22 giugno: San Paolino da Nola (353-431)
NIENTE GLI FACEVA PERDERE LA PAZIENZA
Se le Poste Italiane cercassero un santo patrono per il proprio servizio si potrebbe suggerire senza difficoltà il vescovo San Paolino da Nola, che di lettere scritte e spedite ha avuto una grande esperienza. Ebbe infatti durante la sua esistenza una intensa corrispondenza, che oltre ad essere un dovere sociale era per lui anche un piacevole intrattenimento da intellettuale e da aristocratico.

Le lettere tramandateci risultano una specie di autobiografia pastorale e spirituale, e anche se scritte secondo i canoni della epistolografia antico romana, tuttavia traboccano del sentimento di amicizia e fraternità, trasmettono emozioni e confidenze, descrivono conquiste spirituali ed intuizioni di santità. Non solo parlano delle vicende del proprio gruppo (comunità monastica) ma si mostrano sempre aperte alle grandi (e gravi) prospettive della Chiesa contemporanea universale. In esse sono presenti varie problematiche e in diversi campi: dall’ascetismo monastico all’esegesi biblica, dalla teologia all’ecclesiologia giù fino alla poetica.

Paolino da Nola ebbe un nutrito e interessante carteggio con alcuni “pezzi grossi” degli intellettuali della Chiesa d’Occidente di allora. Ricordiamone alcuni: il vescovo e teologo Agostino di Ippona, lo studioso e traduttore della Bibbia (la Vulgata) Girolamo (a Betlemme) ed il vescovo Ambrogio di Milano.
Questi appena citati sono considerati i tre grandi Padri della Chiesa d’Occidente, vere colonne portanti. Scambiò lettere anche con altri personaggi famosi del tempo: Alipio vescovo di Tagaste (Africa), Delfino vescovo di Burdigala (Gallia), Sulpicio Severo (autore della Vita di San Martino), col filosofo Giovio e con Rufino, altro uomo di cultura del tempo.

Le sue lettere avevano come meta l’Africa, la Gallia, la Dacia (odierna Romania), la Palestina e naturalmente Roma. Lettere che hanno grande importanza per la conoscenza della storia del cristianesimo di allora, di alcune problematiche teologiche roventi (come il pelagianesimo) e di alcuni suoi personaggi di spicco. Paolino viveva sì in una comunità monastica, era pastore di una città, Nola, che non era al “top” tra quelle grandi e famose dell’Impero Romano, ma il suo sguardo si estendeva a tutta la Chiesa universale.

Un particolare interessante. I corrieri che arrivavano nell’autunno o all’inizio dell’inverno non potendo ripartire subito si davano alla bella vita... monastica con la sua comunità (di Paolino) e, passato l’inverno (in cui era difficile viaggiare) ripartivano caricati delle nuove lettere, e, cosa che non guastava, ri-caricati spiritualmente da lui. E così il Nostro, grazie al loro lavoro, rimaneva in comunicazione con i suoi tanti amici sparsi ai quattro venti.

Da magistrato a Roma a governatore della Campania

Ponzio Meropio Anicio Paolino (questo era il suo nome completo) nacque nel 353 a Burdigala (l’odierna Bordeaux) da una famiglia romana senatoriale, ricca e famosa, proprietaria di vasti possedimenti (latifondi) nella Gallia meridionale (Aquitania), in Spagna e in Campania. I suoi genitori erano cristiani e quindi fecero educare cristianamente anche Paolino. Ma non lo fecero battezzare, come si usava allora. Avrebbe deciso lui se e quando ricevere il battesimo come premessa ad una vita autenticamente cristiana. Per l’educazione e l’istruzione del loro figlio scelsero il meglio, un precettore privato: ecco quindi il piccolo nelle mani di Ausonio, poeta e uomo politico di vastissima cultura.

Paolino fece una breve esperienza politica a Roma come magistrato, cosa che gli spalancò le porte del Senato dell’Impero e gli meritarono anche il prestigioso incarico di governatore della Campania (380).
Nella sua permanenza, conobbe la religiosità popolare, convinta ed esuberante, degli abitanti di Nola, particolarmente durante la festa di San Felice. Fu un colpo di fulmine religioso. A questo santo il giovane Paolino consacrò il proprio cuore (e, segno esteriore, il taglio della barba). Questa devozione particolare lo accompagnerà tutta la vita, specialmente quando sarà vescovo di Nola.
Intanto il barometro della politica romana e imperiale volgeva al peggio: trame oscure, liti, rivolgimenti non incruenti e congiure di palazzo. Questa lotta per il potere culminò nell’assassinio dell’imperatore Graziano ad opera dell’usurpatore Massimo (383).

Verso Cristo

Paolino, respirata la brutta aria politica che tirava e che non gradiva per niente, interruppe la propria carriera politica, e se ne tornò in Gallia, a Bordigala. Lungo il viaggio fece anche visita ad Ambrogio di Milano: questi lo spronò ad una vita cristiana totale. Le parole di quel santo vescovo cadevano su un terreno fertile e preparato. Paolino infatti stava attraversando un periodo di seria riflessione proprio riguardo al proprio futuro da cristiano. Quell’incontro non fu dimenticato.

Sulla cronologia dei fatti durante il decennio 380-390 non tutti gli studiosi sono d’accordo. Però, fu durante uno dei suoi viaggi nei possedimenti in Spagna che conobbe e sposò una donna degna di lui: Terasia. Da lei ebbe anche un figlio che purtroppo morì dopo pochi mesi di vita. Questo dolore, sommato a quello della perdita del fratello, lo convinse a tornare in Aquitania. Qui si diede ad una intensa vita sociale: ritrovò il suo precettore Ausonio, strinse amicizia con il giovane avvocato Sulpicio Severo e con altre persone culturalmente elevate. In questa ritrovata gioia sociale tutto sembrava bello se non fosse per una malattia agli occhi che lo tormentava. L’amico Sulpicio Severo lo convince ad andare da Martino (di Tours) che godeva di grande fama, anche come taumaturgo. Paolino fu infatti guarito per intercessione del santo vescovo.

Paolino riceve il battesimo e vende i beni

Ottenuta la guarigione il cammino dei due amici prese direzioni diverse. Mentre il giovane e brillante avvocato Sulpicio, affascinato dalla vita monastica condotta dalla comunità di Martino, si univa a loro, Paolino tornato a Bordigala ricevette il battesimo ad opera del vescovo Delfino. Poi sul modello del grande monaco Antonio, anche Paolino (in santo accordo con la moglie Terasia) vendette i beni dando il ricavato ai poveri. Più tardi scriverà: “Con tutti i miei beni terreni io ho pagato la speranza del cielo, poiché la speranza e la fede valgono più delle ricchezze del mondo”.
Inutile ricordare che quel gesto attirò su Paolino e consorte una pioggia di critiche dei cosiddetti ben pensanti: tra questi Ausonio, il poeta e il grande uomo di cultura nonché suo ex precettore, in prima fila. Lui resistette alle critiche, facendo capire che ne aveva già abbastanza della mitologia pagana con il suo codazzo di dèi e semidei peggiori degli uomini.

Questa conversione diede una sterzata anche al Paolino poeta: si convinse infatti ad abbracciare un modo di fare poesia cioè una poetica più consona con il nuovo credo e con la nuova mentalità. Era un taglio deciso (e, immaginiamo, non indolore) con parte del suo passato culturale. Respirava aria nuova, culturalmente parlando, e desiderava (insieme alla moglie Terasia) una vita nuova, più seria, più asceticamente impegnativa, più cristiana. Marito e moglie (sempre di comune e santo accordo) puntavano insomma alla vita monastica. Un progetto da realizzare insieme: qualcosa di rivoluzionario (allora come anche oggi).

Progetto che non venne messo in crisi nemmeno dalla ordinazione sacerdotale (forzata cioè a “furor di popolo”, proprio come il grande Ambrogio che fu proclamato vescovo così su due piedi, in piazza), avvenuta a Barcellona nel 394. Paolino stesso raccontò l’episodio con queste parole: “Fui preso all’improvviso e a viva forza dalla moltitudine – ritengo però per disposizione di Dio – e fui ordinato sacerdote. Ciò avvenne con mia riluttanza, non per disprezzo della dignità sacerdotale (...) ma perché, sentendomi destinato altrove e avendo la mente fissa e raccolta in altro luogo, ebbi paura di questo strano e inatteso decreto della volontà di Dio”.
Paolino pose però una condizione: quella di non essere vincolato al clero di Barcellona. Aveva un progetto diverso e la mente altrove. Dove, con Ambrogio a Milano? No, più a sud nella “Campania felix” che aveva già ammirato da governatore e più vicino al “suo” santo preferito, San Felice.
E così nel 395 Paolino e Terasia, marito e moglie, si stabilirono a Nola fuori le mura, presso il santuario di San Felice (oggi comune di Cimitile). Iniziava così la loro avventura monastica: il loro progetto tanto sognato diventava realtà.

Furono costruiti due monasteri distinti, maschile e femminile, due comunità diverse, ma unite dallo stesso ideale. In comune e santo accordo Paolino e Terasia vivevano in monasteri distinti, ma i loro cuori non erano distanti. Erano lontani fisicamente, ma non spiritualmente. Non abitavano dentro la stessa casa ma “vivevano dentro” lo stesso progetto di vita. Erano felici e contenti, separati e tuttavia uniti profondamente nell’amore a Dio e al prossimo (nei poveri e bisognosi che loro aiutavano). Un amore così forte e così appagante il loro da condurli fino alla sublimazione del loro amore coniugale. Quasi un miracolo, qualcosa di straordinario (e non facilmente imitabile). Fatto questo che ha valso a Paolino e Terasia una citazione, a distanza di secoli, nel nuovo Rito del Matrimonio della Chiesa Cattolica (2004).

Difensore della fede

Nel 409 Paolino divenne vescovo di Nola, servizio che esercitò per più di vent’anni con grande zelo verso tutti specialmente i poveri e con illuminato equilibrio pastorale, specialmente durante l’invasione dei barbari Visigoti di Alarico.
Questo suo innato equilibrio lo dimostrò anche in occasione di due controversie (scismi o eresie) in cui suo malgrado si trovò ad essere interpellato. La prima riguardo ad Origene, grande intellettuale della Chiesa d’Oriente. I duellanti erano Girolamo e Rufino, ambedue amici e corrispondenti suoi. La seconda riguardava il pelagianesimo (poi condannato come eresia). Questa volta invece i principali contendenti erano il monaco britannico Pelagio (che aveva conosciuto a Roma e forse ospitato a Nola) e il vescovo Agostino di Ippona. Anch’essi, tutti e due, suoi amici.
Fu in ambedue le vicende sempre mite e misericordioso per l’aspetto umano, anche se inflessibile riguardo all’ortodossia. In realtà, nell’ultima disputa Paolino, sia per naturale temperamento sia per la propria riflessione teologica ed esperienza spirituale, pur rifiutando i due estremismi, sembra che abbia mostrato qualche “simpatia pelagiana”. Insomma era un po’ più verso Pelagio che esagerava la capacità della natura umana in campo morale e salvifico che verso Agostino che esaltava invece il ruolo della Grazia fino quasi a sconfinare in un rigido predestinazionismo. Interessante notare che i vari duellanti teologici tentarono di tirarlo pubblicamente e totalmente dalla loro parte, ma senza successo. Comunque sia, a riprova del suo equilibrio teologico e del suo prestigio di pastore, Paolino venne anche invitato dall’imperatore Onorio a presiedere il Sinodo dei vescovi italiani nel 419 a Ravenna, ma non gli fu possibile per motivi di salute. E subito dopo, quello successivo di Spoleto tra i vescovi africani e italiani. Questa volta però non fu necessario perché la difficoltà fu superata già prima della riunione.
Il vescovo Paolino morì, carico di anni e di esperienza ma soprattutto ricco di santità, il 22 giugno, quando correva l’anno 431.
                                                                                                 
MARIO SCUDU SDB ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono presenti nel volume di :
           
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

Studiò di farsi amare...

“Nella missione di vescovo non si preoccupò di farsi temere, ma studiò di farsi amare da tutti. Siccome era insensibile alle ingiurie, niente gli faceva perdere la pazienza. Non separava mai la misericordia dal giudizio. Se era costretto a castigare, dava facilmente a vedere che i suoi erano castighi di un padre e non vendette di un giudice irritato.

La sua vita era l’esempio di ogni sorta di opere buone, e la sua residenza il sollievo di tutti i miserabili. Chi ha mai implorato il suo soccorso senza riceverne un’abbondantissima consolazione? E qual peccatore ha mai incontrato senza tendergli la mano per rialzarlo dalla sua caduta?

Era umile, benigno, caritatevole, misericordioso e pacifico. Incoraggiava i deboli, addolciva coloro che erano di un certo umore collerico e violento. Aiutava alcuni con l’autorità e il credito che gli provenivano dalla carica, altri con la profusione delle sue rendite, di cui si riservava soltanto lo stretto necessario, e altri ancora con i suoi saggi consigli, che si trovano sempre in grande abbondanza nella sua conversazione e nelle sue lettere.

Nessuno si allontanava da lui senza desiderare di avvicinarglisi di nuovo e nessuno aveva la fortuna di parlargli senza desiderare di non separarsene mai”.
                                                                  (Uranius, De obitu, cfr PL 53,861)


IMMAGINI:
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 San Paolino da Nola
 San Paolino, (pala, particolare della predella), Luis Borassa (1414), Museo episcopale, Vich. Poco dopo il battesimo, Paolino partì per la Spagna. Il suo culto si è a lungo mantenuto in questo paese, principalmente in Catalogna, come attesta questa immagine proveniente dall’antica chiesa di Vich.
 La statua di San Paolino da Nola viene portata in processione durante la Festa dei gigli.
 San Paolino vescovo di Nola, Litografia Rinaldini di Napoli (secolo XIX), Milano, Biblioteca Bertarelli. /
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-6
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