. E fu condannato. Gli atti del suo martirio si sono conservati e hanno grande valore storico. Quella Verità che Giustino aveva cercato con tanta insistenza e coraggio gran parte della vita, chiedeva da lui la suprema testimonianza, quella del proprio sangue. Per Giustino quella verità trovata era la Verità, era Cristo, per cui valeva la pena vivere e anche morire. Correva l’anno 166.
                                                                                        
MARIO SCUDU SDB ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono presenti nel volume di :
           
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

IMMAGINE:
Martirio di san Giutino: Chiesa di San Giorgio, Staro Nagoricino (Iugoslavia) , affresco 1318
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-6
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